FALLIMENTO DEL VERTICE DELLA FAO

FALLIMENTO DEL VERTICE DELLA FAO

DAL CIELO ALLA TERRA

HO SCRITTO L’8 GIUGNO DELL’ANNO 2008:

GLI ESSERI DI LUCE, GLI ARCANGELI AL SERVIZIO DEL CRISTO DEI QUALI IO SONO SERVITORE, MI HANNO PREGATO DI DIFFONDERE QUESTO MESSAGGIO.
PRIMA DI INVITARVI ALLA LETTURA DEL LORO SEVERO AMMONIMENTO RIVOLTO AGLI UOMINI DELLA TERRA, SOPRATTUTTO AI POTENTI, VI PREGO DI LEGGERE ATTENTAMENTE LE NOTIZIE QUI ALLEGATE.

TERZOMILLENNIO (VERTICE FAO – LE CONCLUSIONI)

Otto miliardi ma niente intesa contro la fame.
Nel mondo ci sono quasi 900 milioni di esseri umani che chiedono più cibo ma, dopo tre giorni di summit, il vertice Fao tra capi di Stato e di governo non è riuscito a dare risposte significative. Deluso anche il ministro degli Esteri Frattini. E le Ong dicono che le parole della riunione romana non serviranno, purtroppo, a riempire i piatti degli affamati. Stanziati 8 miliardi ma il summit naufraga tra le polemiche sui biocarburanti e le regole del mercato
L’assemblea Fao approva solo una mini-intesa che non convince l’America Latina

di Toni Fontana

FALLIMENTO. Il vertice Fao si è concluso senza un accordo. Il documento finale, generico e privo di indicazioni concrete, è stato approvato ma contro il parere dei sudamericani il cui dissenso è riassunto «negli allegati». I contrasti su biocarburanti e regole del mercato hanno fatto naufragare il summit nonostante siano stati promessi 8 miliardi di dollari, come ha precisato Diouf. L’austero palazzo della Fao ha fatto da grancassa all’esplosione di una miriade di problemi nazionali e particolari. L’Argentina, grande produttore di granaglie e di carne, ha difeso a spada tratta la decisione adottata dal governo di imporre «retenciones» cioè tassazioni aggiuntive sulle esportazioni. Queste misure hanno aperto un durissimo braccio di ferro con gli agricoltori, ma la presidente Cristina Kirchner non ha ceduto nella speranza di calmare la crescita dei prezzi interni. Cuba ha puntato su una richiesta che può apparire sensata ma che era irrealistico imporre in un vertice internazionale. I delegati de L’Avana hanno chiesto nei fatti la fine dell’embargo statunitense pretendendo di inserire una frase che recita: «Il cibo non deve essere usato come arma di pressione unilaterale». Non hanno ottenuto nulla, ma anche questa iniziativa ha ritardato i lavori anche perché gli americani non hanno perso l’occasione per ribadire la loro opposizione alla fine delle sanzioni contro il regime dei fratelli Castro. Non è finita. Brasile e Colombia hanno dato battaglia impedendo qualsiasi riferimento critico sulla questione dei «biofuel». Nel tardo pomeriggio si è affacciato nella sala stampa il sottosegretario brasiliano Fernandes Bertone che ha tessuto le lodi dei biocarburanti che «sono una buona opportunità economica per i paesi che non hanno attività specifiche». Su questa linea si è schierata anche la delegazione di Bogotà, mentre i boliviani, ispirati da Evo Morales, hanno preteso l’inserimento di una passaggio sui «diritti umani». La ciliegina che mancava l’ha messa il ministro dell’Agricoltura americano Ed Schafer che, circondato da una selva di telecamere e riflettori, ha fatto sapere che «è meglio nessun accordo che un cattivo accordo». Gli americani si sono infuriati non solo perché Cuba
ha toccato il tasto dell’embargo, ma perché secondo loro sui «biofuel» non si discute. Verso sera insomma il vertice è apparso una gigantesca e disordinata Babele nella quale ognuno cercava di tirare acqua al proprio mulino. Gli europei si sono sentiti sotto tiro e si sono riuniti separatamente. La seduta plenaria è stata sospesa e sono riprese febbrili contrattazioni nel comitato ristretto. La fine del summit lascia tutti insoddisfatti. Per le Ong, come fa notare Action Aid, «non è emerso chiaramente il ruolo indubbio giocato dalle speculazioni finanziarie e dalle multinazionali nell’innalzamento dei prezzi».
Ancor più duro il giudizio di Antonio Onorati, presente in qualità di rappresentante delle Ong e dei piccoli produttori agricoli: «Le multinazionali – dice – vogliono colonizzare le agenzie delle Nazioni Unite, hanno fatto pressioni per difendere un modello agricolo che privilegia i loro interessi, mentre noi abbiamo trovato le porte chiuse ed il vertice ci ha ignorati». Buio pesto anche per quanto riguarda i fondi. Luca De Fraia, di Action Aid, ha fatto un po’ di conti. Sono stati annunciati investimenti per «quasi 8 miliardi di dollari, ma nessuno ha spiegato dove e come verranno spesi questi soldi». Ban Ki Moon aveva chiesto «tra i 15 e i 20 miliardi di dollari», per lanciare la «task force» (agenzie Onu, Fmi e Banca mondiale) contro fame e aumento dei prezzi, ma non li ha ottenuti e il decollo di questa iniziativa non appare questione di settimane. Anche l’Italia, per bocca del ministro degli Esteri Frattini ha giudicato «deludente» l’esito del summit e, guardano già al G8 del 2009 (l’incontro si terrà in Sardegna), ha promesso di aumentare da 60 a 190 milioni di euro gli aiuti umanitari. Ma le Ong sono molto scettiche.
L’Unità, 6 Giugno 2008

