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terremotoPor Claudio Rojas G.

La Santissima Vergine a Peñablanca, Villa Alemana-Cile: “I sacerdoti, figli miei, per la loro empietà e irriverenza nel celebrare i santi Misteri, per il loro amore per il denaro, per gli onori ed i piaceri, sono diventati cloache di impurità. Sì, i preti provocano la vendetta, e la vendetta pende sulle loro teste. Siano maledetti i sacerdoti e le persone consacrate a Dio che, con la loro infedeltà e la loro vita malvagia crocifiggono di nuovo mio Figlio, Vostro Signore.''

Una donna tiene in mano un cartellone di protesta durante la messa del 25 luglio nella cattedrale di Santiago. I vescovi del Cile si sono dimessi in massa dopo le rivelazioni sugli abusi sessuali e la corruzione.

La Procura del Cile ha aperto 37 fascicoli di indagine in tutto il paese a carico di membri della Chiesa Cattolica, per eventuali abusi sessuali. Le procure di O’Higgins e Metropolitana comprendono le due cause più importanti. Nell’ambito di una di queste il cardinale Ricardo Ezzati sarà chiamato a deporre questa settimana come imputato per presunto favoreggiamento.

Lo scorso 15 gennaio, Papa Francesco ha calpestato il suolo cileno, dopo 30 anni dall’ultima visita papale. Il suo obiettivo: avvicinarsi al popolo cileno e reintegrare il cattolicesimo nazionale, colpito dalle denunce di abusi sessuali all’interno degli Istituti della Congregazione Marista e dalla figura controversa dell’allora vescovo di Osorno, Juan Barros, che lui difese nonostante le denunce di presunto insabbiamento di abusi che le vittime di Karadima hanno ulteriormente confermato.

Questo viaggio del Papa ha segnato un cambiamento. Un crollo. Dopo il suo rientro a Roma e dopo aver disposto il viaggio in Cile della missione del vescovo di Malta, Charles Scicluna, e ricevuto le vittime di Karadima in Vaticano, il Papa ha inviato una lettera alla Conferenza Episcopale accusando la Chiesa creola di mantenere una "cultura dell'abuso e dell’insabbiamento”.

La missione Scicluna ha invitato tutte le vittime a denunciare, appello che ha trovato l’adesione del procuratore nazionale, Jorge Abbott, generando un'onda di "casi" a livello nazionale. Il tema degli eventuali abusi nella Chiesa è giunto in mano alla giustizia definitivamente. È uscito dai templi per entrare negli uffici dei pubblici ministeri del Ministero Pubblico. Il persecutore nazionale, Jorge Abbott, infatti, ha sollecitato un catasto nazionale, secondo il quale ad oggi esistono 37 fascicoli di indagine aperti per abusi sessuali, e sono indagate 68 persone. Di queste, 36 sono chierici - compresi tre vescovi -, 31 sacerdoti e due diaconi. Fino ad ora le vittime dichiarate sono 104, delle quali 52 sono minorenni. Sono state implicate 11 sedi religiose.

E ancora…

Il Papa condanna con “dolore e vergogna” le “atrocità” degli abusi sessuali

Francesco dice che: “è necessario che i colpevoli prendano urgentemente coscienza delle proprie responsabilità e ne diano conto: non solo chi ha commesso i reati, ma anche coloro che li hanno occultati, in molti casi vescovi”.

Riguardo la Lettera di Papa Francesco indirizzata al Popolo di Dio e resa pubblica il 20 agosto, dove il Pontefice afferma ancora una volta la sofferenza patita da molti minorenni a causa di abusi sessuali, di potere e psicologici commessi da "un notevole numero di chierici e persone consacrate", e l’impegno per garantire la protezione dei minorenni e degli adulti in situazione di vulnerabilità, il Direttore dell'Ufficio Stampa della Santa Sede sottolinea quanto segue:

"È per l'Irlanda, è per gli Stati Uniti, è per il Cile, ma non solo. Papa Francesco ha scritto a tutto il Popolo di Dio e ciò significa tutti ed ognuno di noi. È significativo che il Papa faccia riferimento agli abusi come un crimine, non solo un peccato, e che chieda perdono. Ma lui è ben cosciente che tutti gli sforzi non saranno sufficienti per riparare il danno fatto alle vittime."

"Il Papa ha ascoltato - aggiunge - molte vittime negli anni, e chiaramente questo si evince nella lettera."

