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CRONACA SICILIA - 4 GIUGNO 2008

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22 maggio 2008, un caldo opprimente mi accoglie in questa terra straordinaria che è la Sicilia. Il nostro amico e fratello Giovanni viene a prendermi all'aeroporto, sua moglie Meri deve partorire a giorni e Giovanni incarna in ogni sua sfaccettatura il ruolo di futuro padre. Sfrecciamo sull'autostrada che conduce in città. Passiamo per lo svincolo di Capaci dove il 23 maggio di 16 anni fa Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i 3 agenti della sua scorta: Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro saltarono in aria su una bomba di mille chili. Le due steli con i loro nomi sono stati riverniciati di fresco quasi a nascondere il marcio annidato nel sistema politico di ieri così come di oggi. Sulla collina di fronte, là dove il mafioso Giovanni Brusca schiacciò il telecomando, c'è una casupola con scritto a lettere cubitali “NO MAFIA”. Un segnale forte che stride apertamente con l'eterna lotta tra  il bene e il male che si respira in ogni angolo di questa città. E' il 23 maggio. Mi avvio all'aula bunker del carcere dell'Ucciardone. Una cattedrale della giustizia che ha visto dietro le sbarre i peggiori criminali, alcuni dei politici più viscidi che con le loro alleanze con Cosa Nostra hanno permesso all'organizzazione di alzare sempre di più il livello. Fino ad arrivare in Parlamento. Si, fino al Parlamento. La copertina del nuovo numero di ANTIMAFIADuemila spezza il fiato. Si vede l'ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, recentemente condannato in I° grado a 5 anni per favoreggiamento personale di singoli mafiosi che si bacia con il senatore Marcello dell'Utri, condannato anch'egli in I° grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Il titolo non lascia spazio alle interpretazioni: “Baciamo le mani”. Siamo di fronte ad una mafia sempre di più dai “colletti bianchi” e sempre di più ai posti di comando. Appena consegno il giornale nelle mani di magistrati nostri amici, della stessa signora Falcone, sorella del giudice assassinato e di tanti altri osservo la loro reazione. Tutti rimangono colpiti, stupefatti e in alcuni casi anche preoccupati per aver osato sbattere in prima pagina la rappresentazione della sconfitta della democrazia nel nostro Paese. In quale altro Paese occidentale, civile e democratico siedono in Parlamento 17 condannati in via definitiva? E in quale altro Paese occidentale, civile e democratico siedono in Parlamento 70 esponenti politici condannati (in I° o in II° grado), alcuni prescritti, indagati o rinviati a giudizio? Siamo realmente all'epilogo per la giustizia in Italia. Con i magistrati privati dei mezzi principali per poter indagare e con la libera informazione ridotta sempre più al lumicino. In tutto questo contesto ANTIMAFIADuemila resiste e continua ad essere presente in quella che davvero si può definire una trincea. In una battaglia che con il passare degli anni diventa sempre più dura ma che per coerenza con gli insegnamenti del Cristo vale la pena portare a termine. Ormai da 8 anni siamo sempre presenti alla commemorazione dell'anniversario per la strage di Capaci. La nostra serietà, il coraggio della linea editoriale dettata da Giorgio, le analisi e la professionalità con la quale trattiamo una materia come la mafia ci hanno fatto apprezzare dalla maggior parte degli addetti ai lavori. Ma è sempre un lavoro pieno di insidie, con un'antimafia molto divisa al suo interno in inutili polemiche mentre Cosa Nostra la osserva come un caimano pronto ad afferrare la sua preda. Anche quest'anno Maria Falcone ha organizzato un incontro puntando ai giovani, oltre 1000 ragazzi  arrivano da tutta Italia portati da una nave che è partita da Civitavecchia. Ci sono molti bambini, insegnanti, famiglie. Molti di loro non erano neanche nati il 23 maggio 1992. Nell'aula bunker sfilano i protagonisti del Maxiprocesso, quello che il 10 febbraio 1986 aveva portato alla sbarra 474 mafiosi per poi concludersi il 16 dicembre 1987 con 19 ergastoli e 2665 anni di carcere comminati. Un evento senza precedenti. Ecco che interviene il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, all'epoca giudice a latere, Giuseppe Ayala, all'epoca Pm del Maxiproceso e poi ancora Liliana Ferraro ex collaboratrice di Giovanni Falcone al Ministero di Grazia e Giustizia, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta dello storico pool antimafia, moderati dal direttore di radio 24, Giancarlo Santalmassi. Ricordi e testimonianze dell'esperienza vissuta accanto a un uomo precursore dei suoi tempi come era Giovanni Falcone. E poi ancora un'altra tavola rotonda moderata dal direttore del Sole24Ore Ferruccio de Bortoli sugli ultimi successi nella lotta alla mafia insieme al presidente di Confidustria Sicilia Ivan Lo Bello e ad