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paraguaymedina100Di Jean Georges Almendras

Poco importa la nazionalità dei viaggiatori. Poco importano i sacrifici fatti, che comunque sono stati in ogni momento fonte di insegnamento. Ciò che importa a prima facie  è che circa 80 anime, provenienti da diverse realtà, con esperienze di vita differenti, si sono date appuntamento ad Asunción (Paraguay). Una sola è stata la chiamata: quella della nostra coscienza, sebbene lo strumento sia stato Giorgio Bongiovanni, tramite una riunione skype, un giorno di ottobre.

La morte di un uomo. La morte di un giornalista chiamato Pablo Medina era già sufficiente per comprendere il motivo, il senso e la profondità della nostra presenza in Paraguay. Le notizie apprese dai giornali sull’assassinio del collega erano di per sé una ragione più che valida per il nostro viaggio? Ovviamente si. Così come un’interpretazione spirituale della tragedia. La nostra Opera si apprestava a vivere una dinamica senza precedenti, in tutti i suoi aspetti e sfaccettature: per la prima volta ci siamo mobilitati per una causa sociale, in funzione di una causa spirituale. O forse il contrario?   

Ma la storia ed il destino - nella metodologia celeste - sono implacabili. Già molto prima del 16 ottobre del 2014, la convocazione era stata delineata, dai misteri della vita stessa. O dal Cielo.  

Nel 2005 Pablo Medina – caricando sulle spalle la croce della morte di suo fratello Salvador – accoglieva a braccia aperte tutti noi e Giorgio Bongiovanni in Paraguay. L'amore verso la Verità e la Giustizia li accomunava fortemente. In quei giorni si sono stretti in un sentito abbraccio, per la prima volta. La loro reciproca stima ed unione di intenti si sarebbe consolidata negli anni a venire. Si sono incontrati nel 2009 in occasione del Congresso Antimafia a Rosario (Argentina), occasione in cui anche molti di noi, che abbiamo condiviso il recente viaggio in Paraguay, abbiamo avuto modo di conoscerlo profondamente, nonostante il fugace incontro.

Difficile dimenticare quando Giorgio, rompendo lo schema predisposto, lo invitò a salire sul palco fondendosi con lui in un unico abbraccio, il secondo. Nessuno dei presenti avrebbe immaginato che quell'abbraccio avrebbe sigillato e delineato un segno per il futuro. Un segno manifestatosi in quel fatidico pomeriggio del 16 ottobre, lungo un antico sentiero della regione di Ipejhú, nel dipartimento di Canindeyú, vicino alla frontiera del Brasile, in un Paraguay flagellato dalla mafia del narcotraffico. Uomini del male, mascherati, con addosso pistole e fucili ad alto potenziale, hanno sparato pallottole assassine sul suo corpo. In meno di 30 secondi hanno messo fine alla vita di Pablo e a quella della sua assistente, Antonia Almada, una ragazzina di 19 anni.  

Pablo, alla vista dei suoi assassini (che gli hanno teso un agguato), incrociando le braccia a croce sul suo viso, come chiedendo a Cristo una protezione immediata, ha avuto il tempo di dire ai suoi assassini "Non fatelo". Ma gli assassini lo hanno fatto, forti dell'impunità che impera oggi. Ma la morte non esiste. I loro corpi sono rimasti coperti di sangue, crivellati, all'interno di un camioncino. Ma le loro anime sono andate nella Luce eterna. Una terza occupante del veicolo, la sorella di Antonia, unica superstite dell’attacco mortale, con mani tremule e sotto shock, ha preso il cellulare di Pablo e la notizia dell'attentato si è sparsa a macchia d’olio.

Catapultati al martirologio della Verità, Pablo ed Antonia sono ancora più vicini alla Luce. Sono più vicini a noi.  E noi a loro. A Giorgio stesso, che ha acutizzato il proprio amore verso la loro causa comune, e gettato le reti per realizzare una mobilitazione senza precedenti nell'Opera.  

Pablo Medina era uno di noi. Aveva il nostro sangue. Era della nostra tribù, e tutti noi che abbiamo condiviso questo viaggio, questa mobilitazione, lo abbiamo potuto constatare. Ognuno a modo suo. E ancora una volta Giorgio è stato l'artefice ed il Maestro di questa esperienza, con la luminosità dello spirito di lotta ed il coraggio del rivoluzionario del Terzo Millennio che ora è. Come stigmatizzato e come giornalista. Come umanista e combattente sociale. Come mistico in un tempo di azione e di lotta sociale. Come essere umano che ha una  sensibilità. E come segno vivente ed operativo, in mezzo al fango dell'umanità patetica, perversa ed indifferente, che conosciamo e denunciamo.  

Giorgio ha convocato tutti i suoi fratelli delle Arche del mondo per condividere la sua missione mistica e la sua missione giornalistica, unite questa volta, più che mai. Giorgio doveva assolutamente essere presente vicino al suo amico, vicino a suo fratello caduto nell’adempimento del dovere di informare. Pablo Medina era uno dei nostri più amati colleghi antimafia ed è stato ucciso, come potrebbe essere ucciso chiunque di noi un domani.  

