Come in alto così in basso

di Andrea Machiarini

“È vero senza mentire, certo e più vero. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è al di sopra è simile a ciò che è in basso per fare il miracolo di una sola cosa.”

Come in alto così in basso

di Andrea Machiarini

“È vero senza mentire, certo e più vero. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è al di sopra è simile a ciò che è in basso per fare il miracolo di una sola cosa.”

Confronto dell’analogia visiva tramite immagini reali tra un atomo e un sistema stellare. A sinistra la prima “fotografia” realizzata nel 2013 con un microscopio elettronico di un vero atomo di idrogeno, a destra il sistema stellare di Fomalhaut ripreso nel 2023 dal nuovissimo telescopio spaziale James Webb (crediti: Stodolna et al. / Physical Review Letters, NASA, ESA, CSA, A. Gáspár, A. Pagan).

Analogie tra atomi e sistemi stellari

– prima parte –

Secondo le notizie riportate in numerosi testi medievali e rinascimentali, citate e riportate anche da illustri uomini di scienza come ad esempio Isaac Newton, sarebbe stata attribuita a Ermete Trismegisto l’incisione riportata sulla “tavola di smeraldo“. Questo antico testo, giunto fino ai giorni nostri, inizia così:

“È vero senza mentire, certo e più vero. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è al di sopra è simile a ciò che è in basso per fare il miracolo di una sola cosa.”

Oggi che abbiamo superato la soglia del primo ventennio del terzo millennio, in base alle ultime scoperte tecniche e tecnologiche andremo a vedere le evidenze che supportano e avvallano le famose parole “come in alto così in basso“: la somiglianza tra la dimensione macroscopica alla dimensione microscopica.

Lo scopo sarà di evidenziare le analogie, le relazioni di somiglianza, l’uguaglianza di rapporti, l’uguaglianza nelle proporzioni e nei comportamenti. Utilizzando parole semplici, sarà messo in evidenza il rapporto che la mente coglie fra due o più cose che hanno, nella loro costituzione, nel loro comportamento o nei loro processi, qualche tratto in comune.

La prima “fotografia” di un atomo di idrogeno

Oramai più di dieci anni fa, un gruppo di scienziati e ricercatori appartenenti all’Istituto FOM per la fisica atomica e molecolare (AMOLF) nei Paesi Bassi, è riuscito a catturare la prima foto in assoluto delle orbite in cui “transita” l’elettrone all’interno di un atomo di idrogeno, grazie a una nuova tecnica di microscopia unica.

Vedere all’interno dei più piccoli mattoni che compongono la materia è una grande sfida, non solo a causa della scala di dimensioni atomica infinitesimale: le cose estremamente piccole operano in modi estremamente particolari. Dello studio di questo se ne occupa una branca della scienza chiamata fisica quantistica.
Fin dalla nascita di questa disciplina, dal 1920 circa, si è subito riscontrato che il semplice atto di osservare tali minuscole particelle può influenzare la loro stessa esistenza: un concetto noto come principio di incertezza.

Per aggirare questo limite imposto dal comportamento delle particelle che compongono la materia gli scienziati nel corso dei decenni hanno formulato delle ipotesi di comportamento, seguite da tentativi sperimentali di conferma di queste ipotesi: da questo processo sono scaturite complesse equazioni matematiche che si avvicinano a prevedere dove e quando gli elettroni sfrecciano nella loro orbita attorno al nucleo composto da protoni di un atomo.

Dopo l’esperimento di cui stiamo parlando, i cui risultati sono stati pubblicati nella rivista Physical Review Letters, questo è cambiato. Grazie a un “microscopio quantistico” di recente sviluppo, inventato da Aneta Stodolna che è la principale ricercatrice del gruppo che è riuscita in questa impresa, è stato possibile fotografare la funzione d’onda di un atomo di idrogeno. L’idrogeno è particolarmente adatto per questa nuova tecnica fotografica perché in sostanza è l’atomo più semplice: secondo la fisica classica il suo nucleo è formato da un solo protone e normalmente ha un solo elettrone che orbita attorno ad esso. In base alla quantità di energia posseduta dall’atomo di idrogeno preso in esame, l’elettrone si sposta da un orbitale atomico ad un altro: in parole povere un orbitale atomico è una zona di spazio attorno al nucleo dell’atomo in cui è alta la probabilità di trovare l’elettrone.

