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italia_nuclearL'ITALIA RADIOATTIVA
Il nucleare che già c'è. Sono decine i siti pieni di scorie: centrali chiuse dal referendum, centri di ricerca, depositi. Ecco la mappa. Mentre Tokyo ammette un'altra Chernobyl.

Forse non tutti ce l'hanno in mente, specie dopo che i giapponesi hanno ammesso che Fukushima è stata un'altra Chernobyl, livello 7 di pericolosità. Ma il fatto è che l'Italia è ancora un paese nucleare. È vero che le quattro centrali non producono più un chilowattora dal referendum del 1987. Ma ciò non significa che siano libere da scorie e radiazioni. Non solo: accanto alle ex centrali, ci sono i laboratori e poi gli impianti di fabbricazione e riprocessamento di combustibile nucleare, ormai dismessi e trasformati in depositi di scorie (vedi box di pagina 120).
L'inventario radioattivo nazionale conta, infine, alcune "piscine", dove stanno a mollo le barre di combustibile irraggiato (e ancora fortemente radioattivo) estratte dai vecchi reattori, in attesa di prendere la via del riprocessamento a La Hague (Francia) o a Sellafield (Regno Unito). Essenzialmente, insomma, stazionano sulla penisola 100 mila metri cubi di spazzatura radioattiva, con tempi di decadimento che vanno da qualche mese o anno (i rifiuti della medicina nucleare) a centinaia di migliaia di anni (il plutonio). Mettere in sicurezza il nucleare del passato ci costerà almeno 4,5 miliardi di euro, in parte prelevati dalle bollette (alla voce A2), che la società incaricata Sogin sta spendendo per smantellare le centrali e neutralizzare i rifiuti. Il tutto dovrebbe essere terminato entro il 2020, anno in cui gli impianti francesi e britannici cominceranno a restituirci ben impacchettate le scorie derivanti dal riprocessamento del combustibile esaurito. Leggiamo allora questa mappa del "nucleare reale" italiano, lungo l'itinerario suggerito il 25 giugno 2003 dall'allora capo del Sismi Niccolò Pollari alla commissione Ciclo dei rifiuti della Camera. La paura di al Qaeda aveva acceso i riflettori sui potenziali bersagli di un attacco terroristico in Italia, e il generale stilava una "classifica di pericolosità" dei siti nucleari italiani. Eccola.
La piscina di Avogadro. In cima alla classifica c'è Saluggia, un piccolo centro in provincia di Vercelli che ospita l'impianto Eurex e il deposito Avogadro. Il primo, realizzato nel 1965, serviva per il riprocessamento dei combustibili dei reattori di ricerca, poi trasformato in deposito di rifiuti radioattivi. Avogadro, invece, è uno dei primi reattori di ricerca italiani, costruito dalla Fiat negli anni Cinquanta e successivamente trasformato in deposito. "Se misuriamo i rifiuti del nucleare non in volume ma in quantità di radiazioni, a Saluggia si trova l'85 per cento del totale", spiega Gian Piero Godio, di Legambiente. Nella vecchia piscina di Avogadro stanno immersi gli elementi di combustibile irraggiato provenienti dalle centrali di Trino Vercellese, Latina e Garigliano. Ma a preoccupare è il deposito Eurex, dove stazionano i fusti di rifiuti liquidi ad altissima radioattività (230 metri cubi).
Una bomba ecologica a soli 20 metri dalla Dora Baltea e a 1.600 metri dall'acquedotto del Monferrato. L'alluvione della Dora del 2000 aveva lambito il centro: pochi metri in più e sarebbe stata una catastrofe. Tanto che il Nobel Carlo Rubbia ha detto che durante l'alluvione "abbiamo corso un rischio planetario", con miliardi di Bequerel di radioattività sparsi dal Po in tutta la Pianura Padana. Dopo varie vicissitudini e ritardi, la Sogin, attuale proprietaria del complesso di Saluggia, ha pubblicato il bando per la costruzione di un impianto di cementazione per mettere finalmente in sicurezza i rifiuti liquidi.
Pericolo americano. Se i rifiuti liquidi sono i più pericolosi perché a rischio di finire nella falda, nella classifica di pericolosità segue il Centro Itrec di Trisaia, a Rotondella (Matera). Costruito a fine anni Sessanta come impianto di trattamento del combustibile del ciclo Uranio-Torio, oggi deve vedersela con 64 barre ad alta radioattività provenienti dalla centrale statunitense di Elk River. "Sono immerse dagli anni Sessanta in una piscina e non sono mai più ripartite alla volta dell'America, che di fatto non le rivuole indietro. E non si sa bene come trattarle", spiega Giorgio Ferrari, che ha lavorato all'Ufficio Reattore dell'Enel dal 1964 al 1987, dove si occupava di combustibile nucleare: "La piscina di Trisaia è un problema, così come sono un problema i rifiuti liquidi derivanti dal trattamento di altre 20 barre di Elk River e che ora stanno in fusti, in attesa di essere cementificati". La Sogin ha promesso di pulire Trisaia entro il 2019. Ma a oggi restano, come ha raccontato Roberto Rossi nel suo "Bidone nucleare" (appena uscito con la Bur), le inchieste aperte dalla Procura di Potenza su presunti trafugamenti di combustibile e scorie dal centro, in cui sarebbe coinvolta la malavita organizzata.
