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fenicotteri200Di Gaetano Ferrara

Kirui era ormai giunto alla fine della sua vita terrena. Mentre di notte volava con i suoi compagni di sempre, per planare sulle acque della sua casa, il lago Nakuru in Kenya, aveva già comunicato al gruppo che quella per lui sarebbe stata l’ultima volta.

I suoi quasi trent’anni, la perdita di due delle sue dodici piume nere, erano state un segnale chiaro della fine. Al suo fianco Zawade volava piangendo, consapevole della sorte del suo compagno. Le lacrime erano luccicose e brillanti, colpite dai raggi di una meravigliosa luna piena, della quale non ci si faceva mai l’abitudine.

Kirui, che invece era emozionato in vista del più magico momento della sua esistenza, aveva uno stato d’animo trepidante e leggero come la sua figura dalle ali purpuree. “Zawade! Non fare così! Dai! Tocca a tutti lo sai! E’ un fatto NA-TU-RA-LE. Poi bisogna considerare, che dalle origini dei tempi siamo stati assicurati che si tratta solo del passaggio in un’altra dimensione, lo sanno tutti che la vita è eterna. Su, amore, non essere triste, sorridi…” disse Kirui sfiorandole un’ala per accarezzarla.

“Senti! Non mettere becco in questa cosa! Ma tu che ne sai? Te l’ha detto qualcuno? Lo hai letto da qualche parte? E se invece finisse tutto tutto? Me lo spieghi? E fai presto che stiamo per arrivare, che se facciamo in tempo…!”

Kirui abbassò la testa per permettere alla grassa risata di pancia di attraversare il lungo collo ed uscire, il che gli destabilizzò l’assetto di volo portandolo in fase di stallo momentaneo. A Zawade non mancò il suo consueto sarcasmo, dicendogli con un accenno di sorriso: “Scemo! Che fai? Mi precipiti?”

In effetti le risate seguenti fecero precipitare Kirui di qualche metro, ma prontamente riprese rotta e assetto, raggiungendo la madre dei loro quattordici giovani figli volanti, che seguivano obbedienti i genitori.

“Sei la solita uccellaccia del malaugurio! Quante volte te lo devo dire che non c’è stato mai bisogno né che qualcuno me lo dicesse, né che fosse scritto da qualche parte. L’ho compreso da solo. Da solo! Se mi sbaglio non avrò nemmeno un nano secondo per rammaricarmene. Scusa, lo segui il ragionamento…” Zawade lo interruppe:

"Inizia a planare filosofo… Siamo a poco più di un Km, e non vorrei atterrare in bocca a un ippopotamo che sta sbadigliando. E’ ancora notte. Ti ricordi la fine che fece Mdaku l’anno scorso? Parlava, parlava, parlava… e finì sopra un istrice in piena fase di accoppiamento, passando gli ultimi minuti trafitto dai pungiglioni sulla sua schiena. Che morte assurda!”

Con una sghignazzata fragorosa Kirui precipitò e si allineò nuovamente.

Poco distanti dalla riva del lago, l’avvoltoio di nome Kerubo, sonnecchiava in attesa. Sdraiata vicino a lui la iena di nome Fisi bofonchiava ringhi lamentosi e ripetitivi, obnubilata dalla sua fame perpetua.

“Non è giusto! Non è giusto!...devo stare qui, vicino a questo lago puzzolente, pieno di zanzare, umido, freddo, nella speranza di prenderne uno! Uno! Che poi vorrei sapere perché sono fatti così! Cinque, sei kg di cui due di quelle fastidiose e insapori piume, che mi prudono in gola. Ogni volta le sputo come fossi vittima di una macumba voodo! Che noia! Ma quando arrivano?”

Il suino selvatico, di nome Suide, si teneva a debita distanza dai due, anche lui solagno in attesa del pranzo. Fu il primo a vederli arrivare, anche grazie alla luce del sole nascente ed al suo riverbero sulle acque del Nakuru.

Con malizia servile decise di avvisare i suoi compagni di mensa, grugnendo ad alta voce perché sentissero: “Accipicchia! Quanti ne sono! Milioni! Ce n’è per tutti ragazzi! Mi raccomando non litighiamo…” “Sta zitto quadrupede” disse Kerubo.

“Pensa a te! Porco!” Sibilò dolcemente Fisi, abbozzando un macabro sorrisetto.