Per capire cosa si intende con “quantità di energia posseduta” da un atomo, possiamo fare una similitudine con l’acqua che noi tutti conosciamo (e di cui il nostro corpo fisico è composto):

  • un bicchiere d’acqua con poca energia si presenta sottoforma di ghiaccio;
  • un bicchiere d’acqua con una maggiore quantità di energia posseduta si presenta in forma liquida;
  • un bicchiere d’acqua con parecchia energia posseduta si presenterebbe vuoto, perché l’acqua è divenuta vapore.


Non è sbagliato per noi esseri umani concepire e paragonare la quantità di energia posseduta dalla materia con quello che noi conosciamo come calore. O meglio il calore che noi percepiamo è un effetto dell’energia posseduta dalla materia. In maniera analoga, tornando a parlare dell’atomo di idrogeno:

  • un atomo di idrogeno con poca energia ha il suo elettrone che orbita in zone più vicine al nucleo;
  • un atomo di idrogeno con energia maggiore ha il suo elettrone che orbita in zone più distanti dal nucleo;

Tutta questa spiegazione è necessaria per capire l’immagine che andremo successivamente a vedere.
Tornando all’esperimento, la scienziata Stodolna ha colpito l’atomo con impulsi laser, che hanno costretto l’elettrone a fuoriuscire dall’atomo di idrogeno lungo traiettorie dirette e indirette; l’elettrone in questa fase viene detto ionizzato, dato che assume carica negativa non facendo più parte dell’atomo (ionizzato anch’esso diventando un singolo protone di carica positiva). Registrando la differenza tra queste traiettorie si è potuto creare un modello di interferenza, che Stodolna ha ingrandito con una lente elettrostatica. In questo modo è stato possibile realizzare la prima fotografia di questo tipo, in cui i diversi colori dai più freddi ai più caldi indicano semplicemente la differente presenza dell’elettrone in base alle misurazioni: blu/verde minore rilevazione, giallo/rosso maggiore rilevazione.

Dopo aver registrato il comportamento di circa 50.000 elettroni, il team guidato dalla ricercatrice Aneta Stodolna e da Marc Vrakking ha prodotto queste quattro immagini per mostrare la struttura dell’orbitale degli elettroni, rispetto a quattro diversi stati di eccitazione dell’atomo di idrogeno (crediti: ANETA STODOLNA/MARC VRAKKING).
Ingrandimento della quarta fotografia ottenuta come risultato dell’esperimento, in cui è stato preso in esame un atomo di idrogeno avente la maggiore quantità di energia rispetto agli altri tre precedenti (eccitazione dell’atomo) (crediti: ANETA STODOLNA/MARC VRAKKING).

Alcune delle ultime immagini dettagliate delle stelle dai telescopi spaziali

Il sistema stellare di Fomalhaut

Nei primi mesi del 2023 gli astronomi hanno utilizzato il telescopio spaziale James Webb della NASA per fotografare la polvere calda intorno a una giovane stella vicina, Fomalhaut, al fine di studiare la prima cintura di asteroidi mai vista al di fuori del nostro sistema solare in luce infrarossa. Ricordiamo che la luce infrarossa è esattamente quello che la nostra pelle percepisce come calore.
Con loro sorpresa, le strutture di polveri spaziali viste in questa stella sono molto più complesse rispetto alla fascia principale degli asteroidi e alla cintura di Kuiper appartenenti al nostro Sistema solare. Complessivamente attorno a Fomalhaut ci sono tre cinture nidificate che si estendono a circa 23 miliardi di chilometri dalla stella; corrisponde a circa 150 volte la distanza della Terra dal Sole. Le cinture di polvere spaziale interne – che non erano mai state viste prima – sono state rivelate da Webb per la prima volta.