          UNA BABELE RISSOSA

Se il mondo è quello che si è visto alla vetrina della Fao non c’è da essere ottimisti guardando al futuro. I leader che fanno notizia sono arrivati al summit, hanno detto la loro e sono spariti lasciando a centinaia di sherpa il compito di discutere e limare un documento che potrebbe essere titolato: il futuro dell’umanità nel terzo millennio. Come altro possono essere definite tre questioni come il cambio climatico, l’energia e il cibo?
È stata messa al fuoco troppa carne ed è scoppiata una baruffa planetaria. Ogni delegazione ha difeso il suo piccolo orto, tutti hanno eretto muri per proteggere chi le produzioni di etanolo, chi (Europa e Stati Uniti) le vergognose sovvenzioni agricole che drogano il mercato. Quando la lite si è fatta seria tutti hanno cercato protezione schierandosi con i rispettivi continenti. Gli europei hanno fatto quadrato, gli americani hanno messo in chiaro con con loro si discute solo partendo dal fatto che hanno ragione, gli africani si sono divisi, I sudamericani hanno paralizzato i lavori mettendo avanti le loro pretese. Era noto che grandi eventi come quello finito ieri non servono per risolvere i problemi. Si pensava tuttavia che a Roma si sarebbe potuto almeno avviare un confronto. Non è stato così.
Mentre le auto blu sfrecciano verso gli aeroporti romani, non si può non pensare quello che si è visto in vetrina è un mondo frantumato, rissoso e afflitto da problemi dei quali non si vede alcuna soluzione all’orizzonte. Nessuna autorità sovranazionale è in grado di governarlo, mentre sta montando una crisi i cui esiti potrebbero essere catastrofici. t. fon.

SUMMIT CONTRO LA FAME
L’Unità, 6 Giugno 2008
Barbara Spinelli
Vertice Fao

TRA STOMACO E SERBATOIO

Il vertice della Fao che si è concluso ieri a Roma non ha dato alcuna risposta seria a quello che Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, ha chiamato il «silenzioso tsunami» dei prezzi alimentari. Ha risposto con l’afasia, l’indifferenza, la disunione, e una volontà, ferrea, d’impotenza. Al comunicato finale son allegate innumerevoli proteste, soprattutto sudamericane. Il vertice ha ignorato i dati che aveva a disposizione, ha finto di non conoscere le cifre che pure parlano chiaro: gli affamati che vertiginosamente aumentano, man mano che i prezzi di cibo e energia salgono; gli egoismi di lobby e Stati affluenti che dilatano una catastrofe tutta fabbricata dall’uomo; le promesse dei ricchi scordate. Basti rammentare il giuramento del vertice Fao nel 1996: «Dimezzeremo entro il 2015 il numero degli affamati», garantirono, e allora gli affamati erano 800 milioni. Già un anno e mezzo dopo erano 863 milioni e nel frattempo se ne sono aggiunti 100, sfiorando il miliardo.
Non sono le organizzazioni internazionali a esser colpevoli di simili disastri, così come non lo sono del degradare del clima, della gestione dei conflitti militari, delle scandalose disparità di ricchezza nel mondo. Le organizzazioni come l’Onu, la Fao, la Banca Mondiale sono grottescamente trascinate sul banco degli imputati, sono ormai macchinalmente ribattezzate con i nomignoli più sprezzanti – son chiamate di volta in volta carrozzoni, elefanti burocratici che mangiano soldi e vanno gettati nella spazzatura – ma tutti questi son giochetti e menzogne, simili ai sotterfugi retorici cui si ricorre in Europa per denigrare gli amministratori di Bruxelles.

