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QUANTE BALLE SULL'AIUTO AI POVERI
Al G8 dell'Aquila i Paesi ricchi avevano promesso 22 miliardi di dollari per sconfiggere la fame e la miseria nel mondo. Poi non si è visto niente o quasi.
La durissima accusa di Jeffrey Sachs, docente di economia sostenibile e consulente dell'Onu
Ci sono stati progressi nel campo della lotta alla povertà, alle malattie, alla mortalità infantile, ma si è perso tempo prezioso. Troppe nazioni hanno mancato il loro obiettivo, in alcuni casi tutti gli obiettivi: il risultato finale non potrà essere raggiunto nella sua totalità". E' pessimista, ma non si scoraggia Jeffrey Sachs, economista, professore di Sviluppo sostenibile alla Columbia University e direttore dell'Earth Institute dell'università newyorkese. Il suo lavoro sta alla base del Millennium Project lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000 per dimezzare il livello di povertà nel mondo entro il 2015, rinnovato di anno in anno e a ogni summit internazionale. Con "l'Espresso", Sachs analizza la situazione, racconta problemi e prospettive, traccia un bilancio che non fa onore alle nazioni leader del mondo e al loro dovere morale e politico di cambiare situazioni che nessuno, nei Paesi ricchi, accetterebbe.
Quale percentuale degli obiettivi è stata raggiunta fino a oggi?
"Dobbiamo fare molto più di quanto abbiamo già fatto. Se i nostri sforzi fossero intensificati si potrebbero raggiungere quasi tutti gli obiettivi. Nel giro di 2-3 anni potremmo aumentare la produzione di cibo, fornire più case di acqua corrente, mandare più bambini a scuola, migliorare l'assistenza sanitaria. Ma quello che può essere fatto è cosa diversa da quello che si fa o si vuole fare. Il mondo è disorganizzato, la leadership di Stati Uniti, Europa e Giappone è distratta da altri problemi, siamo in un interregno politico globale, con gli Stati Uniti in declino e l'Europa che non è conscia del suo ruolo. La Cina, pur essendo una potenza in crescita, non è certo in grado di sostituire l'America. Così i risultati vengono mancati".
Il Millennium Project altro non era se non un accordo tra i Paesi ricchi e quelli poveri, con i primi che accettano di perdere qualcosa per aiutare i secondi a entrare nel circuito dello sviluppo. Un patto impossibile?
"L'idea è ancora valida, ma la realtà nella quale viviamo è diversa perché chi dovrebbe onorare l'accordo cerca di sfuggire alle sue responsabilità. I ricchi sempre di più cercano di nascondere i loro soldi, sono sempre alla ricerca di paradisi fiscali per non pagare le tasse, e il mio Paese è ai primi posti per questo comportamento. Risultato, crescono i deficit perché non si vogliono tassare le grandi imprese e le multinazionali. Se i budget decrescono, insieme diminuiscono le percentuali da destinare al progetto".
Colpa degli stessi governi che poi all'Onu e nei consessi internazionali promettono miliardi di dollari in aiuti...
"Ricordo solo le promesse che furono fatte al G8 dell'Aquila nel 2009 per complessivi 22 miliardi di dollari. Sono rimaste solo parole, tutti sembrano aver dimenticato quello che si erano impegnati a fare. Molti Paesi poveri, dopo quel summit, si erano affrettati a presentare progetti reali, a sottoporli alla Banca mondiale, a rendere visibile il loro desiderio di affrancarsi da secoli di abbandono. Ma di soldi ne hanno visti proprio pochi, sicuramente insufficienti rispetto ai progetti".
Stati Uniti ed Europa hanno utilizzato la recessione della fine del 2008 come scusa per la diminuzione dei budget. Hanno ragione?
"Mi chiedo perché la Gran Bretagna, unica tra i grandi Paesi, pur colpita come tutti gli altri da crisi e recessione, abbia aumentato i fondi per gli aiuti. Italia, Francia e Germania li hanno tagliati e non hanno mantenuto le promesse. Negli Usa, non abbiamo sentito una parola dal presidente Obama. Non mi sembra opportuno in politica estera privilegiare la spesa militare. Gli aiuti servono ad aumentare anche la sicurezza del mio Paese".
Che cosa possono fare le Nazioni Unite per invertire questo trend negativo?
"Segni positivi se ne vedono già. Cina, India, Brasile, Corea del Sud, Malesia, Stati del Golfo sembrano essere più disponibili dei Paesi ricchi. Grazie a Dio non viviamo in un mondo statico. La Cina è in grado di fare più dell'Europa in un continente come l'Africa in termini di infrastrutture, come strade, elettricità, acqua. Il vecchio mondo perde terreno e si chiude nel suo egoismo, il nuovo ha voglia di mostrarsi diverso".
Molti vedono lo sbarco cinese in Africa come una forma di neocolonialismo. E' d'accordo?
"Una assurdità. La Cina ha interessi commerciali e politici e li persegue. Fa accordi con i governi, incoraggia l'impresa privata e riempie un vuoto. Il colonialismo, vecchio o nuovo, è tutt'altra cosa".
Saranno queste nazioni a prendere la leadership del Millennium?
"Io sarei molto felice se questo succedesse. Sarebbe la dimostrazione definitiva che i ricchi sfuggono alla loro responsabilità sociale e politica, e restano passivi di fronte ai cambiamenti e ai rischi globali che riguardano anche loro".
Quanti soldi servono per essere sicuri di raggiungere l'obiettivo?
"Tra lo 0,5 e lo 0,7 del prodotto nazionale lordo dei paesi sviluppati. Invece siamo fermi allo 0,3 per cento, per cui mancano all'appello tra i 50 e i 100 miliardi di dollari. Se penso che solo gli Stati Uniti spendono 800 miliardi di dollari per la difesa e ne buttano 100 in Afghanistan, e che i primi 1.200 miliardari di qualsiasi classifica mondiale avrebbero fondi a sufficienza per risolvere questo problema, ne deduco che la questione non è la mancanza di denaro, ma di volontà".
Negli ultimi anni, molte aziende private hanno deciso di partecipare a progetti che rientrano nel Millennium Project. Che cosa ne pensa?
"E' importante, perché le aziende private hanno a portata di mano due asset di cui non dispongono i governi: la tecnologia e il management. Combinati insieme, in missioni come la lotta alla malaria o la costruzione di reti idriche o la fornitura di pannelli solari o di reti cellulari, fanno delle aziende private un soggetto che può essere trainante".
Qual è il motivo che spinge le aziende private ad aderire concretamente al Millennium Project? Filantropia o interesse a conquistare posizioni di mercato?
"Entrambi. Ma per moltissime società gli obiettivi commerciali e di penetrazione nei nuovi mercati sono assolutamente in secondo piano. Prevalgono i motivi umanitari. Per esempio, la giapponese Sumitono Chemical ha costruito e fornito zanzariere anti-malaria; la Novartis ha aumentato la produzione di medicinali anti-malaria come contributo al Millennium; la Tommy Hilfiger ha invece adottato il villaggio di Ruhiira, in Uganda".
Professor Sachs, ha descritto una situazione piena di incognite e in ritardo sugli obiettivi. Lei è ancora convinto che questa battaglia possa essere vinta, come sosteneva nei suoi documenti che sono alla base del Millennium Project?
"Se si vuole raggiungere l'obiettivo è ancora assolutamente possibile: anche in presenza di fattori negativi".
23 maggio 2011
di Antonio Carlucci