Un omaggio che ha preso forma. Un omaggio che “casualmente” ha riunito diverse generazioni. Un omaggio che ha raccolto più frutti di quelli che lo stesso Eugenio potesse immaginare 40 anni fa. Una giornata che ha portato irrimediabilmente alla nostra memoria l’ultimo incontro con Eugenio Siragusa, nel 1993 all’ Hotel Gemmellaro di Nicolosi.
Ancora una volta ci siamo abbracciati a cuore aperto per perpetuare la personalità, la donazione e l’opera di uno dei contattati più famosi e più umili della storia dell’umanità, in missione per servire il Cristo, suo Maestro e nostro.
Se ieri, in quello stesso punto, sentivamo la voce di Eugenio che ci parlava con la tenerezza e la pace che gli erano caratteristici, oggi, il Cielo gli ha permesso di comunicare di nuovo con noi attraverso l’enorme aquila che sorvolava il vulcano Etna, spiegando le sue ali con aristocrazia e dominio delle alture.
Durante il funerale al Cimitero, alle 5 del pomeriggio del 29 agosto, alcuni fratelli presenti si sono accorti che, nel momento in cui il feretro veniva collocato nel loculo in alto del blocco 12 del cimitero, la quale non portava alcuna identificazione, due colombe, una bianca e una nera, si sono spiegate in volo in due direzioni diverse fino a perdersi all’orizzonte. Sotto, nel frattempo, si svolgeva il rito funebre: breve e privo di parole dinanzi a un piccolo gruppo di persone.
Solamente due giorni dopo, giovedì 31 agosto, quando Giorgio è partito urgentemente da Montevideo-Uruguay verso Italia, il quotidiano “La Sicilia” ha pubblicato a pagina 10 un articolo sulla scomparsa di Eugenio: “Personaggio da leggenda. Morto l’amico degli alieni. Eugenio Siragusa nel ’62 raccontò di aver incontrato gli extraterrestri sull’Etna”.
Il giornale è stato consegnato al nostro gruppo il 5 settembre al Gemmellaro. Un giorno di sole, di molto caldo. Il cielo limpido e il Vulcano Etna fumante.
Alle nove del mattino il pullman con oltre 40 persone ed alcune automobili si sono avviate verso il cimitero di Nicolosi. Le porte chiuse non sono state di ostacolo per rendere un rispettoso omaggio. Un comandante della Polizia locale, responsabile del cimitero, ci ha autorizzato l’ingresso spiegandoci che la famiglia ha proibito di fotografare il loculo di Eugenio.
Abbiamo sceso alcune scale e abbiamo visto il luogo dove giace la materia di un uomo immenso. Abbiamo notato che il numero della lapide è incompleto. Un rispettoso silenzio tra tutti noi. Giorgio si è allontanato dal gruppo per qualche istante, rivolgendo lo sguardo al Cielo.
Abbiamo sentito Eugenio vivo. Più vicino a noi. Più libero. Che ci insegna dalla Luce. In eterna sintonia col suo figlio spirituale: un Giorgio Bongiovanni che non dubitò ne dubita di amarlo come padre spirituale, amico, guida, ma sempre dopo il Cristo che mette al primo posto, donandogli la sua vita, perpetuando la sua memoria con l’esempio, con opere più che con parole e portando sulle sue spalle l’incomprensione di alcuni e l’amore di tanti altri e le cause a favore della vita e della giustizia. Esattamente tutto ciò che gli ha insegnato Eugenio da quando era adolescente.
Siamo andati via dal cimitero e prima di mezzogiorno ci siamo recati sul Monte Sona, ai piedi dell’Etna. A circa 1398 m. sul livello del mare dove, il 30 aprile del 1962, a seguito di dieci anni di preparazione Eugenio Siragusa ebbe il suo primo incontro con i due esseri di Luce, presso una piccola quercia, oggi imponente.
Una parte del gruppo è poi salito alla cima del Monte ed è sceso dentro il cratere spento da molto tempo, luogo in cui, come indicava Eugenio, è atterrata l’astronave. I componenti si sono disposti in cerchio, si sono presi per mano e poi ci racconteranno che, mentre recitavano il Padre Nostro, una farfalla si è avvicinata ad ognuna delle persone, senza allontanarsi dalla zona seguendo la linea circolare. Non è comune che una farfalla esegua un volo di questo tipo considerando la forte presenza umana in quel momento. L’episodio ha generato commenti e riflessioni.