Giochetti che gli Stati fanno per nascondere le proprie responsabilità; menzogne utili ad allontanare dai governanti, e dal cittadino, verità scomode e elettoralmente costose. Possiamo pure abolire Fao, Onu, tutti gli organi del dopoguerra: non per questo avremo curato i mali, perché questi ultimi non son generati dalle istituzioni multilaterali ma dagli Stati e dalle loro sovranità assolute, riluttanti a accettare – sopra di sé – qualsivoglia autorità mondiale. Una volta abolite queste istituzioni dovremo ricrearle, perché di istituzioni e di governo mondiale c’è pur sempre e più che mai bisogno, e non di politiche che lusinghino e favoriscano il ciascuno per sé.
Tra gli Stati responsabili degli odierni fallimenti ci sono innanzitutto i più ricchi e potenti. È qui il male, qui l’ignoranza militante che impedisce di riconoscere la natura del disastro e aggiustarla. Se oggi non pare possibile la Rivoluzione Verde che negli Anni 60 scongiurò la carestia nei Paesi poveri, è perché un’immobile apatia s’è insediata nei vertici degli Stati nazione, perché nazionalismi acuti sono di ritorno nei Paesi ricchi, perché la mente degli economisti e dei responsabili occidentali si è ossificata, incapace di adattarsi con elasticità al mutare del mondo e di chi lo abita. Il meccanico gioco di mercato non basta a risolvere la crisi e un collettivo intervento pubblico si impone? L’ideologia liberista frena, inorridita. Le politiche nazionali danneggiano la Terra, ostacolano il libero commercio di beni alimentari? Che muoia il mondo e tutti i filistei, purché le marionette regnanti possano accontentare i propri elettori, arrabbiati e resi ciechi dalle bugie che vengono loro raccontate dalle marionette in questione.
Certo non esiste un’unica responsabilità per l’immane carovita: sono molte e convergenti le cause. A differenza degli Anni 60 c’è il deterioramento del clima e il rarefarsi dell’acqua per le irrigazioni. C’è il prezzo di petrolio e gas che ha raggiunto livelli proibitivi. Ci sono interi e popolosi continenti – Cina, India – che escono dalla povertà, che stanno dando alla luce una vastissima classe media, che cominciano ad avere una dieta più variata, comprendente la carne. C’è l’enorme divario che si sta aprendo tra poveri che crescono pur sopportando prezzi alti e poveri che sopportano il carovita ma non hanno redditi in aumento. Siamo al cospetto di due favole parallele, ha scritto Amartya Sen sul New York Times del 28 maggio: la prima narra l’asimmetria tra poveri e ricchi, la seconda fra poveri e poveri.
La condotta più egoista è quella americana. Sono mesi che l’amministrazione insiste esclusivamente sulle responsabilità degli emergenti, e il segretario all’Agricoltura Ed Shafer l’ha ribadito non senza sfacciataggine a Roma: è la domanda cinese e indiana che fa aumentare i prezzi, allo stesso modo in cui sono Cina e India che accelerano, producendo anidride carbonica, la catastrofe climatica. Minimo è invece, secondo Shafer, l’effetto della produzione di biocarburanti intensificata da Bush nel 2005. Non meno colpevoli per Washington sono coloro che si oppongono – non solo in Europa ma in molti Paesi africani – agli organismi geneticamente modificabili (ogm): visti spesso come panacea, gli ogm rinviano mutazioni più ardue dei comportamenti e delle politiche occidentali.
Il ruolo degli Stati Uniti e dei ricchi viene completamente negato, e le lobby difese a denti stretti. Eppure gli esperti sono unanimi nel constatare come la scelta Usa di sovvenzionare massicciamente le coltivazioni di mais per estrarne energia alternativa (etanolo) abbia crudelmente ridotto le superfici coltivabili per produrre cibo per l’uomo: «Lo stomaco degli affamati è costretto a competere con i serbatoi di benzina», denuncia Sen, ed è chiaro chi perde nell’impari battaglia. Ma su questi punti il governo Usa è inamovibile: ha perfino l’appoggio del Brasile, anche se l’etanolo di quest’ultimo è estratto dalla canna da zucchero e penalizza meno le produzioni di cereali.
Gli occidentali affluenti hanno la tendenza a puntare il dito su cinesi e indiani che consumano più carne: un’analisi non scorretta, ma che indispettisce profondamente Cina e India, che si sforzano di uscire dall’inferno dell’indigenza. Il loro infuriarsi è comprensibile: dicono che in due secoli di rivoluzione industriale l’Occidente ha rovinato il pianeta ed è diventato obeso a forza di rimpinzarsi, e adesso che è confrontato con penuria e carovita fa di tutto per non rimettere in causa proprie abitudini e scelte, quasi sognasse di ricacciare gli emergenti nella povertà. Il rancore è grande, verso Paesi che s’adoperano molto per correggere gli altri, e poco o nulla per correggere se stessi. Che denigrano le istituzioni internazionali solo per proteggere le proprie lobby, le sovranità intangibili dei propri Stati, le proprie ideologie liberiste.
Va di moda oggi vilipendere le utopie degli Anni 60, che erano speranze di futuro: ma quell’epoca era meno cieca, infinitamente più duttile. Di fronte all’Occidente s’accampava un pericolo vero, il comunismo, e tutti i pericoli veri sono anche una sfida, una straordinaria occasione: nel caso specifico, la sfida era di competere col comunismo nell’aiutare i poveri e i diseredati. Nessun pericolo odierno (terrorismo, Iran) è paragonabile a quella minaccia benefica, che teneva sveglia la coscienza occidentale e la mobilitava.
Oggi quella sfida non esiste più: in parte è una disgrazia. Oggi non si tratta di strappare i poveri e gli ultimi alla seduzione sovietica ma di aiutare le singole persone umane a non morire di fame, semplicemente e subito. È questo che gli occidentali non sanno fare. È questo che li rende così afasici, volontariamente impotenti, e vuoti.
La Stampa, 6 giugno 2008