un rappresentante dell'associazione Addiopizzo Daniele Marannano. Esco dall'Aula Bunker e mi incammino verso l'albero Falcone, una splendida magnolia di fronte a quella che era stata la casa del giudice palermitano e che oggi è il simbolo del riscatto dei siciliani onesti. Ci si ritrova tutti lì. Sul palco arriva il cantante Jovanotti che intona una sua canzone scritta poco dopo la strage di Capaci: "Migliaia di ragazzi in piazza a Palermo un saluto alla bara del giudice Falcone – canta Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, ed è subito un boato generale –  migliaia di ragazzi hanno bisogno di una risposta. Hanno bisogno di protezione. I ragazzi son stanchi dei boss al potere; i ragazzi non possono stare a vedere, la terra sulla quale crescerà il loro frutto bruciato ed ad ogni loro ideale distrutto. I ragazzi denunciano chiunque acconsenta col proprio silenzio un'azione violenta. I ragazzi son stanchi e sono nervosi, in nome di Dio a fanculo i mafiosi. I ragazzi denunciano chi guida lo stato per non essersi mai abbastanza impegnato...". Parole come pietre che rimbalzano sulla facce sfingee di diversi politici presenti. Alle 17,58 una tromba suona il silenzio. In molti rivolgono lo sguardo in alto verso il cielo azzurro di questa città.  Speranze, paure, l'incognita del futuro in una terra che aspetta ancora giustizia. Mi avvio verso casa. Dopo un weekend di organizzazione per i giorni a venire mi preparo per la conferenza sull'Ora di Antimafia a scuola. Lunedì 26 prendo il bus verso Catania, mi incontro con Graziella Proto, una nostra carissima amica che è stata una stretta collaboratrice del giornalista Pippo Fava, direttore de I Siciliani, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984. Graziella è una grande anima che ha speso tutta la sua vita insieme a Riccardo Orioles per la libertà di informazione nella lotta alla mafia prima con I Siciliani e ora con il mensile Casablanca che, fra mille difficoltà, si fa strada nella palude dell'informazione “ufficiale”. Con Graziella arriviamo a Riposto, un paesino vicino Giarre (CT) dove ad attenderci c'è il nostro amico e fratello Saro Pavone al quale affido subito il compito di scattare alcune fotografie fino all'arrivo di Giorgio Barbagallo che si metterà a fotografare con un apparecchio molto più professionale del nostro insieme al suo amico Angelo! La conferenza riguarda un tema decisamente scomodo e cioè l'ora di antimafia a scuola. All'inizio dell'incontro viene ricordato Emanuele Giuliano, venuto a mancare due giorni prima, fratello dell'ex capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, ucciso dalla mafia nel 1979. Con Emanuele Giuliano c'era un rapporto di amicizia e di collaborazione che ci univa fortemente e l'applauso a lui dedicato mi fa sentire accanto la sua presenza. Si torna poi a discutere del progetto di legalità in questione. Come ANTIMAFIADuemila abbiamo aderito ad una proposta legislativa fortemente voluta dal senatore Giuseppe Lumia (presente alla conferenza insieme ad Angelina Manca, la mamma dell'urologo ucciso dalla mafia Attilio Manca, all'on. Nello Musumeci, all'imprenditore Angelo Vecchio e ad altri), al quale ci lega un profondo rapporto di amicizia e di collaborazione. L'intervento di Angelina Manca è vibrante, un grido forte di una madre che chiede giustizia. Il progetto di insegnare antimafia a scuola viene illustrato poi da ogni relatore, senza nascondere le difficoltà oggettive, a nome del giornale ribadisco il nostro sostegno anche in virtù di una generazione di giovani volutamente annichilita da un sistema informativo e scolastico mirato ad addormentare le coscienze. Al termine della conferenza prendo nuovamente il bus verso Palermo dove nel frattempo Anna, preparata come sempre a reggere la battaglia, è già arrivata e si è sistemata a casa di Giovanni e Meri. All'indomani ci vediamo davanti a Palazzo di giustizia. Comincia la lunga serie di appuntamenti. Anche in questo caso grande apprezzamento da parte di tutti i magistrati per la copertina del giornale e soprattutto per i contenuti. Palazzo di giustizia è un cantiere aperto. Impalcature nei corridoi, uffici da imbiancare, mobili ammucchiati da tutte le parti, nel mezzo qualche temerario magistrato che tenta di lavorare in mezzo al caos più totale. In un certo senso l'immagine del Palazzo di giustizia rappresenta perfettamente lo stato della giustizia nel nostro Paese, che in prospettiva è decisamente anche peggio. Il pomeriggio passiamo a salutare Manfredi Borsellino, figlio del giudice Paolo Borsellino, al quale ci lega una profonda amicizia. Manfredi, sua moglie Valentina e i suoi due figli Merope e Paolo ci accolgono con grande affetto nella loro casa, ci chiedono di Giorgio e ascoltano attentamente ciò che raccontiamo loro. La sera poi ci vediamo a casa di Letizia Battaglia, nostra grandissima amica, nota fotografa in tutto il mondo