La piena del Garigliano. Trecento chilometri più a nord di Rotondella c'è Sessa Aurunca (Caserta), nella piana alluvionale del fiume Garigliano, in zona sismica, hanno costruito una centrale nucleare, entrata in funzione nel 1964 e spenta nel 1978 a causa di un guasto tecnico. Ma anche se spenta ha fatto qualche danno. Come racconta Rozzera: "È stato con l'allagamento del novembre del 1980, quando l'acqua del fiume in piena ha raggiunto alcuni locali sotterranei della centrale e poi è ritornata nell'ambiente contaminando di Cesio-137 e Cobalto-60 circa 1.700 chilometri quadrati di costa e mare, tra Ischia e il Circeo". A indicarlo sono state diverse campagne radioecologiche condotte negli anni successivi dall'Enea. L'ultima rilevazione, condotta per conto della Sogin dall'équipe dell'Università di Caserta diretta dal fisico Filippo Terrasi, smentisce che oggi vi siano contaminazioni. "Attualmente, il livello di radioattività naturale del vicino vulcano di Roccamonfino è più alto di quello rilevato nei pressi dell'impianto", riferisce Terrasi: "Ora dovremo monitorare eventuali rilasci radioattivi che potrebbero verificarsi quando cominceranno le opere di smantellamento da parte della Sogin". E bisognerà stare particolarmente attenti, poiché a Garigliano c'è del plutonio. Dal 1968 al 1975, infatti, l'Enel aveva sostituito in via sperimentale 72 delle 208 barre di uranio con barre di plutonio (tempo di dimezzamento 24 mila anni, dose letale 1/10 di milligrammo). Ripulire la centrale riportandola a "prato verde", come dicono gli operatori, dovrebbe avvenire non oltre il 2019.
Alle porte di Roma. Poche ore di macchina e si arriva al centro Enea di Casaccia, dalla parti di Anguillara Sabazia, a nord di Roma. È lì che è nata la ricerca sulle applicazioni del nucleare in Italia, alla fine degli anni Cinquanta. Nei 90 ettari in cui si estende il centro qualche resto di nucleare c'è ancora. I due reattori sperimentali, per esempio, il Triga e il Tapiro, non hanno mai smesso di funzionare. Insieme al Triga-2 del centro Lena dell'università di Pavia, i reattori della Casaccia compiono sia studi medici sia indagini su materiali come la datazione di reperti, o ancora caratterizzazione di alimenti o studi pilota sul futuro delle tecnologie nucleari.
Problemi di sicurezza? A detta di Sandro Sandri, presidente dell'Associazione italiana di radioprotezione, nessuno: "Il combustibile nucleare utilizzato rende l'impianto intrinsecamente sicuro nei confronti degli incidenti di reattività, impedendo sia incidenti tipo Chernobyl, sia quelli tipo Fukushima (dovuto alla perdita di refrigerante e al mancato raffreddamento). Per questo elevatissimo grado di sicurezza i reattori nucleari di ricerca Triga sono considerati impianti urbani, spesso costruiti nel centro delle città, come a Pavia, Vienna, Hannover e Mainz".
No grazie, abbiamo già dato. Il viaggio nel nucleare italiano torna a Nord nelle centrali di Trino Vercellese e Caorso (Piacenza), in fase avanzata di smantellamento. Le ultime 47 barre di combustibile ancora presenti dovrebbero partire da Trino fra non molto, mentre la maggior parte degli edifici e la torre di raffreddamento sono già stati demoliti e stoccati come rifiuti. Anche a Caorso rimane da trattare il reattore (senza combustibile, già asportato) e una ragguardevole quantità di rifiuti frutto dello smantellamento delle strutture principali dell'impianto.
Non è un caso che proprio il sindaco di Caorso Fabio Callori (Pdl) sia il responsabile per l'Anci del coordinamento degli studi epidemiologici che verranno realizzati nei comuni che hanno ospitato le "servitù nucleari". Con le compensazioni economiche previste dalla legge per i comuni nucleari, Caorso ha azzerato i mutui del Comune, dimezzato la tassa rifiuti e le spese scolastiche e dato un contributo di 500 euro per ogni nuovo nato. Ma i soldi non sono un buon motivo per tenersi le scorie e rituffarsi nell'avventura nucleare.
Quando è stato ventilato che Caorso potesse ospitare una delle nuove centrali, Callori è stato lapidario: "No grazie, abbiamo già dato".n