L’ANNUNCIO DELLA DICHIARAZIONE FINALE SLITTAVA OGNI MEZZ’ORA FINO ALLE NOVE DI SERA
Antonella Rampino

ROMA. Franco Frattini definisce «deludente» l’esito del summit mondiale sulla crisi alimentare della Fao, poiché «non c’è stata la necessaria coesione». Per il gran capo della Fao, Jacques Diouf, si tratta di «un difficile compromesso». Tradotto dal linguaggio diplomatico, un mezzo fallimento. Aiuti per l’emergenza a pioggia, come al solito, e Diouf si premurerà in finale di elencarli tutti in un totale di 8 miliardi di dollari: egli stesso aveva detto aprendo il summit che ne servirebbero però trenta.
Ma nessun accordo è stato trovato su misure strategiche per far rientrare una crisi globale che oggi affama 862 milioni di persone nel Terzo Mondo come i poveri dell’Occidente, e che rischia di dilagare. Nella dichiarazione finale, si afferma il principio che «il cibo non può essere usato come strumento di pressione politica ed economica». Ma ci si limita ad impegni generici, a «monitorare e analizzare la sicurezza alimentare mondiale in tutte le sue dimensioni», salvando la possibilità dei vari paesi di decidere le misure da adottare, affrontando «le sfide e le opportunità poste dai biocarburanti», cercando di rendersli «sostenibili».
E si auspica «una rapida conclusione positiva dell’agenda di Doha», ovvero la liberalizzazione del mercato del cibo, che potrebbe significare anche (ma non viene specificato) apertura alle materie prime alimentari del Terzo Mondo. Europa e Stati Uniti manterranno però i sussidi alle loro agricolture.
Nel «Comity of the All», come chiamano alla Fao il comitatone al lavoro dal 9 maggio sul testo di dichiarazione finale, restano le divisioni di sempre su biocarburanti, Ogm, barriere economiche e sussidi all’agricoltura dei paesi ricchi. Divisioni feroci e trasversali. E il finale, con la chiusura del summit che slittava di mezz’ora in mezz’ora fino alle nove di sera, è stato addirittura surreale. L’assemblea plenaria mette ai voti il rapporto che conterrebbe in teoria anche la dichiarazione finale che è ancora in discussione. Così la lite che si protraeva giorno e notte nelle ultime 72 ore nel chiuso delle segrete stanze si è trasferita sul proscenio dell’Assemblea.
L’Argentina, che nel Comitatone era stato l’osso più duro, ha contestato metodo e merito, e si è compreso meglio il piglio di Christina Kirchner nel sostenere che «il problema della crisi alimentare è la distribuzione, non la produzione». L’Argentina infatti ha una sovrapproduzione di cibo, produce addirittura otto volte il fabbisogno interno di cereali, e usa alti dazi all’export dei suoi produttori per meglio redistribuire le derrate all’interno dei suoi confini, e mantenere il prezzo alto sui mercati internazionali. E si è strenuamente opposta alla riduzione dei dazi. Non ci è riuscita nel Comitatone, ma incalzando l’assemblea plenaria ha ottenuto che la sua contrarietà venisse messa agli atti, ratificando così le divisioni e il fallimento del summit.
Per far passare il documento finale, mentre Congo e Zambia facevano notare che «ci sono 900 milioni di persone che muoiono di fame, non possiamo star qui a far giochi semantici», sono dovuti scendere ripetutamente e pubblicamente in campo Usa ed Europa. Il risultato è stato che con l’Argentina, attaccando violentemente «il sistema capitalistico che affama il mondo», si è schierata la Cuba di Raoul Castro che vorrebbe veder cancellate l’embargo, il Venezuela di Chavez che punta il dito contro «un accordo che ratifica lo stato di prevaricazione dei paesi industrializzati», il Nicaragua di Daniel Ortega, e la Bolivia di Evo Morales. E con loro si è schierato anche l’Ecuador, un paese che ha una politica certo non chavista, visto che la moneta ufficiale è il dollaro americano. Tutte dichiarazioni che verranno allegate a quella finale del summit, che ha corso il rischio di non vedere neppure la luce.
La Stampa, 6 Giugno 2008