Lasciandoci guidare da Giorgio, come fratelli consapevoli dell’Opera che abbiamo abbracciato, abbiamo accolto l’appello e siamo salpati verso Asunción. Dall’Italia, dal Cile, dall’Uruguay e dall’Argentina. Più che per una manifestazione, per rendere omaggio a Pablo ed Antonia Almada, il pomeriggio del 18 novembre in Plaza de la Democracia. Per dimostrare la direzione intrapresa dall'Opera nel 2014, dove l’azione e l’impegno prendono nuova vita nell'anima di ognuno di noi, stringendoci insieme affinché l'incomprensione e le critiche o i cattivi umori rimangano fuori.

Per la prima volta ci siamo trovati a vivere tutti l'Opera e l’impegno sociale in una molteplice attività, piena di emozione, entusiasmo ed energia. Perché già solo il fatto di decidere di accompagnare Giorgio nella sua missione spirituale e giornalistica, ci ha fatti diventare Pablo Medina e servire l'Opera.  

Sacrificando ore di lavoro delle nostre rispettive occupazioni, comodità, piaceri e persino affetti, siamo stati Pablo Medina. Siamo stati l’Opera di Giorgio della quale ci sentiamo parte. Siamo stati noi stessi. I combattenti della vita, con valori cristiani. Siamo stati Pablo Medina, denunciando nella solitudine della sua terra inquinata dalla mafia, tutte le corruzioni possibili ed immaginabili. Siamo stati coerenti verso i nostri 25 anni di opera, dormendo in un letto che non era il nostro, sentendo la fatica, tollerandoci, rispettandoci, lontani dalle nostre case, dalle nostre abitudini, viaggiando per lunghe ore, chi guidando, chi in aereo, distribuendo volantini, attaccato locandine all'alba sui muri delle vie di Asunción, correndo dei i rischi, camminando sotto il sole cocente per le strade della capitale, pensando alla mafia e all’antimafia, pensando e riflettendo sul male cristallizzato nella società dei nostri fratelli paraguaiani, osservando impavidi il dolore di una famiglia distrutta dalla perdita fisica di tre figli.  

Siamo stati Pablo Medina ed abbiamo servito l'Opera, condividendo le lacrime dei suoi cari che sono sopravvissuti alla sua apocalisse. Siamo stati Pablo Medina girando redazioni giornalistiche, televisioni e radio. Siamo stati Pablo Medina intervistando giornalisti, senatori, pubblici ministeri e cittadini. Siamo stati Pablo Medina convivendo con Giorgio e Sonia Alea, e con chi, insieme a loro, ha attraversato l'Atlantico dalla loro terra nativa, l’Italia.   

Il nostro amico e fratello Pablo che ha dato la propria vita per la Verità stessa, per servire la quale diciamo di far parte di quest’Opera, era presente in ogni istante di attività e pranzi che abbiamo condiviso, stimolandoci a mantenere la nostra compostezza nel momento di parlare e di fare. Nel momento di denunciare che la sua morte, quella di Pablo e della sua assistente, rende loro onore.  

E saliti sul palco della Plaza de la Democracia, raccolti attorno a quell'emblematico atto di libertà, per una stampa libera e combattendo contro la mafia, abbiamo tracciato il nostro percorso nell’Opera. Un percorso che per la prima volta ci ha catapultato nella società umana (senza frontiere), impegnati intensamente con gli stessi valori del combattente sociale che fu il Maestro Gesù, così come oggi lo è la nostra guida, fratello ed amico: Giorgio.

Tutti insieme, uniti, abbiamo abbracciato la figlia più grande di Pablo, Dyrsen, i suoi anziani genitori, i suoi fratelli, i suoi cari. Tutti insieme, con Giorgio, in questi intensi giorni trascorsi in Paraguay, tra andirivieni, interviste, volantini, abbiamo dato un terzo sincero abbraccio a Pablo Medina. L'ultimo? Ne dubito. Portiamo Pablo sempre dentro di noi, eternamente. Vive con noi. Lotta con noi. Gomito a gomito. Per smascherare i suoi assassini del potere dello Stato, in connubio con il potere mafioso invischiato nella società che lo ha visto nascere. Ci abbracciamo con Pablo Medina e Antonia Almada ogni secondo ed ogni minuto di ogni giorno che passa.      

Chi di noi vive l'Opera da 24 anni, come nel mio caso, è stato protagonista per la prima volta di una mobilitazione di questo tipo e niente è stato invano, e tantomeno banale. Il tutto ha avuto uno sfondo tanto spirituale quanto sociale. Tanto giornalistico, quanto umano. Ogni momento di rischio, perché il rischio è stato presente, è stato tanto fondamentale ed utile così come ogni istante di fraternità, di incontri spirituali e di vita comune.

Nel concreto, questi giorni insieme hanno rappresentato un modo molto profondo e molto cristiano di fare l’Opera, nel campo della battaglia, molto distante dalla teoria, dal romanticismo e dalla spiritualità intellettuale ed inoperante. Un salto al presente, dall’interno di un’Opera scritta duemila anni fa. Un modo molto diretto e molto sottile di rivoluzionare il mondo, dalla spiritualità e dal cuore, ma con l'ira propria di un combattente del XXI secolo, stufo, molto stufo, di tanta demagogia, di tanta malignità concentrata nel potere e nella ricchezza, e di tante differenze sociali, morti ingiuste e molteplici impunità.   

25 Novembre 2014