DAL CIELO ALLA TERRA
ISRAELE GOVERNATA DA ERODE
OGGI IL POPOLO DI ISRAELE È SCHIACCIATO DAL TIRANNO FASCISTA E NAZISTA ERODE.
MOLTI CITTADINI EBREI PROTESTANO INUTILMENTE CONTRO I PROPRI GOVERNANTI PER LA LOGICA NAZISTA INTRAPRESA CONTRO LA PALESTINA E I PARGOLETTI CHE VIVONO NELLA STRISCIA DI GAZA, RESA INFERNALE DAL GOVERNO DEL CANDELABRO A SETTE BRACCIA.
ISRAELE, IL POPOLO ELETTO DA DIO, HA AVUTO DURANTE LA SUA STORIA QUASI SEMPRE GOVERNATORI TIRANNI E CORROTTI. NELLA BIBBIA I PROFETI CHE GRIDANO NEL DESERTO SPESSO, NEL NOME DEL PADRE ADONAY, MINACCIANO I POTENTI ED IL POPOLO DI ISRAELE DI CASTIGHI DIVINI, I QUALI NEL TEMPO SONO SEMPRE SOPRAGGIUNTI. SOLO DOPO TRAGICHE SOFFERENZE IL POPOLO DI SION SI È TEMPORANEAMENTE RAVVEDUTO RITORNANDO AD ESSERE SAGGIO, PACIFICO E GIUSTO.
QUESTO CICLO MILLENARIO DI DISUBBIDIENZA, CASTIGO, RAVVEDIMENTO E LIBERAZIONE IL POPOLO GIUDEO, PER SCELTA PROPRIA, LO HA VISSUTO SINO AD OGGI.
ED OGGI, NEL VOSTRO XXI SECOLO, CHI SONO I PROFETI CHE AMMONISCONO ISRAELE E I POTENTI DEL MONDO? CHI SONO COLORO CHE RAPPRESENTANO LA VOCE E LO SPIRITO DELL’ALTISSIMO?
IL PADRE ADONAY, COSI COME NEL PASSATO POTREBBE SERVIRSI DEI NEMICI DI ISRAELE PER AMMONIRE IL SUO POPOLO ELETTO? (II Re 17:18-20 indica “Il Signore si adirò molto contro Israele e lo allontanò dal suo volto e non rimase che la sola tribù di Giuda. Neppure quelli di Giuda osservarono i comandi del Signore, loro Dio, ma seguirono le leggi d’Israele. Il Signore rigettò tutta la discendenza d’Israele; li umiliò e li consegnò in mano ai nemici, finché non li scacciò dal suo volto”.
NEL SALMO 78:61-62, Asaf racconta che Dio, quando si rese conto degli idoli di Israele “… ridusse in schiavitù la sua forza, il suo splendore in potere del nemico. Diede il suo popolo in preda alla spada e s’infiammò contro la sua eredità”).
A QUESTE DOMANDE LASCIAMO AD OGNUNO DI VOI LA RISPOSTA. NOI POSSIAMO SOLO RICORDARVI CON AMORE FRATERNO E GIUSTIZIA DIVINA CHE ISACCO ED ISMAELE SONO FRATELLI, FIGLI DELLO STESSO PADRE ABRAMO E DELLO STESSO DIO. (ADONAY-ALLAH). INNALZARE NELL’ARA DEL SACRIFICIO UNO DEI DUE O ENTRAMBI I FRATELLI SIGNIFICHEREBBE LA VITTORIA DEL MALE E SCATENEREBBE INESORABILMENTE L’INEVITABILE IRA SANTA DI DIO E QUINDI UN NUOVO DILUVIO UNIVERSALE DAL QUALE SI SALVEREBBERO SOLO POCHE ANIME PIE E GIUSTE AGLI OCCHI DEL CREATORE.
PER EVITARE CIÒ QUINDI LA LOGICA NAZISTA DEVE ESSERE SOSTITUITA DALLA LOGICA CRISTICA. SOLO COSÌ ISRAELE E ARABI POTRANNO RITROVARE LA PACE, ALTRIMENTI SARÀ SANGUE CHE CHIAMERÀ SANGUE SINO AL GIORNO DEL GIUDIZIO NEL QUALE TUTTO SI FERMERÀ E LA PAROLA PASSERÀ AL SUPREMO GIUDICE CHE RITORNERÀ.
SI!
CHE RITORNERÀ, CON POTENZA E GLORIA.