Suide, muto, continuò a guardare il cielo affollato dallo stormo che compatto si avvicinava, rassicurando il suo bisogno di pane quotidiano. Nel riparo impenetrabile della sua mente pensò:

“Bastardo pennuto ignobile, e pure tu, bruttona di una iena, che nessuno ha mai saputo che cosa tieni da ridere. Dovete finire in bocca a un leone molto, molto affamato, che vi deve mangiare piano, piano, piano…”

Kirui, come sempre accadeva in casi come il suo, fu il primo ad ammarare nei pressi della sponda. Lo seguì Zawade che immediatamente, per non perdere del tempo prezioso, acconsentì al suo corteggiamento, come da quattordici anni si ripeteva. I loro lunghi colli si intrecciavano teneramente, in un amplesso amoroso perfetto. Questa volta, nella consapevolezza che sarebbe stato l’ultimo coito per entrambi, condirono quei meravigliosi attimi con i numerosi ricordi delle volte precedenti, copulando con una intensità e una passione simili alla loro prima volta. L’adempimento bio-logico era compiuto, quando Kirui vide tutti che fuggivano correndo sull’acqua e spiccando il volo.

Voltando leggermente lo sguardo dietro, vide l’avventarsi della iena fra impietosi spruzzi e incedenti zampe in corsa come fossero un suono, un’immagine, e una dentiera aperta, che piombavano contemporaneamente sul suo sottile collo rosa. Ebbe solo il tempo di dire: “Ciao.”

Zawade non si era nemmeno girata per un attimo a guardare, librandosi nell’aria con quel microgrammo in più di vita in grembo.

Atterrata sull’altro lato del lago con i figli ed il resto delle centinaia di migliaia di fenicotteri, si fermò elegante e splendida, su di una gamba per ragioni di distribuzione di calore, di equilibrio e di bellezza.

I quasi tre milioni di individui passarono uno ad uno per ringraziarla del comportamento avuto dal suo compagno, e man mano che aumentavano i ringraziamenti, dentro di lei la gioia commossa spodestò la tristezza e fu pervasa dall’orgoglio della dignità che le alleggerì il peso sul cuore. A Suide, il porco selvatico, andò male. Nella folle e goffa corsa verso una vittima, non si avvide della presenza sommersa di un piccolo ma efficacissimo scoglietto sott’acqua, che lo fece inciampare e volare per poi sbattere il grugno su di un altro scoglietto posto esattamente all’uopo da un fato geologico, che probabilmente aspettava da milioni di anni quel magico momento funzionale. Svenne e affogò senza neanche avere il tempo di una imprecazione.

Kerubo l’avvoltoio, come suo solito, aspettò che la iena, terminasse il suo sbranare, per approfittare dei resti. Fu anche molto fortunato, perché Fisi, che tanto aveva parlato male delle piume, nel fiondare con bramosia violenta il muso assassino nelle carni di Kirui, non si accorse di una piuma nera, che prima prese il volo autonoma dopo un feroce e avido morso, e poi lentamente si infilò per metà in un orecchio della malcapitata, che impazzì per togliersela, senza riuscirci.

Ma non fu quello il suo problema maggiore. Infatti, nella sua corsa senza controllo come fosse inseguita da api, si imbattè in un leone, che se la sgranocchiò con tanto tanto gusto. Le sue ultime parole furono: “Effettivamente, non c’è niente da ridere…”

Quindi Kerubo rimase da solo con un bel po’ di carne da imbeccarsi. Forse troppa, considerando l’anaconda, che approfittò della lentezza del volatile dovuta all’eccessivo pranzo. Fu facile ingoiarselo gradualmente per intero. Le sue ultime parole furono sempre le stesse:

“Cosa vuoi da me, rettile…”, ma questa volta la risposta del serpentone fu un bel rutto come faceva ad ogni fine pasto. Dopo qualche settimana fu fatto il nido a forma di cono tronco, meticolosamente costruito con fango e con una cavità in cima, la cui parete circolare era sorretta all’interno con erba e rametti.

Come fossero tanti piccoli vulcani, le cui sommità fuoriuscivano dall’acqua caustica del lago, a causa della presenza nello stesso di ingenti quantità di soda, le mamme dello stormo erano pronte a deporre il loro personale unico grande uovo, che avrebbero covato fino alla sua schiusa. Alle 12,50 del 1 maggio 2038 la sfera quasi perfetta fu deposta, seguita da un generale accavallarsi di congratulazioni e sbattiti di ali dei presenti più prossimi. Zawade, commossa da tanto affetto, cominciò la covata, assistita dai figli che la circondavano per proteggere lei e il loro futuro fratellino.

