HO SCRITTO IL 17 AGOSTO 2009:
IO E SETUN SHENAR IN CONVERSAZIONE.
LEGGETE LE ALLEGATE NOTIZIE.
I RIFIUTI NELL’OCEANO DELLA MADRE TERRA.
UN ALTRO SEGNO DELLA VOSTRA DECADENZA, DELLA VOSTRA PROSSIMA AUTODISTRUZIONE.
I BEATI E I GIUSTI ABBIANO FEDE NELLA LORO SALVEZZA.
PACE!
HO RINGRAZIATO SETUN SHENAR
Sant’Elpidio a Mare (Italia)
17 agosto 2009
Giorgio Bongiovanni
Stigmatizzato
UN’ “ISOLA DI IMMONDIZIA” NEL PACIFICO MINACCIA L’ECOSISTEMA MARINO
Simulazione del Vortice di Plastica nel Pacifico e una vittima dei rifiuti galleggianti rimasta intrappolata in un cerchio di plastica e cresciuta in modo anomalo.
8 agosto 2009.- Bottiglie, borse e siringhe sono soltanto alcuni degli oggetti di plastica –materiale non biodegradabile- che galleggiano nel Nord del Pacifico, tra gli Stati Uniti e il Giappone, dando forma a ciò che alcuni hanno battezzato “l’isola o zuppa di immondizia”.
Con l’intento di studiare la composizione di quell’immenso ammasso di rifiuti e di come la stessa possa influenzare la vita marina e la catena alimentare, sono partite dalle coste della California due navi, New Horizon e Kasei, che in questo momento si stanno avvicinando all’obiettivo.
Si stima che la sorprendente “macchia” di rifiuti abbia una superficie di circa 1,4 milioni di km2, (che equivale alla metà della superficie continentale argentina) e contenga più di sei tonnellate di plastica. Oltre ad elementi identificabili, è composta anche da milioni di particelle microscopiche, alcune della grandezza di un granello di sabbia.
Il Progetto Kaisei è portato avanti da scienziati, ecologisti, amanti degli oceani ed appassionati di sport marini che si sono riuniti per studiare i rifiuti e trovare un modo per recuperarli, trattarli e valutare la possibilità di riutilizzarli sottoforma di combustibile.
“In questa spedizione prima di tutto vogliamo analizzare l’immondizia e in seguito decideremo il modo migliore di intervenire”, ha dichiarato alla BBC Mundo il leader del progetto, Doug Woodring.
Woodring ha aggiunto che il problema principale è che “l’isola” si trova in acque internazionali. “Nessuno passa da lì, non fa parte delle principali rotte commerciali, non è sotto nessuna giurisdizione e la gente non sa della sua esistenza”, ha spiegato lo scienziato. La grande massa di residui è stata scoperta oltre dieci anni fa dall’oceanografo Charles Moore, che percorrendo quella rotta si trovò di fronte all’insolito e sgradevole paesaggio.
Gli organizzatori, che hanno previsto il ritorno della spedizione a inizi del mese prossimo, hanno informato che gli interventi operativi potranno essere seguiti dal pubblico attraverso internet.
Il New Horizon sta prendendo campioni delle acque oceaniche, a volte a grande profondità. Questi campioni di “mare pulito” saranno confrontati con i campioni d’acqua che si preleverà tra i rifiuti. Woodring sta inviando periodicamente informazioni dal New Horizon, che è possibile seguire attraverso il sito www.projectkaisei.org
Il principale problema dei residui plastici è che non si degradano come i materiali naturali. Per esempio, una bottiglia di plastica buttata in mare si trasforma in pezzettini minuscoli sotto l’azione del sole e delle correnti marine, ma rimangono sempre pezzettini di plastica; la sua costituzione basica rimane inalterata. Altri oggetti più grandi (come resti di utensili, tappi e imballaggi) rimangono inalterati per secoli.
Molti di questi rifiuti vengono trasportati dalle correnti oceaniche fino una zona del Nord del Pacifico dove le acque girano lentamente in senso orario. I venti sono scarsi e non esistono isole dove i pezzi di immondizia più grandi possano incagliarsi. Per questo motivo una gigantesca massa di plastica sta galleggiando come un’isola di immondizia in una estesa regione, conosciuta con il nome “vortex del Pacifico”, più precisamente “garbage patch” (immondezzaio).
La densità dei resti galleggianti aumenta drammaticamente anno dopo anno. Per ogni cinque km di plancton si trova un kg di rifiuti plastici. Molti uccelli marini e pesci muoiono inghiottendo rifiuti plastici come tappi di bottiglia o pezzi di accendini. Si stima che ogni anno, oltre un milione di uccelli e centomila mammiferi e tartarughe marine muoiano per ingestione di resti di plastica buttati nell’oceano. Certamente, non tutta la plastica galleggia. A dire il vero, circa il 70% dei residui plastici finisce per contaminare i fondali marini.
Un altro grave problema è che la plastica agisce come una specie di “spugna chimica”, che concentra la maggior parte dei contaminanti tossici negli oceani: i POPs (“persistent organic pollutants”, contaminanti persistenti organici). Gli animali che consumano questi materiali contaminati li trasferiscono lungo la catena alimentare, con i rischi che comporta.
Il capitano Charles Moore è stato il primo a scoprire questo fenomeno e a studiarlo nel 1997.
Da allora si sono succedute numerose spedizioni scientifiche con destinazione discarica del Nord del Pacifico. Dal settembre 2007, la nave di investigazione oceanografica Alguita è presente nella regione per studiare l’aumento della densità dei residui e le loro conseguenze sull’ ecosistema. Le notizie sulle sue scoperte vengono regolarmente pubblicate in un blog che include fotografie dei vari campioni di residui trovati nelle acque.
IL FIUME PIÙ SPORCO DEL MONDO
Abbiamo ricevuto in redazione questa sequenza grafica, inviata da Ruth Noemí Suarez Peraza, con il titolo “Il fiume più sporco del mondo”. Le immagini che vedete di seguito parlano da sole e il lettore fará la sua personalissima riflessione.
Non so cosa proverete vedendo le allegate immagini, ma io sento impotenza e tristezza nel vedere come il nostro mondo si sta deteriorando e sta cadendo a pezzi a causa delle nostre azioni.
Questo è il fiume Citarum, a ovest dell’isola di Java, in Indonesia.
Ironicamente questo fiume, in tempi migliori, era utilizzato per la pesca e l’irrigazione, ma a causa delle fabbriche che sono sorte sul posto, il fiume è diventato un’enorme discarica. Le persone del luogo hanno smesso di pescare. L’attività che si svolge adesso è quella di “rovistare” tra i rifiuti qualcosa che potrebbe essere venduto o scambiato con cibo.
Poi ci lamentiamo quando la natura risponde a questo scempio con terremoti, uragani, allagamenti… Questa risposta è soltanto una piccola dimostrazione di ciò che ci aspetta si continuiamo ad agire in questo modo.
Por: Aporrea.org / Tiempo.hn / nuestroclima.com / GreenPeace
Data di pubblicazione: 09/08/09