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ignavi200Dalla Divina Commedia un insegnamento per il presente
Di Marco Marsili
Parlando con la gente, spesso ci sentiamo dire "ma io non posso far nulla per cambiare le cose", oppure "ma io devo pensare a me stesso, a far star bene i miei cari", oppure "ma io sto bene così, vivo la mia vita senza far male a nessuno", oppure "io non ho bisogno di schierarmi, di partecipare a qualche movimento o gruppo, sono una brava persona e non voglio guai", oppure "non ha senso impegnarsi perché tanto il mondo non cambia", "il male è sempre esistito, fattene una ragione e pensa a lavorare, pensa al tuo futuro, alla tua famiglia", ecc, ecc...

Insomma spesso ci troviamo di fronte a persone (parenti, amici e conoscenti) che rientrano nella immensa schiera degli IGNAVI, i quali secondo Dante "non furono mai vivi".
Nell'Antinferno, prima di incontrare Caronte il traghettatore dell'Ade, Dante sente grida, bestemmie, lamenti e botte:

"Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle".
Così chiede spiegazioni a Virgilio, che risponde:
"Questo misero modo
tengon l'anime triste di coloro
che visser senza infamia e senza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
degli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé foro."

Sono gli ignavi, i tiepidi, coloro che pensano solo per se stessi e per la propria famiglia, per i propri interessi, e non agiscono mai per un ideale, per aiutare qualcuno oppure per fare del male, e perciò sono scacciati sia dai Cieli che dall'Inferno.
Così chiudo questo pensiero estemporaneo con le famigerate parole che Virgilio rivolge a Dante, come un ammonimento e un consiglio per ciascuno di noi:

"Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che invidiosi son d'ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa."


Marco Marsili
12 Febbraio 2018

 LA POESIA DELLE STELLE
Marco Marsili – Febbraio 2018

Questa sera guardando il cielo ho provato una intensa nostalgia. Pensavo a quante genti strane e diverse popolano l’infinito Universo e sentivo nel cuore del mio cuore una struggente e trasognata ispirazione, come una vaga idea di abbandonare le mortali spoglie che abito in questa dimensione. Allora una voce amica ha chiamato il mio nome ed io ho teso l’orecchio della mente alle sue parole, placando il gregge languido dei miei mesti pensieri:

“Éa! Salute a te, figliolo! Apri il libro che è nel cassetto e leggi quel che trovi scritto. Ti sarà di consolazione saper che come te, altri prima di te hanno versato lacrime mirando in cielo arder le stelle, contemplando il corso immortale e gli eterni giri della luna, giovinetta immortal ed eterna peregrina, e gli altri corpi celesti della stanza smisurata e superba del firmamento, i quali girando senza posa evocano e promettono in quel profondo e infinito Seren l’unisono corale dell’innumerabile Famiglia delle creature, le quali con te condividono il medesimo respiro che per Amore nasce e rinasce nell’Eterno Presente di Colui che tu pensi e non vedi: la Grande Intelligenza Onnicreante.”

Ed io, da sempre innamorato della Poesia, già intuivo ciò che nel libro avrei trovato; così con commozione apersi le pagine ed ecco quel che vi lèssi:

“…Forse s’avess’io l’ale

da volar su e nubi,

e noverar le stelle ad una ad una,

o come il tuono errar di giogo in giogo,

più felice sarei, dolce mia greggia,

più felice sarei, candida luna.”

(Leopardi, dal “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”)