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alessandraDi Alessandra Alakananda Miccinesi
“L’amor che move il sole e l’altre stelle”, “amor ch’a nullo amato amar perdona” e via poetando. Coi suoi versi divini zuppi d’amore e conoscenza, Dante ci direbbe che amore non è altro che nutrimento spirituale ‘de l’anima e de la cosa amata’. Un sentimento vivo e altruista, l’amore. E’ stato definito, dipinto, scolpito, discusso e declamato in così tante fogge che se potessimo elencarle tutte, accendendo una stella per ognuna, il firmamento intero arderebbe. L’amore dorme nella penna dei poeti che scrivono versi di luce e bellezza. E’ nel calore di chi ti abbraccia, dando voce a un corpo che grida la forza di un sentimento eterno
 

E’ negli occhi di chi guarda un bimbo, o un anziano, con la stessa tenerezza di chi vede la fibbia circolare della vita stringersi ad ogni respiro. Amore è la commozione di una preghiera che può esser gridata davanti a una vetta che sfida l’infinito o sussurrata ai piedi di un altare sacro. E’ il motore del cuore, battito di un infinito sentire, è la forza della vita. Nel nome dell’amor omnia vincit l’uomo ha compiuto e compie le azioni più eroiche, ardite, commoventi. Eppure, parlando del più alto tra i sentimenti, non sempre le idee corrispondono alle azioni. Specie quando confondiamo l’amore col possesso.

Lo yoga da millenni insegna che amore è condivisione e armonia, ma soprattutto gioia. E’ uno stato del cuore che non basta a sé stesso, perché crea vortici sempre più grandi man mano che il sentimento si amplifica e si espande, contagiando il prossimo con le sue benefiche vibrazioni. Lasciare libero l’amore è una delle prerogative di questo sentimento eterno e nutriente, intorno al quale l’uomo – creato a immagine e somiglianza del Divino - costruisce la sua piena esistenza. Una delle frasi più celebri di sua Santità il Dalai Lama è “Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per restare”. Aforisma che in maniera eccelsa spiega, poeticamente e figurativamente, che l’amore deve potersi esprimere sul terreno in cui l’umano spesso inciampa a causa dei suoi limiti. Perché l’amore si nutre di libertà, autonomia indefettibile, e anarchia assoluta. Ogni vincolo, costrizione, dovere, impegno od obbligo - anche se superbamente celati da buone intenzioni – rattrappiscono le ali dell’amoroso sentire, tirandolo giù dal suo cielo di carta. Questo ampio preambolo serve a sottolineare come la sensibilità e il rispetto verso l’amore che nutriamo nei confronti degli altri (e per noi stessi) è indispensabile a mantenere in equilibrio un’esistenza degna di essere definita umana.

Ogni costruttore saggio sa che per edificare un ponte solido servono fondamenta e studio della morfologia del territorio. La qualità dei materiali e l’analisi del terreno potrebbero però non bastare. Per dare stabilità all’arco bisogna rispettare i calcoli matematici, l’influenza delle forze naturali e l’impatto delle energie che sfrutteranno il ponte. Anche noi, per essere costruttori geniali del nuovo mondo, dobbiamo imparare a realizzare costruzioni armoniose che rispettino la bellezza naturale affinché si generino buone vibrazioni. Il ponte è un bell’esempio, perché è un veicolo d’amore potente e supremo. Simboleggia l’unione, perché al contrario dei muri mette in collegamento i popoli, anziché dividerli. Allo stesso modo, lo yoga può essere considerato ponte di comunione tra le spiritualità delle culture sul pianeta in quanto lascia all’anima, allo spirito, e al corpo piena libertà di procedere sul sentiero evolutivo, secondo il suo sentire. A patto che vengano rispettati norme e codici. Queste regole, nello yoga, si chiamano Yama e Nyama e rappresentano i primi due gradini di una scala di otto passi (ashtanga, letteralmente otto membra) descritti dal saggio Patanjali nei suoi celebri aforismi yoga.

Yama e Nyama sono le fondamenta dello yoga, regole morali e comportamentali senza le quali yoga è solo una ginnastica. Rappresentano le radici di una filosofia che da millenni ci nutre di amrita, il nettare spirituale. Ogni serio ricercatore usa gli antichi precetti come un panno per lucidare il proprio specchio interiore e guardare meglio il riflesso del mondo attraverso gli altri. Yama (le astensioni) e Nyama (osservanze) sono 10 regole che suggeriscono la via più rapida e efficace per evolvere, migliorando il proprio stile di vita. Non sarebbe possibile e nemmeno pensabile, del resto, sperare di trasformare il vettore ‘corpo-mente-respiro’ in un veicolo trascendente senza aver fatto almeno una doccia o un digiuno. Questi ‘comandamenti’ indiani insegnano al sadhaka (chi persegue un cammino di evoluzione della coscienza) a procedere efficacemente sulla via. Che non vuole certo dire non incontrare ostacoli sul percorso ma avere le risorse giuste per evitarli, ed arrivare ad avere una chiara visione dell’esistenza.