Il Direttore dell'Ufficio Stampa della Santa Sede sottolinea le parole del Pontefice sulla prescrizione dei reati e la presa di responsabilità da parte dei colpevoli:

"Il Papa lo sottolinea: 'le ferite non prescrivono mai". "Dice che c’è urgente bisogno che i colpevoli paghino per ciò che hanno fatto: non solo quelli che hanno commesso i crimini, ma anche quelli che li hanno occultati, e ciò in molti casi include i vescovi".

E conclude:

"Oltre a fare un appello a tutta la Chiesa Cattolica affinché siano adottate le misure di protezione necessarie in tutte le istituzioni, anche il Papa chiede che tutti i credenti facciano la loro parte, con gli strumenti tradizionali per combattere il male: preghiera e penitenza”.

Testo completo della Lettera del Papa Francesco al Popolo di Dio

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). Queste parole di San Paolo risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità.

1. Se un membro soffre

Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco di circa settant’anni. Benché si possa dire che la maggior parte dei casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite “non vanno mai prescritte”. Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare. Il cantico di Maria non si sbaglia e, come un sottofondo, continua a percorrere la storia perché il Signore si ricorda della promessa che ha fatto ai nostri padri: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53), e proviamo vergogna quando ci accorgiamo che il nostro stile di vita ha smentito e smentisce ciò che recitiamo con la nostra voce.

Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli. Faccio mie le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! […] Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr Mt8,25)» (Nona Stazione).

2. Tutte le membra soffrono insieme

La dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che le protegga e le riscatti dal loro dolore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale, «perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2 Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165). L’appello di San Paolo a soffrire con chi soffre è il miglior antidoto contro ogni volontà di continuare a riprodurre tra di noi le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).

Sono consapevole dello sforzo e del lavoro che si compie in diverse parti del mondo per garantire e realizzare le mediazioni necessarie, che diano sicurezza e proteggano l’integrità dei bambini e degli adulti in stato di vulnerabilità, come pure della diffusione della “tolleranza zero” e dei modi di rendere conto da parte di tutti coloro che compiono o coprono questi delitti. Abbiamo tardato ad applicare queste azioni e sanzioni così necessarie, ma sono fiducioso che esse aiuteranno a garantire una maggiore cultura della protezione nel presente e nel futuro.

Unitamente a questi sforzi, è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. Così amava dire San Giovanni Paolo II: «Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49). Imparare a guardare dove guarda il Signore, a stare dove il Signore vuole che stiamo, a convertire il cuore stando alla sua presenza. Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza. Invito tutto il santo Popolo fedele di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore,[1] che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso.

E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita.[2] Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente»[3]. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo.

E’ sempre bene ricordare che il Signore, «nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro. Tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione. La dimensione penitenziale di digiuno e preghiera ci aiuterà come Popolo di Dio a metterci davanti al Signore e ai nostri fratelli feriti, come peccatori che implorano il perdono e la grazia della vergogna e della conversione, e così a elaborare azioni che producano dinamismi in sintonia col Vangelo. Perché «ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 11).

E’ imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione.

Al tempo stesso, la penitenza e la preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci spinga a camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza.

In tal modo potremo manifestare la vocazione a cui siamo stati chiamati di essere «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1).

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme», ci diceva San Paolo. Mediante l’atteggiamento orante e penitenziale potremo entrare in sintonia personale e comunitaria con questa esortazione, perché crescano tra di noi i doni della compassione, della giustizia, della prevenzione e della riparazione. Maria ha saputo stare ai piedi della croce del suo Figlio. Non l’ha fatto in un modo qualunque, ma è stata saldamente in piedi e accanto ad essa. Con questa posizione esprime il suo modo di stare nella vita. Quando sperimentiamo la desolazione che ci procurano queste piaghe ecclesiali, con Maria ci farà bene “insistere di più nella preghiera” (cfr S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 319), cercando di crescere nell’amore e nella fedeltà alla Chiesa. Lei, la prima discepola, insegna a tutti noi discepoli come dobbiamo comportarci di fronte alla sofferenza dell’innocente, senza evasioni e pusillanimità. Guardare a Maria vuol dire imparare a scoprire dove e come deve stare il discepolo di Cristo.

Lo Spirito Santo ci dia la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio.

Vaticano, 20 agosto 2018

Claudio Rojas G.

21.08.2018