per aver immortalato le immagini più forti della mattanza di mafia dagli anni '70 fino alle stragi del 1992. Letizia è uno spirito combattente che a 73 anni non smette di dare amore al suo prossimo con una sete di giustizia addosso più unica che rara. La cena a casa sua è sempre un momento di condivisione di quella rabbia e disillusione per lo stato delle cose, ma anche di speranza e soprattutto di coraggio per non arrendersi. Mai. Dalla sua terrazza si vede gran parte della città. Palermo illuminata fa un effetto ancora più inquietante e allo stesso tempo ammaliante. Il mattino dopo prendiamo l'autobus e ci rechiamo a Trapani. Come sempre una volta arrivati ci sentiamo gli occhi addosso. In  questa città senti palpabile la presenza di Cosa Nostra e dei poteri ad essa collegati. Andiamo dal capo della squadra mobile Giuseppe Linares che da anni sta dando la caccia all'ultimo grande latitante Matteo Messina Denaro, criminale sanguinario che ha sulla coscienza anche le stragi del 1993 (Firenze, Milano e Roma) dove morirono persone civili, una famiglia intera con una bimba di appena 50 giorni (Caterina Nencioni). Linares ci trasmette subito la sua volontà incontenibile a voler vincere questa guerra contro Cosa Nostra e contro quelle collusioni a livello politico che da sempre sono la linfa vitale della mafia stessa. La rabbia di quest'uomo è pari alla sua determinazione a non mollare. Ci trasmette tutta la sua stima nei confronti del nostro lavoro sottolineandone la grande importanza. Ci congediamo da lui con mille pensieri in testa, uomini come lui che combattono ad armi impari contro una manifestazione del male molto più organizzata e compatta. La presenza-assenza di uno Stato che “a corrente alternata” si impegna a dare i mezzi per combattere la mafia... e ancora tanti altri pensieri su persone che fedeli ad un'ideale di giustizia immolano la propria vita giorno dopo giorno. Subito dopo passiamo in Procura dal magistrato Andrea Tarondo con il quale parliamo delle ultime inchieste antimafia nel trapanese. Anche davanti a lui ci rendiamo conto di come un uomo possa vivere al servizio della giustizia nonostante ostacoli, impedimenti e palesi tentativi, anche extra-istituzionali, di fermare il proprio lavoro. Rientriamo a Palermo. Il caldo è sempre più opprimente. Sfibrante. Il traffico caotico, destabilizzante, Giovanni ci viene a prendere alla fermata del bus e ci ristora con una sua tipica cena e soprattutto attraverso un momento di raccoglimento spirituale che rintempra i nostri spiriti.
La mattina dopo siamo ancora in Procura a Palermo, gli incontri si intensificano, cerchiamo materiale per il prossimo numero, parliamo con i magistrati per capire alcune dinamiche e per poter approfondire le nuove metamorfosi mafiose.
Il tempo corre veloce. Il caldo non ci dà tregua e già ci prepariamo per il viaggio del giorno dopo a Caltanissetta. Il bus ci lascia al capolinea di questa città nota per essere stata la capitale giudiziaria nei processi per la strage di Capaci e di via d'Amelio. Ci incamminiamo verso Palazzo di giustizia iniziamo con il procuratore capo Sergio Lari che definisce la copertina del nostro giornale “una sconfitta per la democrazia”, con lui discutiamo dei problemi reali della giustizia, della carenza di organico, di una procura come quella di Caltanissetta che ha in mano le ultime indagini sui mandanti esterni per le stragi del '92 e che si ritrova con un pugno di magistrati costretto a fare gli straordinari per reggere il ritmo. Un paradosso. In un altro paese le indagini sui buchi neri di una democrazia verrebbero affidate a un pool di magistrati impegnati a tempo pieno su temi che coinvolgono apparati della politica, della massoneria e di tutti quei poteri strettamente legati a Cosa Nostra che sono co-responsabili delle stragi in Italia. Anche a Caltanissetta l'aria è pesante e anche qui il lavoro di ANTIMAFIADuemila assume un ruolo determinante, che ci carica di ulteriori responsabilità nei confronti di chi ha bisogno della nostra “voce”. Nel frattempo ci arriva la notizia che è nato Lorenzo, il figlio di Giovanni e Meri e che ci riempie di gioia.
Rientriamo a Palermo, poco dopo ci vediamo con Giovanni che ci porta alla clinica dove sono sistemati Meri e il piccolo Lorenzo. Lo sguardo antico di questo bimbo ci riporta alla mente vecchi ricordi mentre fuori la città scalpita, Giovanni e Meri sono felici e noi con loro.
Sabato mattina ripartiamo, difficile sintetizzare la miriade di pensieri che ci accompagna. Palermo è sempre più vicina. La missione di Giorgio è sempre più concatenata a questa città. Così come la nostra missione. E così come quella che appartiene ad ogni uomo e ad ogni donna che sente insopprimibile dentro di sé il bisogno di cercare Giustizia, il bisogno insopprimibile di amare fino all'ultimo dei suoi giorni.

Lorenzo Baldo, Anna Petrozzi
Sant'Elpidio a Mare 4 giugno 2008