DI VERTICE IN VERTICE GLI AFFAMATI AUMENTANO

Come possono finire i vertici Fao sulle risorse alimentari lo dicono i numeri. Il summit precedente si è tenuto nel 1996 e si è proposto un obiettivo chiaro: dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati, che erano allora 800 milioni. Oggi, dodici anni dopo, a patire la fame sono 862 milioni, ma poiché la rilevazione non tiene conto di questi ultimi anni di impennata dei prezzi, alla cifra vanno aggiunti all’incirca altri 100 milioni di indigenti. Si sfiora il miliardo.
«D’altronde la Fao è una agenzia – spiega Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e grande sostenitore di una agricoltura connessa con il territorio – può dare al massimo buoni consigli. Quando sono buoni, perché a volte non dà neppur quelli». E comunque il passaggio tra l’idea e la sua applicazione non viene condotto dalla Fao medesima, ma da una «task force». «Di questa task force – spiega Luca Colombo, ricercatore presso la Fondazione per i diritti genetici – fanno parte, tra l’altro, il Fondo monetario, la Banca mondiale, il Wto e, mentre alla casa madre Onu si vota per Stati, in questi organismi si vota secondo il peso specifico che si ha nell’economia mondiale, per cui gli Usa – per dire – contano mille volte il Niger, e quali istanze potranno proporre, in sede operativa Fao, se non quelle che convengono alla propria economia?».
Non meraviglia, quindi, che i progetti fin qui finanziati vadano tutti a sostegno di un criterio di liberalizzazione spinta dal mercato che, di fatto, promuove le grandi multinazionali dell’agricoltura industriale, emarginando i piccoli produttori. «E’ dimostrato da una letteratura sterminata che l’unica ricetta possibile per portare il cibo capillarmente a tutti – spiega Petrini – è la coltura di prossimità, quella che fanno i piccoli contadini in linea con un sapere antico e con una vasta biodiversità. Il che significa che si produce per consumare sul territorio e si coltiva una pluralità di prodotti perché se uno scarseggia l’altro possa sopperire. A questa pratica non si deve guardare come ad una esperienza bucolica ma fragile, perché è, al contrario, l’unica in grado di aumentare la produttività e di rispondere ad un bisogno. Si tratta, semmai, di arricchire questa agricoltura con un serio apporto tecnologico».
L’istanza proposta dagli organismi internazionali, invece, resta quella delle grandi monocolture e della liberalizzazione spinta «il cui risultato – dice ancora Colombo – è quello di emarginare la piccola produzione e di ridurre i contadini alla fame. Altro che risolvere il problema della denutrizione». Senza dire che le grandi monocolture sono quelle più esposte alla speculazione finanziaria dei futures, che ha generato l’impennata dei prezzi del grano, del riso e del mais.
Una Fao, dunque, secondo gli osservatori più critici, sostanzialmente succube degli interessi del grande capitalismo occidentale? «Soprattutto una Fao molto autoreferenziale e utilizzata come agenzia diplomatica – dice Giampiero Maracchi, direttore dell’istituto di Biometereologia del Cnr – essendo una agenzia, priva di un proprio potere politico, non può fare altro che produrre idee e progetti, che poi gli Stati membri gestiscono come “fattori di stabilità” internazionale, seguendo logiche politiche più che obiettivi strategici».
E il problema non è solo il vertice sulla fame. Nel marzo del 2007, per esempio, 119 paesi hanno partecipato a un vertice per sconfiggere la pesca illegale. A un anno di distanza un accordo non c’è ancora, e mentre a Bruxelles i pescatori protestano, alla Fao si sta ancora lavorando ad un testo che vedrà la luce solo nel 2009. E che, ovviamente, sarà solo una «bozza».
La Stampa, 6 Giugno 2008