Palermo (Italia)
20 Novembre 2012. Ore 15:32
G. B.
PIOMBO IMPUNITO
di Eduardo Galeano
Già non ne resta molta, di Palestina. Passo dopo passo Israele la sta cancellando dalla mappa. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati modificano la frontiera. I proiettili sacralizzano il furto, in legittima difesa.
Non c’è guerra aggressiva che non dica d’essere guerra difensiva. Hitler invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania. Bush invase l’Iraq per evitare che l’Iraq invadesse il mondo. In ognuna delle sue guerre difensive Israele ha inghiottito un altro pezzo di Palestina, e il pasto continua.
Il divorare si giustifica con i titoli di proprietà che la Bibbia ha assegnato, per i duemila anni di persecuzioni che il popolo ebreo ha sofferto, e per il panico causato dai palestinesi che hanno davanti.Israele è il paese che non adempie mai alle raccomandazioni e nemmeno alle risoluzioni delle Nazioni unite, che non si adegua mai alle sentenze dei tribunali internazionali, che si fa beffe delle leggi internazionali, ed è anche il solo paese che ha legalizzato la tortura dei prigionieri.
Chi gli ha regalato il diritto di negare tutti i diritti? Da dove viene l’impunità con cui Israele sta eseguendo la mattanza di Gaza? Il governo spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per sconfiggere l’Eta, né il governo britannico avrebbe potuto radere al suolo l’Irlanda per liquidare l’Ira. Forse la tragedia dell’Olocausto comprende una polizza di impunità eterna? O quella luce verde proviene dalla potenza più potente, che ha in Israele il più incondizionato dei suoi vassalli?L’esercito israeliano, il più moderno e sofisticato del mondo, sa chi uccide. Non uccide per errore. Uccide per orrore. Le vittime civili si chiamano danni collaterali, secondo il dizionario di altre guerre imperiali. A Gaza, su ogni dieci danni collaterali tre sono bambini. E sono migliaia i mutilati, vittime della tecnologia dello squartamento umano che l’industria militare sta saggiando con successo in questa operazione di pulizia etnica.
E come sempre, è sempre lo stesso: a Gaza, cento a uno. Per ogni cento palestinesi morti, un israeliano.
Gente pericolosa, avverte l’altro bombardamento, quello a carico dei mezzi di manipolazione di massa, che ci invitano a credere che una vita israeliana vale quanto cento vite palestinesi. Questi media ci invitano a credere che sono umanitarie anche le duecento bombe atomiche di Israele, e che una potenza nucleare chiamata Iran è stata quella che ha annichilito Hiroshima e Nagasaki.
È la cosiddetta comunità internazionale, ma esiste?
È qualcosa di più di un club di mercanti, banchieri e guerrieri? È qualcosa di più di un nome d’arte che gli Stati uniti si mettono quando fanno teatro?
Davanti alla tragedia di Gaza l’ipocrisia mondiale brilla una volta di più. Come sempre l’indifferenza, i discorsi inutili, le dichiarazioni vuote, le declamazioni altisonanti, i comportamenti ambigui rendono omaggio alla sacra impunità.
Davanti alla tragedia di Gaza i paesi arabi si lavano le mani. Come sempre. E come sempre i paesi europei se le fregano.
La vecchia Europa, tanto capace di bellezza e di perversione, sparge una lacrima o due mentre segretamente celebra questo colpo maestro. Perché la caccia agli ebrei è sempre stata un’abitudine europea, ma da mezzo secolo questo debito storico viene fatto pagare ai palestinesi, che pure sono semiti e non sono mai stati, e non sono, antisemiti. Essi stanno pagando, in sangue contante e sonante, un conto altrui.
(Questo articolo è dedicato ai miei amici ebrei assassinati dalle dittature latinoamericane sostenute da Israele)
Fonte: Il Manifesto – 15.01.2009
copyright Ips/il manifesto
Di Noam Chomsky – 17 Novembre 2012
Anche una sola notte in carcere basta a dare l’idea di che cosa significa vivere sotto il controllo totale di qualche forza esterna. E non ci vuole certo più di un giorno a Gaza per iniziare a rendersi conto di come deve essere cercare di sopravvivere nella prigione a cielo aperto più grande del mondo, dove un milione e mezzo di persone, nell’area più densamente popolata del mondo, è costantemente soggetto a terrore casuale, spesso selvaggio e a punizioni arbitrarie, senza altro scopo che quello di umiliare e degradare, e con l’ulteriore scopo di assicurarsi che le speranze palestinesi di un futuro decente siano distrutte e che lo schiacciante appoggio per un accordo diplomatico che garantirà questi diritti venga annullato. L’intensità di questo impegno da parte della dirigenza politica israeliana è stata drammaticamente dimostrata proprio nei giorni scorsi, quando hanno avvertito che “impazziranno” se ai diritti palestinesi verrà dato un riconoscimento limitato all’ONU. Non è un punto di inizio nuovo.
