Di Eleonora
Questi giorni sono stati e in parte lo sono ancora, molto dolorosi. Il dolore, di qualunque natura esso sia, ha il potere di ridurti ad una foglia avvizzita, come si presenta alla fine dell’autunno, quando in quell’ultimo barlume colorato di vita, ormai secca, si accartoccia.
Ma può anche diventare un viaggio di ascolto profondo. Lo immagino come un apneista che scende nel blu del mare, fino a quando la luce scompare ed esiste solo il buio. Questo buio nero ti avvolge completamente, ti pervade, tu stesso diventi quel buio. È a quel punto che il dolore e la disperazione diventano un tutt’uno con te, ti penetrano nella pancia, esistono solo loro. Tutto il resto scompare, sei all’interno di un vortice nel quale tu non esisti più. Tu sei quel dolore e lui è te, ti invade e ti possiede.
Le sensazioni corporee ti riportano solo a questo dolore: vuoto, disperazione, tante lame che scarnificano il tuo petto e la tua anima, una barra di ferro che taglia la tua pancia a metà e penetra profondamente nella carne. Il dolore toglie il fiato. Se nella tua vita non hai fede e la possibilità di incontrare un messaggero di Cristo, non so se da quel dolore puoi sfuggire.
In questo mio viaggio la vita mi ha portato ad incontrare la disperazione che non ha speranza, né via d’uscita. Tutto si riduce ad una risposta sociale che non contempla nulla che non sia il corpo. Raramente trovi vie alternative dove l’uomo viene compreso nella sua totalità fatta di corpo, anima e spirito.
Quelli che vengono definiti malati psichiatrici in realtà sono immersi in questo nero pece, brancolano nel buio senza trovare un braccio che si immerga in questo profondo mare per tirarli un po’ su oppure il braccio c’è ma loro non lo vedono. A volte basta molto poco per cambiare vita, per avere una speranza, quel braccio è in realtà un inviato dal cielo. A quel punto l’apneista torna in superficie, una bracciata alla volta.
Ritorna la speranza, si vede la luce. La fede è un filo sottile che mi tiene in contatto con la mia vera essenza divina. Questo mi permette di rielaborare un dolore che sembrava essere diventato tutta me stessa. Tutto acquisisce un senso, anche le esperienze più forti che ho vissuto, ovviamente ci vuole tempo per riuscire ad arrivare a questa elaborazione. Ma come dicevo è un viaggio, tutto personale.
La sofferenza la riconosco spesso nei ragazzi che incontro: una sofferenza senza speranza, dove i giovani brancolano nel buio. Non è detto che il loro dolore diventi accartocciamento su se stessi, può piuttosto portare a trascinarsi come gli zombie, oppure una rabbia cieca e sorda che distrugge tutto o ancora il tentativo di sfuggire da questa vita.
Ma è un urlo, come nel quadro di Munch, invisibile e inascoltato.
Eleonora
21 Settembre 2023