Proveniente da un piccolo villaggio distante qualche km, il quindicenne Biko assisteva accovacciato all’evento impugnando la sua lancia, con qualche straccio addosso ed una borsa di pelle di ghepardo a tracolla.

L’erba alta e fitta lo nascondeva nella sua paziente e silenziosa attesa da cacciatore. Suo padre e sua madre avevano deciso per lui che era giunto il momento di diventare uomo, e tale decisione fu condivisa da tutto il villaggio, costituito da poco più di un paio di centinaia di umani.

Ci sarebbe stata festa al suo ritorno perché era riuscito nell’impresa. Infatti nella borsa conservava le sue due prede di caccia. Anzi, una era di pesca, considerato il bel pesciolone da tre kg che era riuscito ad infilzare con la sua unica arma, il giorno prima.

L’altra, una lepre cicciotta, si era avvicinata a lui mentre dormiva in un’angusta ma sufficiente grotta, svegliandolo all’alba. Biko aprì gli occhi, la vide a poca distanza e, con rapida ed abile determinazione, le saltò addosso trafiggendola con la punta della lancia.

Ma ora prendere il grande uovo, richiedeva concentrazione per la scelta del momento, e sopportazione per il dolore dovuto alla soda nell’acqua, nella quale per non bruciarsi troppo i piedi e i polpacci, non sarebbe potuto restare più di un minuto.

Zawade covava immobile da circa tre ore ed era giunto il momento del cambio, affidato al primo dei suoi figli, di nome Dakarai, ormai diventato il riferimento maschile di casa.

Lo avvisò, pronta per una volatina, un pranzetto rifocillante ed una passeggiatina per sgranchire le sottili e lunghe zampette.

“Ragazzi, smettetela un attimo di chiacchierare e fate venire Dakarai a covare. Mi sono stancata di stare ferma, mi devo muovere una mezz’oretta. Vieni, tocca a te.”
“Agli ordini, mamma. Solo un minuto che devo chiarire una cosa a mio fratello Abasi…una piccola questione economica.”

“Fai presto, che non ce la faccio più.”

“Sì, sì. Non preoccuparti, faccio subito.”

Avvisata la madre, continuò le sue precisazioni ad Abasi: “Abasi, tu hai capito che la devi smettere di trattarmi con quella supponenza e arroganza che ti ritrovi?

Vuoi sempre stare al centro di tutte le attenzioni, ti rubi il mangiare a volte degli altri, ma sempre il mio, voliamo in formazione e ti metti sempre tre quattro metri più su, rovinando le figure di volo facendo un altro tipo di figure, stai sempre a dire “sono l’eccellenza, sono il meglio, c’ho le ali più grandi”, quando sai perfettamente che sono tutte sciocchezze. Basta, basta, basta! Mettitelo in testa: uno stormo, un destino, una famiglia. Questo siamo, questo dobbiamo essere e questo saremo! Umiltà, umiltà! Pure il fenicottero la deve provà! Hai capito!”

“Scusami Dakarai, è che io ho paura di non essere felice. Sento sempre il bisogno, la necessità di essere primo, mi manca qualcosa e non so cosa. Sento un peso, un peso grande e faccio tutto quello che faccio per scrollarlo di dosso, ma non ci riesco mai, e allora ripeto, ripeto, ripeto…ma non sono mai soddisfatto…cosa devo fare?
Dimmelo tu, fratello.”

“Spegni la mente, vivi il presente, e fai solo quello che è necessario. Niente di più e niente di meno, Abasi. Devi comprendere che tutta la vita può sembrare una guerra contro la paura di ciò che non conosci, ma in realtà fai parte di qualcosa di molto più grande, che costantemente ti sostiene, ti aiuta, ti sorregge.

Impara a giocare seriamente, sii gentile con tutti e vedrai che tutto piano piano, si incastrerà perfettamente nell’immenso meccanismo regolato dalle leggi dell’universo. Accetta tutto quello che accade con l’umiltà di non potere conoscere tutto, ma con la profonda consapevolezza intuitiva, che la natura ti regala per poter gestire il tuo destino. Vuoi sostituirmi per covare l’uovo del nostro fratello che verrà?”

“Siiii! Grazie Dakarai! Lo farò con efficienza e concentrazione.”