L’AMAREZZA DELLE ONG

“Sui biocarburanti è il solito trucchetto: rubare terre al Sud”
Sergio Marelli, presidente dell’Associazione delle Ong italiane, è deluso dall’epilogo del vertice Fao.
Il solito elefante che ha partorito un topolino?
«Non possiamo certo dare un giudizio positivo. Le misure messe in atto, purtroppo, non sono una risposta alla crisi alimentare degli ultimi mesi. Un dato su tutti: il primo giorno il presidente della Fao ha chiesto 30 miliardi di dollari. In queste ore i paesi membri stanno negoziando per raggiungere quota 8 miliardi».
Quali sono i tasti più dolenti?
«Non c’è stato alcun riferimento alle speculazioni finanziarie: per noi rimangono una delle concause fondamentali della crisi. Il modello delle multinazionali è fallito. Bisogna sostenere le aziende familiari: forniscono l’80% del fabbisogno alimentare e hanno un impatto positivo sull’ambiente. Non sto pensando solo al sud del mondo. Guardo anche all’Italia».
Si è parlato molto di biocarburanti. Sono una soluzione al problema energetico?
«Possono esserlo, ma ad alcune condizioni. Noi siamo favorevoli agli agrocarburanti ricavati dalla canna da zucchero ma ci opponiamo a quelli provenienti dal mais. I motivi sono semplici: il mais deve rimanere una risorsa alimentare e poi, dal punto di vista energetico, la resa della sua trasformazione è bassissima. L’altro punto fermo è che gli agrocarburanti sono una soluzione se prodotti e consumati localmente. Altrimenti è il solito trucchetto: vogliamo risolvere un nostro problema sottraendo terreno al sud del mondo».
Il presidente Diouf ha aperto uno spiraglio alle nuove tecnologie. Cosa ne pensate?
«Se Diouf si riferiva agli Ogm ho pochi dubbi. Conosciamo le pressioni delle multinazionali. La Fao era un nostro alleato sul “principio di precauzione” ma in questa conferenza ha vacillato. Finchè gli scienziati non ci danno risposte certe è meglio non rischiare. E non bisogna dimenticare nemmeno il problema del nuovo colonialismo economico: le sementi Ogm sono sterili e gli agricoltori dovranno comprarle ogni anno. Da chi?».\