La minaccia di “impazzire” (“nishtagea”) è profondamente radicata, già nei governi laburisti degli anni ’50, insieme al relativo “Complesso di Sansone”: butteremo giù le mura del Tempio se vi entrerete. Era una minaccia inutile allora; non oggi.
Anche l’umiliazione fatta di proposito non è una novità, sebbene prenda continuamente nuove forme. Trenta anni fa, i dirigenti politici, compresi alcuni “falchi” famosi, hanno sottoposto al Primo ministro Begin un resoconto scioccante e dettagliato di come i coloni regolarmente maltrattino i Palestinesi nel modo più perverso e con impunità totale. Il preminente analista in materia politica e militare, Yoram Peri, ha scritto con disgusto che il compito dell’esercito non è difendere lo stato, ma “demolire i diritti di gente innocente soltanto perché essi sono Araboushim (“negri”, “ebrei”) che vivono in territori che Dio ha promesso a noi.”
Gli abitanti di Gaza sono stati scelti per imporgli una punizione particolarmente crudele. È quasi un miracolo che la gente possa sopportare un’esistenza del genere. Come ci riescano è stato descritto trenta anni fa in un eloquente memoriale da Raja Shehadeh (La terza via), basato sul suo lavoro di avvocato impegnato nel compito disperato di tentare di proteggere i diritti elementari nell’ambito di un sistema legale designato ad assicurare il fallimento, e sulla sua personale esperienza come Samid, “il perseverante,” *che osserva la sua casa trasformata in prigione da occupanti brutali e che non può fare nulla, se non cercare di “sopportare”.
Da quando Shehadeh ha scritto, la situazione è peggiorata molto. Gli accordi di Oslo, festeggiati con grande pompa nel 1993, hanno determinato che Gaza e la Cisgiordania sono un’unica unità territoriale. Allora gli Stati Uniti e Israele avevano già iniziato il loro programma di separali completamente l’una dall’altra, così da bloccare un accordo diplomatico e punire gli Araboushim in entrambi i territori.
La punizione degli abitanti di Gaza è diventata ancora più severa nel gennaio 2006, quando hanno commesso un grave reato: hanno votato nel “modo sbagliato” nella prima elezione libera del mondo arabo, eleggendo Hamas. Dimostrando il loro “appassionato desiderio di democrazia”, gli Stati uniti e Israele, appoggiati dalla timida Unione Europea, hanno imposto subito un assedio brutale, conducendo allo stesso tempo intensi attacchi militari. Gli Stati Uniti si hanno deciso subito procedure operative standard quando una popolazione disubbidiente elegge il governo sbagliato: preparare un colpo di stato per ripristinare l”ordine.
Gli abitanti di Gaza hanno commesso un reato ancora più grande un anno dopo, bloccando il tentativo di colpo di stato, fatto che ha portato a una brusca intensificazione dell’assedio e degli attacchi militari. Questi sono culminati, nell’inverno 2008-2009, nell’operazione Piombo Fuso, uno dimostrazioni più vigliacche e malvagie di forza militare di recente memoria, poiché una popolazione civile indifesa, intrappolata senza via di scampo, è stata soggetta all’attacco implacabile da parte di uno dei sistemi militari più avanzati del mondo che dipende dalle armi statunitensi ed è protetto dalla diplomazia statunitense. Un resoconto indimenticabile di testimoni oculari del massacro – un infanticidio, secondo le loro parole – è fornito da due coraggiosi medici norvegesi che hanno lavorato nel principale ospedale di Gaza durante gli assalti spietati, Mads Gilbert ed Erik Fosse, nel loro notevole libro: Eyes in Gaza [Occhi a Gaza].
Il presidente designato, Obama, non era stato in grado di dire una parola, a parte reiterare la sua compassione per i bambini che subiscono gli attacchi – nella città israeliana di Sderot. L’assalto accuratamente pianificato è stato concluso subito prima del suo insediamento, cosicché allora ha potuto dire: è ora di guardare avanti, non indietro; il classico rifugio dei criminali.