Zawade con tre grandi e lenti sbattiti d’ala s’involò lasciando il nido dopo un’occhiata d’intesa con Dakarai, e Abasi s’incamminò per quei trenta metri o poco meno che lo separavano da quella sua nuova e inaspettata esperienza.

Fu allora che Biko uscì rapido dall’erba diretto al nido lasciato incustodito per il cambio. Una corsa nell’acqua bassa e urticante, la presa delicata dell’uovo, e il suo inserimento sulla pelliccia morbida e calda della lepre all’interno della borsa di pelle di ghepardo.

Tutti i fenicotteri, compresi Dakarai e Abasi presero velocemente il volo, e i due fratelli si trovarono uno di fianco l’altro nel loro librarsi in aria.

“Visto? Accade e non puoi farci niente. La natura è una, e sa sempre perché tutto accade, quando deve accadere, come deve e chi ne può trarre vantaggio. Vola e non farti fregare dalla mente, Abasi.”

“Ho compreso Dakarai. Lavoro, guadagno, pago e pretendo non funziona. Non si può essere felici da soli, specialmente se sei un fenicottero…”

“Esatto. Ti ricordi la fine che ha fatto il porco quando è trapassato papà? Gli stolti sono tutti dei solitari che ignorano i vantaggi del grande capitale fenicotteriano.” Le gambe bagnate di Biko bruciavano ancora un po’, ma lui stava provando una felicità estatica. Ora, dopo tre giorni, poteva tornare al villaggio come un uomo fortunato assistito dalla grande madre natura.

Già pensava a come avrebbero cucinato il pesce, la lepre, e strada facendo, raccoglieva erbe selvatiche che avrebbero insaporito quelle pietanze.

Ma la soddisfazione più importante gliela dava il grosso uovo, che sua madre avrebbe cucinato alla “occhio di bue” di un metro di diametro, e che, avrebbe sfamato dalle quattro alle cinque persone. Una prelibatezza per il villaggio. Immaginava la festa, le danze, le musiche che lo attendevano, ma il suo pensiero costante era per la graziosa Baisha, che prima che lui partisse lo aveva guardato negli occhi e gli aveva passato un anello dicendogli: “Quando torni, regalamelo.”

Pensava che con tutta probabilità, una notte o l’altra l’avrebbero passata insieme, e guardava le piante che gli sarebbero servite per costruire la loro capanna. Immaginava una struttura di fango e argilla, coperta da fasci di pungitopo e foglie di palma, un perimetro per delle galline, un orticello, e chissà, un giorno un cavallo o due, una piscinetta scavata nel terreno, recintata per non farci cadere i cuccioli d’uomo che sarebbero arrivati…

Arrivato al fiume che distava solo un paio di km dal villaggio, si fermò per abbeverarsi e riposarsi un po’ all’ombra di un gigantesco fico pieno di frutti, maturi e zuccherini. Trovò anche una piccola colonia di grassi vermi nel terreno, che infilati dentro i fichi raccolti erano una prelibatezza gustosissima e nutriente. Dopo una mezz’oretta di riposo riprese il cammino, sicuro che non fosse più necessario fermarsi se non all’arrivo.

Ma nella radura, dove sparse erano le querce, apparì improvvisamente un leone. Fermo in piedi, guardava fisso il ragazzo, senza alcun accenno di aggressività, mantenendo però la sua intrinseca personalità pericolosa e letale.

Biko si fermò, immobile e lo fissò anche lui.

Nell’eterno quarto d’ora rimasero entrambi saldi e immobili sul terreno, e il ragazzo nonostante fosse pietrificato e silenzioso, riuscì a dominare il terrore, concentrandolo in una fitta di risentimento viscerale. Il controllo dell’intestino, interruppe la paura ed ebbe un’idea, non tanto razionale quanto più che altro, ascesagli dal mondo dell’intuizione. Lentamente prese l’uovo e lo fece rotolare come fosse una boccia, per i quindici metri che lo separavano dalla belva. Il leone guardò l’oggetto rotolante fino a quando non si fermò. Poi dopo riguardò il ragazzo, alzò i “tacchi”, e se ne andò per la sua strada.

Biko aspettò che si allontanasse e andò a raccogliere l’uovo, provando nei confronti di quel magico oggetto, un senso di gratitudine infinito. Rimessolo nella borsa, cambiò nella sua mente i suoi progetti culinari, e tornò al fiume per farsi un sacrosanto tuffo rinfrescante.