La Stampa, 6 Giugno 2008

I GRANDI IMPOTENTI
Guido Rampoldi

NON poteva essere un summit organizzato in fretta e furia da un´istituzione internazionale tra le più contestate ad esorcizzare la tesi che ci inquieta dal remoto 1798, l´anno in cui il reverendo Thomas Malthus consegnò il suo Saggio sul Principio di Popolazione al catalogo delle profezie più spaventose. Ma se fossimo uno di quegli 800 milioni di esseri umani oggi minacciati dalla morte per fame, lo strumento con cui secondo Malthus la natura provvede a “tenere sotto controllo” (check) la crescita demografica facendo fuori vaste masse umane, non saremmo affatto rassicurati da questa Conferenza di Roma sulla crisi alimentare.         Non che siano mancati le idee, i progetti, le promesse di finanziamenti spettacolari e, crediamo, le buone intenzioni. Ma quando si è trattato di arrivare ad una sintesi, di immaginare una strategia, di imboccare un percorso comune, i cosiddetti “potenti della Terra” hanno mostrato una penosa impotenza, e quel formidabile consesso in cui erano sfilati premier e ministri di infinite nazioni è parso una rumorosa, sovraffollata, patetica Babele. Era abbastanza prevedibile che ciascun governo si facesse portatore degli interessi della propria nazione, certo legittimi ancorché divergenti o addirittura opposti rispetto agli interessi delle altre. Ma è mancato perfino un linguaggio comune, una koinè che permettesse almeno di intendersi, un vocabolario in cui termini come ogm, bio-carburanti, liberalizzazione, avessero lo stesso significato. I francesi, che non mancano di un certo umorismo, hanno proposto di ripristinare un qualche “metodo scientifico”, termine che non udivano dai tempi della Quarta internazionale, per mezzo di un comitato di saggi incaricati, se intendiamo bene, di trovare una verità “oggettiva”. Intenzione apprezzabile, ma purtroppo destinata a confermare, temiamo, la tendenza degli scienziati a modulare la verità sui desideri dei governi cui essi devono l´incarico. Però forse un comitato siffatto riuscirebbe a restringere il ventaglio delle verità soggettive, allo stato francamente troppe. E magari a mettere fuori gioco quel manicheismo che continua a raccontarci la crisi alimentare nei termini dello scontro “capitalisti ricchi e avidi contro poveri e indifesi”. Non che avidi e indifesi non siano parte dello spettacolo. Ma la crisi è ben più complicata di queste miniature morali, le parti di solito non sono così nitide, e la denuncia degli “egoismi” spesso è ipocrita. Provate a togliere le sovvenzioni di cui godono anche i contadini spagnoli, così da aiutare i contadini del Terzo mondo, e vedrete uno Zapatero meno solidale di quello che a Roma ha lanciato un appello all´altruismo col tono dolente che si addice a questo genere retorico. In realtà la crisi alimentare – almeno su questo vi è una certa unanimità – è parte di una crisi globale che contiene varie crisi tra loro interconnesse, dalla crisi finanziaria americana fino all´irresistibile ascesa dei prezzi del petrolio (cui Lula attribuisce il 30% dell´aumento del costo di generi alimentari in Brasile). Se questa è la dimensione reale, allora può venire a capo della Crisi globale soltanto quella governance mondiale da più parti invocata durante la Conferenza di Roma. Purtroppo non si vede traccia all´orizzonte quel governo planetario che dovrebbe mettere in fuga la speculazione e orientare Stati e mercati verso condotte virtuose.
Come del resto è evidente, una governance di quella portata non può nascere dal consenso, ma soltanto da una chiara gerarchia internazionale, da un ordine definito nel quale una superpotenza, o un consesso di potenze, sia in grado di imporsi ai recalcitranti. Stati Uniti ed Europa non sembrano in grado di svolgere quel ruolo, né, allo stato, di trovare la coesione necessaria per attrarre altre nazioni intorno ad progetto forte. E in attesa che il mondo multipolare trovi il suo equilibrio, pare difficile trovare compromessi tra interessi contrastanti e ugualmente legittimi.
Così nessuno può dare torto alle economie emergenti come il Brasile quando deridono il falso liberismo dell´Unione europea e ne smascherano il protezionismo agricolo, affidato a dazi e a laute sovvenzioni ai coltivatori. Ma nessuno può condannare gli europei se difendono la propria agricoltura, una riserva strategica
fondamentale nel caso di gravi turbolenze planetarie, e comunque la condizione perché sopravvivano un paesaggio e una cultura. Non ci sono buoni e cattivi in questa storia. É vero che le terapie degli istituti del credito internazionale hanno devastato agricolture, per esempio Haiti, privando la popolazione della possibilità di sussistenza; ma non sempre è andata così. É vero che le multinazionali si sono impossessate, con gli ogm, di produzioni agricole tramandate, selezionate e difese dai coltivatori per millenni (come ci ricorda Giacomo Santoleri). Ma in Argentina, in Cina, ovunque i contadini siano riusciti a ibridare, per esempio, la soia transgenica, teoricamente sterile, essi oggi dispongono di una coltivazione che richiede meno fatica e meno pesticidi della soia tradizionale. Questioni complicate. Il problema è che gli affamati non attenderanno le soluzioni né si immoleranno alle leggi del reverendo Malthus senza tentare di sovvertire l´ordine che li spinge su quell´altare.
La Repubblica, 6 Giugno 2008

DAL CIELO ALLA TERRA

DALLE POTENZE CELESTI. GLI ARCANGELI SOLARI.