Fomalhaut è una stella brillante distante da noi 25 anni luce circa e può essere tranquillamente vista a occhio nudo come la stella più luminosa della costellazione meridionale del Pesce Australe. Le fasce di polveri scoperte si ipotizza che siano composte dai detriti prodotti da collisioni di corpi più grandi, analoghi agli asteroidi e alle comete, e sono spesso descritti come “dischi di detriti”.

Descriverei Fomalhaut come l’esempio perfetto dei dischi di detriti trovati altrove nella nostra galassia, perché ha componenti simili a quelli che abbiamo nel nostro sistema planetario”, ha detto András Gáspár dell’Università dell’Arizona a Tucson. “Osservando i modelli in questi anelli, possiamo effettivamente iniziare ad avere una bozza di idea su come dovrebbe essere un sistema planetario – se potessimo effettivamente scattare un quadro abbastanza profondo per vedere i pianeti sospetti orbitanti attorno alla stella”.

Queste cinture di polveri e detriti spaziali molto probabilmente sono modellate dalle forze gravitazionali prodotte da pianeti che al momento non vediamo. Allo stesso modo, all’interno del nostro Sistema solare, il pianeta Giove mediante il suo potente campo gravitazionale impone il limite esterno della fascia principale degli asteroidi e il campo gravitazionale del pianeta Nettuno influenza il bordo interno della cintura di Kuiper. Il bordo esterno di questa potrebbe essere influenzato da corpi ancora per noi invisibili al di là di esso.

Questa immagine del disco di detriti di polveri che circonda la giovane stella Fomalhaut è tratta dal Mid-Infrared Instrument (MIRI) del telescopio spaziale James Webb. Il suo potente potere di ingrandimento rivela tre fasce concentriche che si estendono fino a 23 miliardi di chilometri dal centro dei dischi, dal fulcro gravitazionale in cui è situata la stella. Le fasce interne, mai viste prima, sono state rivelate da Webb per la prima volta. (Crediti: NASA, ESA, CSA, A. Gáspár – University of Arizona, Elaborazione immagini A. Pagan – STScI)

Il disco protoplanetario che circonda la stella HL Tauri

HL Tauri è il nome assegnato dagli astronomi a una giovane appartenente nella costellazione del Toro, a circa 450 anni luce di distanza da noi. Questa immagine pubblicata il 6 novembre 2014 dall’osservatorio astronomico A.L.M.A. (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) mostra dettagli straordinariamente delicati e mai visti prima nel disco proto-planetario di una giovane stella. Queste sono le prime osservazioni realizzate da ALMA nella sua configurazione quasi finale e le fotografie più nitide mai realizzate a lunghezze d’onda sub-millimetriche. I nuovi risultati rappresentano un enorme passo avanti nell’osservazione dello sviluppo dei dischi che portano alla formazione dei pianeti e nello studio di come si formano effettivamente i pianeti.

Per questo tipo di osservazioni i ricercatori hanno puntato le antenne verso la stella HL Tauri, una giovane stella a circa 450 anni luce da noi, circondata da un disco di polveri spaziali. L’immagine risultante supera tutte le aspettative e svela dettagli inaspettatamente minuti nel disco di materia rimasto dopo la nascita della stella: questo mostra una serie di brillanti anelli concentrici separati da discontinuità.

Queste caratteristiche risultano quasi sicuramente dalla presenza di giovani corpi planetari che si stanno formando nel disco. Ciò è sorprendente perché non ci si aspettava che queste stelle giovani avessero un grande numero di corpi planetari in grado di produrre le strutture che vediamo in questa immagine“, commenta Stuartt Corder, Vice-Direttore di ALMA.