Naturalmente c’erano dei pretesti – ce ne sono sempre: il solito, tirato fuori quando è necessario, è la “sicurezza”: in questo caso i razzi fatti in casa a Gaza. Come succede di solito, il pretesto mancava di qualsiasi credibilità. Nel 2008 era stata stabilita una tregua tra Israele e Hamas. Il governo israeliano riconosce formalmente che Hamas la rispetti completamente. Non un solo razzo di Hamas è stato sparato fino a quando Israele ha interrotto la tregua con la copertura dell’elezione del 4 novembre 2008 negli Stati Uniti, invadendo Gaza per motivi ridicoli e uccidendo una mezza dozzina di membri di Hamas. Il governo di Israele era stato avvisato dai più alti funzionari dei sevizi segreti che la tregua poteva essere rinnovata riducendo il blocco criminale e mettendo fine agli attacchi militari. Il governo di Ehud Olmert, a quanto pare una “colomba”, ha però scelto di rifiutare queste opzioni, preferendo ricorrere al suo relativo enorme vantaggio nella violenza: l’Operazione Piombo Fuso. I fatti fondamentali sono stati riesaminati ancora una volta dall’analista di politica estera Jerome Slater nel numero della rivista edita dall’Università di Harvard- e pubblicata dal MIT: Sicurezza Internazionale.
Il modello di bombardamento durante Piombo Fuso, è stato attentamente analizzato da Raji Sourani, nato a Gaza, difensore dei diritti umani ottimamente informato e rispettato in campo internazionale. Fa notare che i bombardamenti erano concentrati nel nord, prendendo come obiettivi i civili indifesi nelle zone più densamente popolate, senza alcun pretesto militare. Raji suggerisce che lo scopo può essere stato quello di spingere verso sud, vicino al confine con l’Egitto, la popolazione intimorita. I Samidin, invece non si sono mossi, malgrado la valanga di terrore di Israele e degli Stati Uniti.
Un altro obiettivo poteva essere quello di spingerli oltre. Tornando ai primi giorni della colonizzazione sionista, si sosteneva in gran parte dell’insieme dei paesi che gli Arabi non hanno una vera ragione di stare in Palestina: Possono essere ugualmente felici in qualche altro posto, e dovrebbero andarsene – “essere trasferiti” per esprimersi gentilmente, le “colombe” hanno suggerito. Questa non è una preoccupazione da poco in Egitto, ed è forse una ragione per cui l’Egitto non apre liberamente il confine ai civili o perfino ai materiali di cui si ha una necessità disperata.
Sourani e altre fonti bene informate osservano che la disciplina dei Samidin nasconde una polveriera che potrebbe esplodere in qualunque momento, inaspettatamente, come ha fatto la prima Intifada a Gaza nel 1989 dopo anni di penosa repressione che non ha ottenuto alcuna attenzione o interesse.
Soltanto per citare uno degli innumerevoli casi, poco prima dell’inizio dell’Intifada, una ragazza palestinese, Intissar al-Atar, è stata uccisa da colpi di arma da fuoco nel cortile di una scuola da un residente di un vicino insediamento palestinese. Egli era uno delle varie migliaia di coloni israeliani portati a Gaza in violazione della legge internazionale e protetti da un’enorme presenza dell’esercito e che si impadronivano di gran parte della terra e della poca acqua della Striscia e che vivevano “lussuosamente in 22 insediamenti in mezzo a 1,4 milioni di palestinesi indigenti”, come scrive lo studioso israeliano Avi Raz parlando di quel crimine.
L’assassino della scolara, Shimon Yifrah, è stato arrestato, ma poi rapidamente rilasciato su cauzione, quando la Corte ha determinato che “il reato non è abbastanza grave” per giustificare la detenzione. Il giudice ha osservato che Yifrah voleva soltanto scioccare la ragazza sparandole con la pistola nel cortile della scuola, non ucciderla, quindi non si tratta di un persona criminale che deve essere punita, dissuasa e imprigionata per insegnargli una lezione.” A Yifrah è stata data una condanna di 7 mesi con sospensione della pena, mentre i coloni presenti nell’aula del tribunale si sono messi a cantare e a ballare. E poi c’è stato il solito silenzio. Dopo tutto è routine.