Nell’ambito del mio lavoro giornalistico ho realizzato alcune interviste per un documentario per la televisione uruguaya. Un’opportunità per ascoltare testimonianze su questo incontro e su Eugenio Siragusa.
“Questo non è un incontro formale. Nemmeno una conferenza pubblica. E’ una riunione spirituale alla quale può partecipare chi lo desidera. E’ un re-incontro di amici”, queste sono state le parole iniziali di Giorgio.
Tredici anni prima, in quella stessa sala eravamo protagonisti di altri momenti di vita. Ma presto l’allontanamento ha segnato altre direzioni, non prive di sofferenza. Non ci sono state divergenze. Soltanto un allontanamento tra Eugenio Siragusa e il suo figlio spirituale. Ma il figlio spirituale ha continuato a divulgare l’opera di suo padre, cioè l’Opera di Cristo, l’unico che loro due e tutti noi chiamiamo Maestro.
“Nessuno. Nessuno può impedire di amare Eugenio. Oggi siamo qui per parlare di lui. Non farò un monologo, sono pronto a rispondere alle vostre domande e invito tutti a dire quello che ognuno sente.”
Più volte Giorgio ha chiesto ai presenti di intervenire.
Prevalgono i ricordi della sua personalità, della sua saggezza. Prevalgono i ringraziamenti per averli aiutati a superare delle difficoltà che potevano condurli verso strade sbagliate.
“Eugenio vive, perché la morte non esiste. Eugenio è in ogni luogo, dentro i cuori di tutti coloro che lo hanno amato e che desiderano che si trovi nella Luce. Eugenio si trova dovunque lui desidera andare. Non ha vincoli con nessuno. Non deve chiedere permesso agli umani per farsi sentire da qualcuno”.
I sentimenti tradotti in parole risuonano con giustizia nella sala. Al momento propizio per un invito al rispetto e al ricordo verso Eugenio, Giorgio chiede 30 secondi di silenzio e il segno della Croce. Si toglie i guanti che coprono le stigmate e fa questo piccolo omaggio all’interno del grande omaggio che porta avanti ogni giorno, con la sofferenza delle stigmate e il suo intenso lavoro a favore della vita. Per finire chiede un forte applauso che fa vibrare la sala.
“Le giovani generazioni devono ricordare i grandi uomini; devono ricordare ciò che hanno fatto, soprattutto gli uomini che hanno servito una giusta causa, che hanno servito Cristo, uomini che Gli hanno offerto tutta la loro vita e che hanno commesso anche i loro sbagli, come me, il primo di tutti e come alcuni di noi. Per questo motivo gli uomini grandi sono grandi, perché seppur messaggeri di Dio, vivevano qui e dovevano soffrire qui ed hanno superato i limiti della materia. Quando un essere lascia il proprio corpo, se ha lavorato per la causa di Cristo, di Dio, ha bisogno di essere ricordato sempre”.
La serata è stata protagonista di altri momenti speciali, vecchi amici di Giorgio, della sua Sicilia, hanno condiviso molti dei suoi concetti e la loro coscienza si è risvegliata approfondendo così il senso dell’omaggio.
Per tutti noi è risultata essere una serata da tempo desiderata. La gioia nel sapere che è stata in onore di Eugenio Siragusa accresce la nostra coscienza nel mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Abbiamo lasciato i minuti trascorrere, ottimisti e sicuri che l’omaggio non si limita a un giorno. Il giorno dopo abbiamo lasciato l’Hotel Gemmellaro coscienti che l’omaggio a nostro “Papa Eugenio” sarà ogni giorno.
Abbiamo una responsabilità molto grande sulle nostre spalle. Tanto che sicuramente Nicolosi figurerà nella nostra prossima agenda. Non per rendere testimonianza alla morte, bensì per renderla alla vita. Alla vita di un uomo le cui opere e azioni sono state e sono esempi di vita. Senza tempo e senza limiti. Libero, eternamente libero, come l’aquila che ha sorvolato l’Etna con le ali spiegate.
7 settembre 2006
Sicilia (Italia)