Quando abbiamo visto per la prima volta questa fotografia siamo rimasti sconcertati dal livello eccezionale di dettaglio. HL Tauri non ha più di un milione d’anni, eppure il disco appare pieno di pianeti in formazione. Questa immagine da sola rivoluzionerà le teorie di formazione dei pianeti“, spiega Catherine Vlahakis, Vice responsabile scientifico del progetto di ALMA e Responsabile Scientifico per la Campagna “ALMA Long Baseline”.

Il disco di HL Tauri è molto più sviluppato di quello che ci si aspetta data l’età del sistema. Così, l’immagine di ALMA suggerisce che il processo di formazione dei pianeti sia più veloce di quanto si pensasse finora.

Questa è l’immagine più nitida mai scattata da ALMA, più nitida di quanto normalmente realizzato in luce visibile con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Essa mostra il disco protoplanetario che circonda la giovane stella HL Tauri. Queste nuove osservazioni di ALMA rivelano sottostrutture all’interno del disco che non sono mai state viste prima e mostrano anche le possibili posizioni dei pianeti che si formano nelle macchie scure all’interno del sistema stellare (Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO).

L’immagine del sistema di detriti spaziali scoperto attorno alla stella Vega

È stata pubblicata in data 31 ottobre 2024 la scoperta del fatto che anche la luminosa stella Vega, distante da noi 25 anni luce circa e appartenente alla costellazione della Lira, è in realtà circondata dal suo disco di polveri spaziali. Il sistema di detriti è notevolmente simmetrico e liscio, e centrato accuratamente sulla stella. C’è un ampio anello analogo alla fascia di Kuiper del nostro Sistema solare a circa 80-170 unità astronomiche di distanza, che coincide con la fascia planetesimale rilevata con ALMA. L’interno della larga fascia è pieno di detriti caldi che brillano più efficacemente nella lunghezza d’onda dei medi-infrarossi.

Gli astronomi-ricercatori hanno scoperto che qualsiasi pianeta che transiti lungo il bordo interno della fascia esterna è probabile che abbia una massa inferiore a 6 masse terrestri. Il profilo di luminosità della superficie del disco insieme alla fotometria infrarossa disponibile suggeriscono una dimensione del bordo interno del disco vicino a 3-5 unità astronomiche. Lo spazio tra la zona calda più vicina alla stella e il bordo interno dei detriti caldi potrebbe essere causato da un pianeta di massa modesta, delle dimensioni di Nettuno.

L’immagine del disco di detriti planetari orbitante attorno alla stella Vega, ottenuta con il Mid-Infrared Instrument (MIRI) del telescopio spaziale James Webb e pubblicata recentemente, il 31 ottobre 2024 (Crediti: ESA/NASA).

Questi tre sistemi stellari riportati qui sopra sono solo un esempio. Ad oggi conosciamo circa un’ottantina di stelle attorno alle quali sono presenti dischi circumstellari di detriti scoperti, rilevati e fotografati. È stato inoltre scoperto che ulteriori centinaia di stelle hanno un disco circumstellare di detriti di dimensioni ridotte. E questi dati sono in continua crescita e aggiornamento: più il tempo passa e più il loro numero aumenta.

Il limite è imposto solamente dalla nostra capacità di poter osservare da lontano i dettagli dello spazio presente nelle immediate vicinanze delle stelle nella nostra galassia.

Vi invito a consultare questa pagina sul sito en.wikipedia.org in cui è presente un semplice elenco di sistemi stellari attorno ai quali è presente un disco di polveri. La peculiarità di questo elenco è che a fianco del nome di ogni stella è associata la fotografia reale del proprio sistema di polveri e detriti scoperto.

Nel prossimo articolo saranno affrontate le analogie esistenti tra l’atomo di idrogeno e i sistemi stellari esistenti nella nostra galassia: vedremo come le evidenze maturate negli anni a noi contemporanei e divulgate attraverso le pubblicazioni scientifiche siano state ampiamente anticipate dagli scritti divulgati dal celebre contattato e contattista siciliano Eugenio Siragusa.

Notizie, dati e considerazioni

Andrea Macchiarini

3 dicembre 2024