Così è. Quando Yifrah è stato rilasciato, la stampa israeliana ha riferito che una pattuglia dell’esercito in perlustrazione, ha sparato nel cortile di una scuola per ragazzi di età compresa tra i 6 e i 12 anni in un campo profughi della Cisgiordania, ferendo cinque bambini, presumibilmente soltanto con l’intenzione di scioccarli. Non ci sono state accuse, e anche questa volta l’evento non ha attirato alcuna attenzione. Era soltanto un altro episodio del programma di “analfabetismo come punizione”, ha riferito la stampa israeliana, che comprende la chiusura delle scuole, l’uso di bombe chimiche??, picchiare gli studenti con il calcio del fucile, la proibizione di primo soccorso per le vittime; e oltre le scuole, un regime di brutalità più grave, che diventava ancora più selvaggio durante l’Intifada, agli ordini del ministro della Difesa, Yitzak Rabin, un’altra “colomba” molto ammirata.
La mia impressione iniziale, dopo una visita di diversi giorni, è stata di stupore, non soltanto per la capacità di continuare a vivere, ma anche per la vivacità e la vitalità che ci sono tra i giovani, particolarmente all’università, dove ho passato molto del mio tempo a un congresso internazionale. Anche lì, però, si possono trovare segni che la pressione può diventare troppo difficile da sopportare. Ci sono notizie che indicano che tra i giovani c’è una frustrazione nascosta, la consapevolezza che con l’occupazione israelo-statunitense il futuro non riserva loro nulla. Gli animali in gabbia non possono sopportare oltre, e ci può essere un’esplosione, che forse assumerà delle brutte forme – offendo un’opportunità ai difensori israeliani e occidentali di condannare in modo moralistico, le persone che sono culturalmente arretrate, come ha spiegato Romney con grande intuito.
Gaza ha l’aspetto di una tipica società del terzo mondo, con sacche di ricchezza circondate da orribile povertà. E, tuttavia, non è “sottosviluppata”. È, piuttosto, “de-sviluppata”, e anche in modo sistematico, per prendere a prestito i termini di Sara Roy, la principale specialista accademica di Gaza. La Striscia di Gaza sarebbe potuta diventare una prospera regione mediterranea, con un’agricoltura ricca, una fiorente industria ittica, spiagge meravigliose e, come si è scoperto dieci anni fa, buone prospettive di ampie riserve di gas naturale nelle sue acque territoriali.
Per coincidenza o no, questo succede quando Israele ha intensificato il suo blocco navale, spingendo le barche da pesca verso la riva, oramai a tre miglia o meno.
Le prospettive favorevoli sono fallite nel 1948, quando la Striscia ha dovuto assorbire una valanga di profughi palestinesi che scappavano terrorizzati o che erano espulsi energicamente da quella che diventava Israele, in qualche caso espulsi mesi dopo il cessate il fuoco formale.
Infatti venivano espulsi perfino quattro anni dopo, come riferito sul quotidiano Ha’aretz (25.12.2008), in un studio di Beni Tziper sulla storia della città israeliana di Ashkelon risalente ai Canaaniti. Nel 1953, Tziper riferisce, “si calcolava freddamente che era necessario ripulire la regione dagli Arabi.” Il nome originale, Majdal, era stata già trasformato nel nome ebraico attuale, Ashkelo, una pratica normale.
Questo avveniva nel 1953, quando non c’era alcun accenno di necessità militare. Tziper stesso era nato nel 1953, e mentre cammina tra i resti del vecchio settore arabo, riflette che “è realmente difficile per me, realmente difficile rendermi conto che, intanto che i miei genitori festeggiavano la mia nascita, altra gente veniva caricata sui camion e cacciata via dalle loro case.”
Le conquiste di Israele del 1967 e le loro conseguenze infliggevano nuovi colpi. Vennero poi i terribili crimini già citati e che continuano fino a oggi.
I segni sono facili da vedere, anche durante una breve visita. Stando seduti in un albergo vicino alla riva, si può sentire il rumore delle mitragliatrici che proviene dalle corvette armate israeliane che spingono i pescatori fuori dalle acque territoriali di Gaza e verso la riva, cosicché sono costretti a pescare in acque che sono molto inquinate a causa del rifiuto di Stati Uniti e Israele di permettere la ricostruzione del le fognature e del sistema elettrico che essi hanno distrutto.