FALLIMENTO DEL VERTICE DELLA FAO SULL’ALIMENTAZIONE E LA FAME NEL MONDO

AVETE LETTO CIÒ CHE È ACCADUTO NELL’ULTIMO INCONTRO DI TUTTI GLI STATI DEL MONDO A ROMA?
NOI, ESSERI DI LUCE, ERAVAMO PRESENTI.
L’ESITO DI QUESTA RIUNIONE È UN ALTRO SEGNO CHE DETERMINERÀ L’ACCELERAZIONE DELLA VOSTRA SCOMPARSA.
NON SOTTOVALUTATELO!
UN SEGNO CHE AMPLIFICHERÀ L’INIZIO DI UNA SERIE DI CATASTROFI NATURALI CHE VI METTERANNO IN GINOCCHIO E VI COSTRINGERANNO, VOLENTI O NOLENTI, A BATTERVI IL PUGNO SUL PETTO E A DIRE “MEA CULPA, MEA MAXIMA CULPA”. MA SARÀ TROPPO TARDI PERCHÉ LE FORZE DELLA NATURA, L’ARIA, L’ACQUA, LA TERRA E IL FUOCO SI SCATENERANNO COME MAI LA VOSTRA STORIA RICORDI.
CIÒ ACCADRÀ, SOPRATUTTO, PER ABBATTERE LE GRANDI TORRI DI BABELE DEI PAESI RICCHI CHE HANNO SPECULATO SULLA PELLE DEI POVERI.
PROVIAMO DISGUSTO PER LE VOSTRE ANIME E I VOSTRI SPIRITI.
NON VI ODIAMO, NOI NON SAPPIAMO ODIARE. PERDONATECI, MA VI DETESTIAMO, SIETE UNA CIVILTÀ CHE CI FA ORRORE. SIETE DEI MOSTRI!
IN UNA CONFERENZA DOVE SI SAREBBE DOVUTO RISOLVERE IL PROBLEMA DI MILIARDI DI VOSTRI FRATELLI CHE MUOIONO DI FAME, ABBIAMO VISTO E SENTITO IL CINISMO, L’INDIFFERENZA, L’IPOCRISIA, L’INGANNO DEI CAPI DEGLI STATI DEL MONDO CHE POLEMIZZANO TRA DI LORO PER AFFERMARE CON ARROGANZA I PROPRI DIRITTI BASATI SUL DOMINIO, SUL POTERE, SUL COMMERCIO E NON SULL’ALTRUISMO.
SIETE RIUSCITI PERFINO AD AMMETTERE CHE IL VERTICE DELLA FAO È STATO UN FALLIMENTO CON LE DICHIARAZIONI DI ALCUNI DEI VOSTRI MINISTRI, MENTRE ABBIAMO NOTATO L’ASSENZA DEL SUPREMO CAPO DELLA CHIESA CATTOLICA APOSTOLICA ROMANA, ANCHE SE RAPPRESENTATO DAL SUO SEGRETARIO DI STATO, LA POCHEZZA DEL PRESIDENTE DELLA FAO, L’IPOCRISIA DEL PRESIDENTE DEL GOVERNO ITALIANO E LE ASSURDE PRETESE DEI PAESI RICCHI. ABBIAMO NOTATO ANCHE LA PRESENZA DI DITTATORI DEGLI STATI POVERI DOVE IL 90 PER CENTO DELLA PROPRIA POPOLAZIONE MUORE DI FAME.
DA QUESTO VERTICE, SU UN PROBLEMA CHE VI ATTANAGLIA DA SECOLI CIOÈ LA FAME, SI PUÒ GIUDICARE E STABILIRE COSA È LA VOSTRA CIVILTÀ.
UNA CIVILTÀ DESTINATA ALL’AUTODISTRUZIONE E ALL’ANNIENTAMENTO.
UNA CIVILTÀ DELLA QUALE, COME È GIÀ STATO DETTO DALL’ALTISSIMO PADRE ADONAY, NON DEVE RIMANERE NEMMENO MEMORIA!
È VERO, CERTO, VERISSIMO CHE I GIUSTI, I PACIFICI, I PURI DI CUORE, GLI AMANTI DELLA GIUSTIZIA E DELL’AMORE, E SOPRATTUTTO TUTTI QUEI MILIONI DI BAMBINI CHE AVETE FALCIATO CON LA FAME AVRANNO DIRITTO A RIPOPOLARE LA NUOVA ERA.
NON CERTAMENTE TUTTI COLORO CHE SONO ADEPTI DI QUELLA SCHIERA DI MASNADIERI DI SATANA, VIGLIACCHI, ASSASSINI E CRIMINALI CHE HANNO PARTECIPATO AL VERTICE DELLA FAO!
ESSI NON CI SARANNO!
LA MORTE SECONDA SARÀ LA LORO RICOMPENSA. SIATENE CERTI!
PACE!

GLI ARCANGELI SOLARI

Colonia Valdense (Uruguay)
8 Giugno 2008. Ore 16:30
G. B.