Giunto finalmente al villaggio, andò tutto come previsto tranne che per l’uovo. Aveva raccontato al villaggio la sua esperienza e tutti decisero insieme, di non cuocere quella leccornia, ma di covarla a turno fino alla schiusa.

I passaggi da ragazzo a uomo erano l’unica occasione per sforare il regime alimentare rigorosamente vegetariano degli umani, a parte gli insetti e i vermi. Tutti, anche gli anziani, avevano un fisico tonico e asciutto ed uno stato di salute che la razza umana non aveva da millenni.

Dopo circa un mesetto, fu Baisha la fortunata del giorno ad assistere alla nascita. Il pulcino simil brutto anatroccolo con le piume grige, fu un evento indimenticabile per tutto il villaggio.

Impararono a nutrirlo, a giocarci, ad accarezzarlo. Per i primi tre quattro mesi avrebbe potuto solo camminare, e infatti scorrazzava libero da una capanna all’altra starnazzando felice, suscitando una gioia semplice e magica. Tutti si accorsero che man mano che cresceva, aumentava la sua bellezza e la sua eleganza prorompente, e soprattutto alle sue prime timide aperture di ali, Biko e Baisha cominciarono ad intuire che da un giorno all’altro avrebbe preso il volo.

Il papà di Biko, nella sua qualità di anziano, fu molto determinato nella scelta del nome e nessuno ne ebbe a ridire.

“Amici. E’ con amore che ho deciso di dare a quest’essere incantatore di leoni il nome di Kirui. L’ho sognato stanotte. Eravamo tutti insieme che ripetevamo senza sosta e con allegria incalzante Kirui, Kirui, Kirui... Più NA-TU-RA-LE di così, si muore!”

Un giorno uno stormo di milioni di fenicotteri volava sul villaggio e Kirui, istintivamente prese il volo ma non prima di salutare Biko, che lo accarezzò per l’ultima volta. Kirui ci mise un po’ per adattarsi ai nuovi compagni. Zawade che lo riconobbe immediatamente, lo aiutò molto.

Ma il rapporto più profondo lo ebbe con Dakarai, che quando se lo trovò di fianco nello stormo, che planava, gli disse:

“Ciao Kirui. Scusami per quello che è successo, ma non ho potuto impedirlo. Stavo parlando con tuo fratello Abasi di una cosa importante e in quel momento è stato sufficiente un attimo perché ti portassero via da noi. Sono contento tu sia tornato e spero che insieme vivremo e ci divertiremo. Mi perdoni?”

Kirui non riuscì a trattenersi, e dalla pancia partì una grassa risata che attraversò il suo lungo collo per uscire fragorosa dal suo becco. Fu talmente forte che tutti i tre milioni circa presero a ridere insieme, come non era mai successo in tutta la storia.

Dal basso tutti quelli del villaggio videro quella enorme macchia rosa nel cielo, che virava, accuratamente e garbatamente, a sinistra per raggiungere il lago Nakuru in Kenya. Kirui era tornato a casa, senza neanche saperlo.

Gaetano Ferrara
Napoli 10 aprile 2020

DAL CIELO ALLA TERRA

HO SCRITTO IL 4 MAGGIO 2023:

LE LETTURE PER GLI INIZIATI. ACQUA FRESCA SOLARE PER LO SPIRITO IN CERCA DELLA VERITÀ.
LEGGETE GLI ALLEGATI A QUESTO MESSAGGIO E LA GIOIA DEL VOSTRO SPIRITO VI AVVICINERÀ SEMPRE PIÙ ALLA META.
ERIKA PAIS, LUIGI BENEDETTI, GAETANO FERRARA E MARCO MARSILI, SI INCONTRANO RACCONTANDO ANTICHE FILOSOFIE E COSMICHE PRESENZE. ANCHE LORO SONO STATI E SONO ALUNNI DEL GRANDE FILOSOFO NOLANO IL CUPIDO-MERCURIO DEL SOLE: GIORDANO BRUNO.
MEDITATE E GIOITE.
IN FEDE VOSTRO
G.B.

PIANETA TERRA
4 Maggio 2023

fenicotteri gaetano

Allegati:

- 26-03-23 Monolocale karmico
https://www.thebongiovannifamily.it/cronache/cronache-dalle-arche/cronache-dalle-arche-2023/9906-monolocale-karmico.html

- 25-03-23 La divina arte della città di Napoli
https://www.thebongiovannifamily.it/messaggi-celesti/2023/9884-la-divina-arte-della-citta-di-napoli.html