Gli Accordi di Oslo hanno preparato piani per due impianti di desalinizzazione, necessari in questa regione arida. Uno, un’installazione molto moderna, è stato costruito: a Israele. Il secondo si trova a Khan Yunis, nella parte sud di Gaza. L’ingegnere incaricato di cercare di ottenere l’acqua potabile per la popolazione, ha spiegato che questo impianto era progettato in modo che non usasse l’acqua del mare, ma invece l’acqua sotterranea, un processo più economico, che degrada ulteriormente la scarsa falda acquifera, garantendo gravi problemi in futuro. Anche così, l’acqua è gravemente limitata, L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), l’agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione*, che si occupa dei profughi (ma non di altri abitanti di Gaza), recentemente ha pubblicato un resoconto avvertendo che il danno alla falda acquifera potrebbe diventare presto “irreversibile”, e che senza una rapida azione di riparazione, nel 2020 Gaza potrebbe non essere un “posto vivibile.”
Israele permette che entri il cemento per i progetti UNRWA, ma non per gli abitanti di Gaza presi dalle enormi necessità di ricostruzione. Le limitate attrezzature pesanti giacciono per lo più inutilizzate dal momento che Israele non permette i materiali per le riparazioni. Tutto ciò fa parte del programma generale descritto dal funzionario israeliano Dov Weisglass, consigliere del Primo ministro Ehud Olmert, dopo che i Palestinesi hanno mancato di eseguire gli ordini nelle elezioni del 2006: ha detto: “L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame.” Questo non sarebbe bello.
E il piano si sta eseguendo scrupolosamente. Sara Roy ha fornito ampie prove nei studi eruditi. Recentemente, dopo vari anni di sforzi, l’organizzazione israeliana per i diritti umani Gisha, è riuscita a ottenere un’ingiunzione perché il governo rilasci i documenti elencando i piani per la dieta, e come essi vengono realizzati. Il giornalista Jonathan Cook, di base a Israele, li riassume. “I funzionari della sanità hanno fornito calcoli del numero minimo di calorie necessarie a 1.5 milioni di abitanti di Gaza per evitare la denutrizione. Queste cifre sono state poi tradotte in numeri di carichi di cibo trasportati da camion che si ipotizzava Israele permettesse per ogni giorno… una media di soli 67 camion -molto meno della metà del bisogno minimo – è entrata a Gaza ogni giorno. Questo va paragonato ai 400 camion che entravano prima che iniziasse il blocco.” E perfino questa stima è troppo generosa,” riferiscono i funzionari dell’ONU.
Il risultato dell’imposizione della dieta, osserva lo studioso del Medio Oriente Juan Cole, è che “la crescita di circa il 10% dei bambini palestinesi di Gaza che hanno meno di 5 anni, è stata bloccata dalla denutrizione… inoltre l’anemia è largamente diffusa e colpisce i due terzi dei neonati, il 58,6 dei bambini in età scolare, e oltre un terzo delle mamme incinte.” Gli Stati Uniti e Israele vogliono assicurarsi che nulla di più di che la pura sopravvivenza sia possibile.
“Ciò che si deve tenere bene a mente”, osserva Raji Sourani, “è che l’occupazione e l’assoluta chiusura è un attacco continuo alla dignità umana del popolo di Gaza in particolare e di tutti i Palestinesi in generale. É una degradazione un’umiliazione, un isolamento e una frammentazione sistematica, del popolo palestinese.” Questa conclusione è confermata da molte altre fonti. In una delle principali riviste mediche del mondo, The Lancet, un medico in visita all’università di Stanford, sconvolto da ciò di cui era stato testimone, descrive Gaza come “una specie di laboratorio per osservare l’assenza di dignità,” “una condizione che ha effetti devastanti” sul benessere fisico, mentale e sociale. “La costante sorveglianza aerea, la punizione collettiva per mezzo del blocco e dell’isolamento, l’intrusione nelle case e nelle comunicazioni, e le restrizioni nei riguardi di coloro che cercano di viaggiare, o sposarsi, o lavorare, rendono difficile vivere una vita dignitosa a Gaza.” Agli Araboushim si deve insegnare a non alzare la testa.
C’erano delle speranze che il nuovo governo Morsi in Egitto, meno alla mercè di Israele rispetto alla dittatura di Mubarak appoggiata dall’Occidente, potesse aprire il valico di Rafah, l’unico accesso per l’esterno per gli abitanti di Gaza intrappolati che non sia soggetto al controllo diretto di Israele. C’è stata una piccola apertura, ma non molto. La giornalista Laila el-Haddad scrive che la riapertura ora che Morsi è al potere, “è semplicemente un ritorno allo status quo degli scorsi anni: soltanto i palestinesi che avevano una carta di identità di Gaza approvata da Israele, possono attraversare il valico di Rafah”, esclusi molti Palestinesi e inclusa la famiglia di el-Haddad, dove soltanto una moglie ha la carta.
