DAL CIELO ALLA TERRA
L’APOCALISSE DELL’UMANITÀ È IN FASE PROGRESSIVA E DRAMMATICA. NESSUNO A PARTE LE ECCEZIONI, SI RENDE CONTO DELLA MORTALE SPIRALE NELLA QUALE È SPROFONDATA INESORABILMENTE L’UMANITÀ.
NOI “ALIENI”, COME VOI VOLGARMENTE CI DEFINITE, VI ABBIAMO GIÀ DETTO PIÙ VOLTE CHE I POTENTI ANTICRISTI DELLA TERRA HANNO PROGRAMMATO NEL PROSSIMO FUTURO UNA GUERRA NUCLEARE CHE PROVOCHEREBBE LO STERMINIO DI GRAN PARTE DELL’UMANITÀ.
LA CRISI ECONOMICA (leggi articolo allegato), VOLUTA E PROGRAMMATA, SARÀ LA FORZA SCATENANTE. SE TUTTI NESSUNO ESCLUSO, NON PONETE RIMEDIO A QUESTO SCENARIO INFERNALE, LA BATTAGLIA DI ARMAGHEDON, GIÀ IN FASE INIZIALE, SARÀ INEVITABILE.
VOGLIAMO ANCORA UNA VOLTA RICORDARVI CHE NOI RISPETTEREMO LE PROMESSE E I PROGRAMMI STABILITI DAI MAESTRI COSMICI E DAL CRISTO REDENTORE: SALVEREMO IL SALVABILE CHE È COMPOSTO DAI BAMBINI, DAI BUONI, DAI GIUSTI, DAI PACIFICI E AMANTI DELL’AMORE E NON DA ALTRI, RICORDATELO SEMPRE!
PACE!
NOI “ALIENI”, COME VOI VOLGARMENTE CI DEFINITE, VI ABBIAMO GIÀ DETTO PIÙ VOLTE CHE I POTENTI ANTICRISTI DELLA TERRA HANNO PROGRAMMATO NEL PROSSIMO FUTURO UNA GUERRA NUCLEARE CHE PROVOCHEREBBE LO STERMINIO DI GRAN PARTE DELL’UMANITÀ.
LA CRISI ECONOMICA (leggi articolo allegato), VOLUTA E PROGRAMMATA, SARÀ LA FORZA SCATENANTE. SE TUTTI NESSUNO ESCLUSO, NON PONETE RIMEDIO A QUESTO SCENARIO INFERNALE, LA BATTAGLIA DI ARMAGHEDON, GIÀ IN FASE INIZIALE, SARÀ INEVITABILE.
VOGLIAMO ANCORA UNA VOLTA RICORDARVI CHE NOI RISPETTEREMO LE PROMESSE E I PROGRAMMI STABILITI DAI MAESTRI COSMICI E DAL CRISTO REDENTORE: SALVEREMO IL SALVABILE CHE È COMPOSTO DAI BAMBINI, DAI BUONI, DAI GIUSTI, DAI PACIFICI E AMANTI DELL’AMORE E NON DA ALTRI, RICORDATELO SEMPRE!
PACE!
DAL CIELO ALLA TERRA
Sant’Elpidio a Mare (Italia)
10 Ottobre 2013. Ore 16:45
G. B.
10 Ottobre 2013. Ore 16:45
G. B.
L’AMERICA CHE FA CRAC. UN INCUBO PER I BILANCI DELLE BANCHE EUROPEE
Una svalutazione dei T-bond ridurrebbe il credito
Una svalutazione dei T-bond ridurrebbe il credito
L’allarme per la crisi del debito americano si sta rapidamente allargando all’Europa, che nel 2011 fu la vittima principale del braccio di ferro tra il presidente Obama e la maggioranza repubblicana alla Camera.
I toni non sono aperti come quelli di Cina o Russia, motivate tanto da ragioni politiche, quanto dall’enormità dei titoli americani posseduti da Pechino, che arrivano a quasi 1,3 trilioni di dollari.
La preoccupazione però è la stessa, se non maggiore, perché la fragile ripresa del Vecchio continente potrebbe essere spazzata via dal default di Washington. Per non parlare degli effetti che questo spauracchio avrebbe sui mercati finanziari, riaprendo le porte ad una potenziale crisi come quella che aveva quasi fatto saltare l’euro due anni fa.
Dal vertice Apec di Bali, il capo del Cremlino Putin ha quasi preso in giro il collega della Casa Bianca, dicendo che al suo posto neppure lui sarebbe partito per l’Asia. La Cina invece ha richiamato gli Usa alla loro responsabilità, chiedendo «misure concrete» per evitare il default. A Bruxelles, invece, sono state sospese le trattative della Transatlantic trade and investment partership (Ttip), perché i negoziatori americani sono stati messi in aspettativa a causa dello shutdown. L’allarme naturalmente è riverberato al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, che proprio in questi giorni aprono i vertici autunnali.
