Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Italiano Español English Português Dutch Српски
testa sito 2024
agustins100Di Agustín Saiz
Quando leggo nei messaggi che riceve Giorgio, l’espressione “salvare il salvabile”, immagino gli amici di Setun Shenar mentre cercano con attenzione di individuare nei monitor delle loro navi spaziali qualche piccola luce, seppur debole, in mezzo ad un oceano di anime. Quando leggo le parole di Giorgio che spiega che dobbiamo appoggiare i giusti, comprendo che delegano a noi la co-responsabilità di portare quel seme-luce rilevato nello spazio tempo del presente della “guerra di Armaghedon”, verso quell’altro spazio tempo definito “il regno di Dio in Terra”. Senza questo seme non esiste la promessa del ritorno perché non c’è regno di Dio in Terra.
Ricordo le visioni mistiche di molti veggenti in cui Satana chiede permesso dinanzi al trono del Padre per dimostrare che il progetto dell’uomo divino è un fallimento e il Padre, pur concedendogli tutto il potere per tentare gli uomini della Terra, allo stesso tempo accorcia i tempi perché altrimenti nemmeno i giusti si salverebbero. Quindi devo dedurre che da qualche parte, noi, fratelli delle arche, abbiamo in noi le risorse spirituali in grado di far sì che i valori cristici insiti in una appena delicata porzione del genere umano, sopravvivano al tormento della forza oppressiva del mondo. E se non ce l’abbiamo, sicuramente “Loro”, da lassù, saranno disposti ad amplificare il nostro grande sforzo. In poche parole emerge ciò che sembra essere una specie di patto implicito tra noi e il Cielo dal momento che ci consideriamo un’arca. Questo è ciò che fa Giorgio e ciò che dicono i messaggi nella loro essenza, al di là dell’informazione che ci permette di decodificare che questi sono i tempi del ritorno di Cristo.
Siamo stati chiamati a far parte di un programma che il Cielo ci ha preparato. Tutti i nostri successi operativi sono relativi nella misura che non siano supportati dai valori della fratellanza che vogliamo realizzare. Si suppone che il Cielo nella sua misericordia ci permetta di espletare diverse modalità di attività operative che sebbene hanno un loro obiettivo in sé, hanno il valore essenziale di mantenerci uniti nell’azione.
Dobbiamo fare attenzione al rischio che si può insinuare o già sta avvenendo, che le nostre attività nell’opera diventino compartimenti stagni incapaci di articolarsi in modo funzionale alla costruzione di una sola grande arca. I nostri gruppi operativi, delegazioni, radio, programmi, e altre attività, quando sono sostenuti soltanto dalla razionalità interiore a darle un senso, non si lasciano avvolgere da quell’altro tipo di razionalità, quella spirituale, quella che ci unisce e che è la base dalla quale noi dobbiamo partire per costruire. Non serve spiegare che questi esseri che guidano Giorgio, da un momento all’altro, possono programmare l’individuo che meno potremmo aspettarci (come fecero appunto con San Paolo!) per aprirsi uno spazio in televisione, sul canale nazionale, o ispirare una persona ricca affinché elargisca una donazione multimilionaria in modo spontaneo e anonimo per l’opera. Mi vengono in mente molti altri esempi infantili che possono ridimensionare i nostri programmi radio e attività di autofinanziamento, perché i nostri fratelli del cosmo non sono obbligati a canalizzare la missione che è stata loro affidata dal Padre attraverso i dispositivi o i mezzi che noi proponiamo, a meno che siamo in grado di dimostrare che lo meritiamo. Con Giustizia l’ira di Dio si rovescerà con forza sulle nostre arche nella misura che non diano i frutti per i quali furono create.
Ricordo il messaggio divino del 2013 diretto alle arche http://www.giorgiobongiovanni.it/messaggi-2013/4988.html, e da allora ad oggi vedo che i nostri malintesi, dubbi, diatribe non sono stati interpretati in quest’ottica: un test che, poiché dipende dalle nostre decisioni, porta le nostre divergenze a gravitare verso una deriva inconciliabile. Ho percepito il ricovero clinico di Juan Alberto, quasi senza segni di vita, come un punto quasi senza ritorno al programma delle arche in Argentina e Sudamerica.
Per questo motivo credo sia necessario approfittare della visita di Giorgio a Pasqua per domandarci in modo onesto qual è il nostro posto nell’opera e concretizzare la costruzione del corpo cristico come missione spirituale. Nella sua sacralità, e solo dopo saremo capaci di mettere a disposizione le nostre risorse materiali e spirituali per affrontare le difficoltà che possano presentarsi. A questo fine dobbiamo lasciare da parte tutto ciò che è chiaramente obsoleto, persino la nostra attuale comprensione dell’opera.
In Cristo, Agustín
Zarate 27/03/14