Inoltre, Laila continua, “il valico non porta alla Cisgiordania, oppure non permette il passaggio delle merci, che sono limitate ai valichi controllati da Israele e soggetti a proibizioni riguardanti i materiali da costruzione e l’esportazione.” Il valico limitato di Rafah, non cambia il fatto che “Gaza rimane sotto uno stretto assedio marittimo e aereo, e continua a essere chiusa ai capitali culturali, economici, accademici nel resto dei [territori occupati], in violazione degli obblighi di Israele e Stati Uniti in base agli Accordi di Oslo.”
Gli effetti sono dolorosamente evidenti. All’ospedale Khan Yunis, il direttore, che è anche primario di chirurgia, descrive con rabbia e passione come manchino perfino le medicine per alleviare le sofferenze dei pazienti, e anche delle semplici attrezzature per interventi chirurgici, lasciando i dottori impotenti e i pazienti in agonia.
Storie personali aggiungono un tono vivace al disgusto generale che si prova davanti allo schifo dell’occupazione violenta. Un esempio è la testimonianza di una giovane donna che era disperata perché che suo padre, che sarebbe stato orgoglioso che lei era la prima donna nel campo profughi a ottenere una laurea specialistica, “era morto a 60 anni dopo 6 mesi di lotta contro il cancro. L’occupazione di Israele gli ha negato il permesso di andare a farsi curare negli ospedali di Israele: Ho dovuto interrompere i miei studi, il lavoro, la mia solita vita e restare seduta al suo capezzale. Eravamo tutti seduti lì: mio fratello medico e mia sorella farmacista, tutti impotenti e disperati guardando soffrire. É morto durante il disumano blocco di Gaza nell’estate del 2006 quando c’era accesso scarso all’assistenza sanitaria. Penso che sentirsi impotenti e disperati sia il sentimento più micidiale che un essere umano possa mai provare. Uccide lo spirito e spezza il cuore. Si può combattere l’occupazione ma non si può combattere il senso di impotenza. Non si può neanche dissolvere quel sentimento.”
Disgusto per l’oscenità, unito alla colpa; è nelle nostre capacità porre fine alle sofferenze e permettere ai Samidin di godere la vita di pace e dignità che meritano.
Noam Chomsky ha visitato la Striscia di Gaza dal 25 al 30 di ottobre 2012.
*http://suspendedinlight.wordpress.com/2012/10/10/falastin-diaries-sumud-vs-hafrada/
**http://it.wikipedia.org/wiki/UNRWA
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte Originale: Chomsky.info
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0.
GAZA, BAMBINI CHE RESISTONO
Battuti due record del mondo dai piccoli della Striscia: un sorriso nel mezzo di una tragedia
Di Vittorio Arrigoni – 30 luglio 2010 – Peace Reporter
Credetemi, i bambini di Gaza sono mocciosi da record. Sono sopravvissuti a Piombo Fuso e sopravvivono ogni giorno alla guerra in tempo di tregua.
Coperti di sangue hanno strisciato sotto le rovine di palazzi bombardati e si sono presi cura per giorni dei fratelli più piccoli, dei corpi agonizzanti dei genitori seppelliti sotto le macerie delle loro culle. Come eroi disneyani sono sgusciati fuori dal ventre della morte ancora inzaccherati dal liquido amniotico per scoprire il peso dell’ereditare la condizione di esule palestinese.
Più della metà della popolazione di questa misera Striscia di terra è composta da bambini, e sebbene nessuno di questi minori abbia mai votato per Hamas sono loro le vittime designate delle operazioni militari israeliane e più in generale dell’assedio imposto a Gaza.
Bambini che resistono. Contro le malattie: secondo un recente rapporto del Palestinian Medical Relief Society il 52 percento dei bambini di Gaza sono anemici, e soffrono di gravi carenze nutrizionali per la scarsità nella loro alimentazione di elementi quali il fosforo, il calcio e lo zinco. Anche il dato sulle malattie respiratorie è preoccupante.
Bimbi che resistono alle psicosi, a quelle lacerazioni della memoria che li riporta dinnanzi a corpi smembrati ed edifici in fiamme, a quei traumi indelebili che li rendono ansiosi e depressi, insonni e incontinenti.