Chi lo avrebbe mai detto, in tempi di webinar e streaming scanditi da clic e like, che lo yoga anche quello più moderno e dinamico – da quello aereo sull’amaca a quello acrobatico in coppia – potesse osservare un decalogo morale per esprimere al meglio le sue potenzialità. Yama e Nyama compaiono per la prima volta in forma scritta nel V secolo d.C. negli “Yoga Sutra” di Patanjali (figura vissuta forse sotto le spoglie di un grammatico oppure di un filosofo) universalmente considerato il fondatore del Raja yoga, lo yoga regale. Il testo di Patanjali è considerato il sacro testo dello yoga-darshana che racchiude una sapienza ancestrale in forma alchemico-spirituale. Grazie a questo testo l’autore ha trasformato il misticismo yoga in filosofia pratica (yoga è uno dei 6 sistemi ortodossi dell’induismo). Per penetrare a fondo nel cuore degli insegnamenti – in tutto 196 aforismi divisi in 4 capitoli - è necessario il commento di un guru o di un vero maestro di saggezza, che illumini la consapevolezza del lettore al fine di svelare l’essenza pura di ogni sutra.

Il secondo versetto del primo capitolo degli aforismi di Patanjali recita YOGA CHITTA VRITTI NIRODA, ovvero lo yoga è l’equalizzazione delle onde pensiero della mente. Dove ‘equalizzare’ significa portare con gentilezza chitta (ovvero l’aspetto consapevole del mentale: cioè colui che sa, che veramente conosce) a vibrare su una frequenza stabile, esente da picchi energetici o brusche alterazioni di frequenza. L’esempio pratico è quello dell’armonizzazione del costrutto mentale come se si versasse olio a filo, e non a fiotti, sull’insalata. La mente, strumento che serve a captare i pensieri come un’antenna ricevente viene quindi portata – tramite le tecniche yogiche - a trascendere il frutto del suo cogitare. Dicono le Upanishad: La mente è il problema, ma anche la soluzione. E i comandamenti yogici - Yama e Nyama – rappresentano il primo step per placare le fluttuazioni del mentale.

Yama sono le astinenze (i ‘non’ si fa), ovvero le regole che ci consentono di vivere nella collettività senza arrecare danno al prossimo, all’ambiente e di conseguenza a noi stessi. Sono i precetti che se utilizzati ovunque sul pianeta innalzerebbero la frequenza della Madre Terra. Nyama invece sono le osservanze (i ‘si’ fa) cioè le cinque virtù che applichiamo su di noi per procedere spediti nel cammino evolutivo. A Yama appartengono ahimsa (non violenza verso il prossimo e verso il sé: no a tutte le prepotenze e alle azioni coercitive), satya (sincerità nel verbo, nei pensieri e anche nei comportamenti), asteya (onestà intellettuale e materiale: il ‘non rubare’ dei comandamenti cristiani), brahmacharia (continenza, cioè non disperdere l’energia sessuale e amare il divino in qualunque creatura), aparigraha (non essere avidi con i soldi, con gli oggetti: l’essere possessivi può creare frustrazione e pericolose manie di controllo). Di Nyama fanno, invece, parte saucha (pulizia interiore ed esteriore, il non inquinamento personale con cibi spazzatura o uso di sostanze tossiche: droghe, alcol etc), santosha (contentezza di ciò che si ha e di chi si è), tapas (le austerità: sono i sacrifici offerti alla collettività e a noi stessi che fortificano il corpo e temprano lo spirito), svadiyaya (conoscenza del sé e studio dei testi sacri), e ishvarapranidhana (surrender, ovvero l’abbandono al divino dedicando all’essere supremo ogni azione, ogni pensiero, ogni respiro).

Yama e Nyama sono azioni semplici, ma di difficile applicazione. La misera condizione dell’uomo d’oggi, dal punto di vista etico e morale, lo conferma. Navighiamo a vista, nonostante lo yoga sia diventata una pratica di tendenza. Il suo cuore antico e sacro è stato vilipeso – ignorato per esempio l’aspetto mistico-devozionale - a vantaggio dell’allenamento fisico considerato un training svincolabile dal resto degli insegnamenti. Siccome nessuna via pratica per l’illuminazione (samadhi) è scevra dalla purificazione della mente, e nessun asceta può superare la dualità senza l’ausilio del corpo, mente e materia - che sono intimamente legati - devono poter collaborare: essendo fatti della stessa sostanza vitale essi rappresentano sia l’ostacolo, sia lo strumento per superarlo. E se impariamo ad assolvere a questo compito con maestria, anche nell’attuale incarnazione, potremo sperare di fare il salto quantico. Perché la strada per accedere alle più alte dimensioni è lastricata di creazioni (crea-azioni) di stampo superiore. Non solo di buone intenzioni.

Con amore, Alessandra

28 Novembre 2020

Allegati:

- 14-11-20 Il Kurukshetra, messaggio per l’uomo cosmico
https://www.thebongiovannifamily.it/cronache/cronache-dalle-arche/cronache-dalle-arche-2020/8742-il-kurukshetra-messaggio-per-l-uomo-cosmico.html

- 4-11-20 A proposito di Yoga
https://www.thebongiovannifamily.it/cronache/cronache-dalle-arche/cronache-dalle-arche-2020/8730-a-proposito-di-yoga.html