I governi europei non hanno alzato la voce come quello cinese e russo, ma le banche centrali, partendo dalla Bce per scendere ai singoli istituti nazionali, hanno ricevuto o stanno ricevendo rapporti molto preoccupati dai loro uffici negli Stati Uniti. Sul piano politico, il problema principale è l’incomunicabilità fra le parti, che rende difficile il compromesso. Sul piano tecnico, invece, l’emergenza non sta tanto nello shutdown già in corso, quanto nella minaccia che a partire dal 17 ottobre Washington smetterà di onorare il proprio debito. Questo passo senza precedenti avrebbe due effetti disastrosi sull’Europa: primo, una frenata della crescita che stava appena riapparendo; secondo, una potenziale nuova crisi finanziaria.
Sul primo punto è facile capire il meccanismo. Il default frenerebbe i consumi americani, e nello stesso tempo svaluterebbe il dollaro, complicando le esportazioni europee. Sul secondo, invece, è stato lo stesso ex capo dello staff della Casa Bianca John Podesta a spiegare i motivi di preoccupazione: «Se i regolatori europei decidessero che le banche devono sottoporsi agli stress test per l’esposizione verso gli Usa, e cominciassero ad alzare i livelli di capitale richiesti, sarebbe un disastro». Gli istituti che detengono più titoli americani dovrebbero svalutare le proprie attività, e raccogliere nuovi fondi. Questo porterebbe ad una inevitabile contrazione del credito, che finora è stata una delle cause principali della mancata ripresa in Italia. Se poi le banche, ancora fragili per la crisi dei mutui subprime del 2008, cominciassero a saltare, ci ritroveremmo in breve sull’orlo del baratro. Facile prevedere nuovi problemi per gli stati, nuovi interventi per i paesi più deboli come la Grecia, e magari nuova instabilità per l’Italia o la stessa Francia.
Dal vertice Apec di Bali, il capo del Cremlino Putin ha quasi preso in giro il collega della Casa Bianca, dicendo che al suo posto neppure lui sarebbe partito per l’Asia. La Cina invece ha richiamato gli Usa alla loro responsabilità, chiedendo «misure concrete» per evitare il default. A Bruxelles, invece, sono state sospese le trattative della Transatlantic trade and investment partership (Ttip), perché i negoziatori americani sono stati messi in aspettativa a causa dello shutdown. L’allarme naturalmente è riverberato al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, che proprio in questi giorni aprono i vertici autunnali.
I governi europei non hanno alzato la voce come quello cinese e russo, ma le banche centrali, partendo dalla Bce per scendere ai singoli istituti nazionali, hanno ricevuto o stanno ricevendo rapporti molto preoccupati dai loro uffici negli Stati Uniti. Sul piano politico, il problema principale è l’incomunicabilità fra le parti, che rende difficile il compromesso. Sul piano tecnico, invece, l’emergenza non sta tanto nello shutdown già in corso, quanto nella minaccia che a partire dal 17 ottobre Washington smetterà di onorare il proprio debito. Questo passo senza precedenti avrebbe due effetti disastrosi sull’Europa: primo, una frenata della crescita che stava appena riapparendo; secondo, una potenziale nuova crisi finanziaria.
Sul primo punto è facile capire il meccanismo. Il default frenerebbe i consumi americani, e nello stesso tempo svaluterebbe il dollaro, complicando le esportazioni europee. Sul secondo, invece, è stato lo stesso ex capo dello staff della Casa Bianca John Podesta a spiegare i motivi di preoccupazione: «Se i regolatori europei decidessero che le banche devono sottoporsi agli stress test per l’esposizione verso gli Usa, e cominciassero ad alzare i livelli di capitale richiesti, sarebbe un disastro». Gli istituti che detengono più titoli americani dovrebbero svalutare le proprie attività, e raccogliere nuovi fondi. Questo porterebbe ad una inevitabile contrazione del credito, che finora è stata una delle cause principali della mancata ripresa in Italia. Se poi le banche, ancora fragili per la crisi dei mutui subprime del 2008, cominciassero a saltare, ci ritroveremmo in breve sull’orlo del baratro. Facile prevedere nuovi problemi per gli stati, nuovi interventi per i paesi più deboli come la Grecia, e magari nuova instabilità per l’Italia o la stessa Francia.
Non a caso l’indice iTraxx, che misura i credit-default swaps delle compagnie, nell’ultima settimana ha raggiunto il livello più alto da settembre. I costi per assicurare i corporate bonds di fronte a possibili perdite stanno salendo, e questo è solo un assaggio di quanto potrebbe capitare se il 17 ottobre gli Stati Uniti andassero davvero in default. I rapporti partiti dall’America hanno dipinto questi scenari, sollecitando quindi le banche centrali a considerare le contromisure già in via di preparazione. Nella speranza che nel frattempo i politici americani sappiano trovare il compromesso, necessario ad impedire un’altra crisi evitabile.
La Stampa, 10 ottobre 2013
La Stampa, 10 ottobre 2013