Vivono in spazi sovraffollati privi di aree ricreative e hanno visto nelle strade dove giocano la carne ardere viva e decomporsi. Missili, devastazioni e morte sono evocati nei disegni quando si mette dinnanzi a loro un foglio bianco.
Se il diritto al gioco qui è un lusso, quello allo studio è prevenuto: Israele quest’anno oltre ai giocattoli ha impedito l’entrata all’interno della Striscia anche dei libri di testo per le scuole elementari.
A differenza dei loro coetanei israeliani che sono liberi di praticare sport all’aria aperta o di svagarsi con la playstation i bambini di Gaza sono resi schiavi di un padrone che si chiama fame, e li vedo ogni giorno spingere aratri nei campi, frugare nei cassonetti della monnezza in cerca di materiali di recupero. Nel caldo insopportabile di questa canicolare estate sono sopra carretti trainati da muli stracarichi di mattoni e pietre recuperati dagli edifici bombardati, o li trovi agli incroci delle strade a vendere cianfrusaglia con sguardi da vecchi stanchi di sognare verdi cortili, campi di calcio e gelati.
Non stanno giocando a nascondino quando spariscono sottoterra nei tunnell di Rafah: col rischio di rimanere seppelliti vivi sono la manodopera economicamente e fisicamente più adatta per trafficare le merci che altrimenti non arriverebbero mai sugli scaffali dei negozi di Gaza.
Cosi qualche tempo fa si era espressa Jasmine Whitbread, Direttore Generale di Save the Children: “I bambini a Gaza hanno fame a causa dei notevoli impedimenti all’ingresso di cibo nell’area, e stanno morendo perché non possono lasciare Gaza per avere quelle cure mediche di cui hanno urgente bisogno. Centinaia di migliaia di bambini stanno crescendo senza avere un’istruzione decente perché gli edifici scolastici sono gravemente danneggiati e a causa delle restrizioni nel passaggio e rifornimento di materiali edili, non possono essere ristrutturati. Sono i bambini che stanno pagando il prezzo più caro dell’assedio”.
Oltre a questi record non ricordati, i bambini della Striscia di Gaza in sette giorni hanno infranto due primati celebrati nel Guinness.
Giovedì 22 luglio nell’area dell’aeroporto fantasma di Rafah, distrutto dall’aeronautica militare israeliana nel 2001, nell’ambito della fine dei campi estivi organizzati dall’Unrwa (agenzia Onu per i profughi palestinesi) più di 7.200 bambini hanno fatto rimbalzare simultaneamente per 5 minuti altrettanti palloni da basket mentre ieri è stato stabilito il record di quanti più aquiloni svolazzanti nello stesso istante.
Sulla spiaggia di Beit Laya, dinnanzi al confine nord con Israele, il cielo si è tappezzato di migliaia di esagoni colorati, in una sorta di celebrazione animata di quella libertà agognata anche dai più piccoli. Oltre 7mila bambini hanno fatto volare i loro aquiloni, raddoppiando il record che era stato registrato sempre a Gaza lo scorso anno.
Così si è espresso al termine dell’evento John Ging, a capo della Unrwa: “E’ un successo incredibile riuscire a infrangere due record mondiali in una sola settimana. Una dimostrazione di cosa possono fare i bambini di Gaza se gli è data loro una opportunità. I bambini della Striscia sono come tutti gli altri bambini del mondo, desiderano vivere una vita normale lontano dalle avversità che sono costretti ad affrontare giorno dopo giorno”, ha concluso Ging, “Questa giornata di festa è l’espressione della richiesta di libertà per questi bambini”.
A differenza dei palloni da basket utilizzati a Rafah, gli aquiloni che hanno sventolato ieri sopra Beit Laya non sono di produzione industriale ma confezionati dalle stesse mani di quei bambini che li hanno issati al cielo.
Alcuni presentavano fantasie sgargianti, numerosi orgogliosamente i colori della bandiera palestinese.
Un urlo visibile di resistenza dinnanzi alla torrette di sorveglianza israeliane distanti a poche centinaia di metri.
Poco dopo la registrazione del nuovo Guinness dei Primati, una nave da guerra di Tsahal (l’esercito israeliano) è apparsa all’orizzonte e si avvicinata alla costa di Beit Laya, come a ricordare che l’ora di ricreazione era finita.
Restiamo Umani
http://www.giorgiobongiovanni.it/fame-nel-mondo/2156-gaza-bambini-che-resistono.html