Centrali chiuse, reattori aperti
Reattori sperimentali:
Pavia: reattore Triga del laboratorio Lena che ha una potenza di 250 kW
Roma: al Centro ricerche Enea della Casaccia sono in funzione due reattori; un Triga della potenza di 1000 kW, e un Tapiro da 5 kW
Palermo: presso l'Università funziona il Reattore Costanza - AGN-201 da 200 kW


Centrali per produzione di energia elettrica chiuse dal referendum:
Trino (Vercelli): il reattore è ad acqua pressurizzata Westinghouse del tipo PWR. È entrata in esercizio commerciale il 1/1/1965, fermata il 21/3/1987.
Caorso (Piacenza): il reattore è italiano del tipo BWR. Entrata in esercizio commerciale il 1/12/1981, fermata il 25/10/1986.
Latina: il reattore è a gas-grafite del tipo MAGNOX. È entrata in esercizio commerciale il 1/1/1964, fermata il 26/11/1986.
Garigliano (Sessa Aurunca): il reattore è ad acqua bollente del tipo BWR. È entrata in esercizio commerciale nel giugno 1964, chiusa definitivamente nel 1982.

Impianti di trattamento e depositi (esclusi i depositi di materiali sanitari)
Ispra (Varese): il più grande e importante Centro di ricerca gestito dalla Ce. Ospita impianti non più utilizzati, strutture di raccolta e trattamento dei rifiuti radioattivi e del materiale nucleare dismesso.
Saluggia (Vercelli): ci sono l'impianto Eurex, (Enriched URaniun Extraction), adibito a deposito di rifiuti radioattivi liquidi e alla loro futura cementificazione, e il deposito Avogadro. È quanto resta del reattore di ricerca realizzato dalla Fiat alla fine degli anni '50, un reattore "a piscina", che ha funzionato a scopo di ricerche di fisica nucleare e di tecnologia dei materiali fino al 1971. Successivamente, le strutture del reattore sono state rimosse e la piscina è stata riadattata a deposito di combustibile nucleare delle centrali nucleari italiane.
Bosco Marengo (Alessandria): un tempo impianto di fabbricazione di combustibili per le centrali nucleari italiane e per reattori esteri. Ora è stato disattivato e trasformato in deposito nucleare.
Forlì: Protex svolge un servizio su tutto il territorio nazionale nelle diverse fasi di confezionamento, raccolta, trasporto, detenzione e trattamento delle sostanze radioattive a scopo medico e scientifico. Dispone inoltre di un sistema autorizzato di stoccaggio rifiuti liquidi in grado di ospitare circa 250 mila litri di materiale.
Casaccia (Roma): il laboratorio Opec 1 (OPErazioni Calde) è entrato in esercizio nel 1962: le attività di disattivazione sono iniziate nel 1990 e hanno portato all'incapsulamento del combustibile irraggiato giacente, allo smantellamento delle attrezzature, alla decontaminazione delle tre celle. Sono in corso le valutazioni tecniche finalizzate al trasferimento di combustibile all'impianto Itrec di Rotondella.
Attivo è invece l'Impianto Plutonio, realizzato alla fine degli anni Sessanta e revisionato con un nuovo magazzino antisismico nel 1997, dove è stata realizzata un'infrastruttura per lo smantellamento di elementi nucleari. Entrambe le strutture sono operate dalla Sogin sin dal 2003.
Di proprietà Soigin è invece il Nucleco, che ritira, tratta e custodisce rifiuti radioattivi a bassa e media attività prodotti presso il centro Enea della Casaccia. Dal 1985, gestisce a livello nazionale un'attività di ritiro di rifiuti radioattivi provenienti da diversi settori.
Rotondella (Matera): l'Itrec, nel Centro Enea Trisaia, è stato un impianto di riprocessamento in funzione dagli anni '70. Disattivato, oggi è in carico alla Sogin e custodisce rifiuti radioattivi.
Statte (Taranto): Cemerad raccoglie rifiuti radioattivi da applicazioni medico-industriali dal 1984. È attualmente in stato di custodia giudiziaria, in attesa di bonifica.

Scorie infinite

In Italia, alla fine del processo di smantellamento previsto per il 2020-2025, le scorie a radioattività media e alta ammonteranno a circa 75 mila metri cubi, così suddivise: 36 mila derivano dallo smantellamento degli impianti contaminati; 31 mila dai rifiuti prodotti durante la vita dei reattori e dei laboratori; e 8 mila dai rifiuti derivanti dal ritrattamento del combustibile irraggiato. Per quella data dovrà essere pronto il Deposito unico nazionale. Bocciata per una semi-insurrezione popolare la localizzazione del deposito a Scanzano Jonico nel 2003, ora è in stallo. E i più temono che i cosiddetti "depositi temporanei", che in questi anni sono stati e sono costruiti presso le centrali nucleari e gli altri impianti italiani, diventeranno di fatto definitivi.
Di Luca Carra.
L'ESPRESSO 15 APRILE 2011