L’UMANITÀ DI FRANCESCA PANFILI. UNA NOSTRA VOLONTARIA

L’UMANITÀ DI FRANCESCA PANFILI. UNA NOSTRA VOLONTARIA

Di Funima International

Come hai conosciuto Funima International e perché hai scelto di esserne volontaria?

In passato, ero già stata volontaria di altre associazioni che si occupavano di tematiche ambientali e umanitarie. Ho conosciuto Funima nel 2010 ed ero felicissima perché desideravo occuparmi di progetti legati al recupero dell’infanzia di strada, cooperazione internazionale e educazione alla mondialità. E’ stato quindi amore a prima vista!

Inizialmente come volontari a Gubbio eravamo solo in due, io e mio compagno Marco. Allestivo i banchetti solidali in piazza da sola però, dopo poco tempo, con la volontà di far crescere questa realtà, si sono aggiunti a noi altri ragazzi. Si è formato così un bellissimo gruppo da cui sono nate tante iniziative, riuscendo ad avere una grandissima risposta a livello locale.

Raccontaci della tua esperienza solidale durante il tuo recente viaggio in Uruguay..

Come volontaria, prima di questo viaggio, ho avuto la possibilità di “toccare con mano” i progetti di Funima anche in altri luoghi ed ho cosi capito l’importanza del lavoro dei volontari che è fondamentale. Anni fa mi sono recata a Palermo al centro ‘Parco del Sole’ con cui cooperiamo con Padre Cosimo Scordato. Poi circa quattro anni fa sono stata in Paraguay, al centro Hijos del Sol, dove ho conosciuto i responsabili, Omar e Hilda. E’ stata un’esperienza molto intensa perché lì si vive un contesto di povertà davvero impattante.

A novembre scorso con Marco siamo stati in Uruguay. E’ stata un’esperienza altrettanto forte perché abbiamo preso parte alle attività di Funima, realizzando come la nostra associazione opera in questi luoghi.

Ci descrivi la realtà di questo Paese?

E’ una realtà di grande povertà che si trova soprattutto nelle strade. Contesti sociali molto diversi dai nostri, davvero lontani da noi, dal cosiddetto “mondo civilizzato”, che mostrano le contraddizioni del sistema capitalista, economico e sociale che ha colonizzato il mondo, a discapito come sempre dei cosi detti Paesi del Terzo Mondo. Paesi che l’occidente rapinati da sempre e nei quali oggi i grandi colossi delle multinazionali continuano a deturpare risorse e ricchezze, imponendo sistemi differenti da quelli locali

Nonostante la povertà, queste terre sono ricche di umanità: quali sono state le tue emozioni nell’entrare a contatto con una realtà differente dalla nostra?

Ciò che mi ha colpito di più è che di fronte alla povertà di queste realtà, ogni volta tu crolli. Tutti il tuo mondo ti crolla addosso, con tutte le strutture, le contraddizioni e i progetti che hai costruito nel tempo. Quando ti trovi in simili contesti sociali improvvisamente è come se ti si fermasse il cuore e per la prima volta ti senti umano e ritrovi la tua umanità perduta. Un’umanità che schiaccia, pullula di disagio sociale. Mi ha colpito ad esempio vedere per le strade delle persone con disturbi psichici che andrebbero accolti in strutture adeguate o persone distrutte da droghe sintetiche acquistabili a poco prezzo. Quando noi gli portavamo del cibo, ce lo “strappavano” di mano con grande dignità ma anche forza perché il morso della fame è schiacciante. Una fame che noi non conosciamo. E’ intollerabile il fatto che la maggior parte dell’umanità occidentale non si occupi di loro. Gli ultimi rimangono ultimi e restano quelli che noi temiamo, evitiamo da sempre. Gli ultimi sono quelli che sporcano e che danno fastidio, quelli che ignoriamo e facciamo finta che non esistono eppure sono la maggior parte di questa umanità.

Mi ha emozionata vedere che i collaboratori del centro ‘Un Punto En El Infinito’ si occupano delle attività con spirito di sacrificio immenso. Questi volontari riescono ad avere un contatto umano con loro questo mi ha colpito molto. Loro li accarezzano, li coccolano, ci parlano, ascoltano i loro vissuti difficilissimi, assistono a tutte le loro contraddizioni senza giudicarli ma solo aiutandoli e regalandogli un sorriso e un po’ di conforto.

Quali sono state le mansioni da te svolte?

Un giovedì pomeriggio siamo andati al centro insieme ai cordinatori e prima che arrivassero le persone di strada abbiamo iniziato a preparare il cibo: una pasta di grano e di fieno che aveva dei colori sul verde e sul giallo che faccio fatica a dimenticare. L’abbiamo fatta cuocere e poi condita con un sugo di verdure e di carne, un pasto proteico e nutriente. Abbiamo tagliato poi del pane in tantissime fette. In ogni bustina si riponeva la pasta in un contenitore di plastica, aggiungendo il pane, a seconda delle porzioni richieste. Le persone venivano al centro, indicandoci il numero, appunto, delle porzioni di cui necessitavano. Eravamo tantissime mani che lavoravano e preparavano i sacchetti. Ci passavamo il pane di “mano in mano” per sfamare queste persone ma in realtà stavamo sfamando noi stessi. Attraversavamo un corridoio che mi ha colpito moltissimo, perché era l’unico mezzo che ci separava tra una realtà in cui eravamo tutti armoniosi, in cucina, felici di poter far qualcosa, e una realtà di disperazione assoluta: la strada. C’erano solo tre metri, tra noi e loro. Tra l’inferno e il paradiso. Vedere gli sguardi di persone disperate ma che sorridono e ti ringraziano, ti fa sentire in colpa perché tu sei lì con il tuo “retaggio culturale”, il tuo mondo occidentale “civilizzato”. Se fossimo davvero stati civili, queste persone non vivrebbero in questi contesti. Perciò l’unica cosa che puoi fare è continuare ad aiutarli, anche se in realtà sono loro ad aiutare noi.

Da un’intensa esperienza solidale, come quella da te vissuta, si può attingere a grandi lezioni morali… Qual’ è stato l’insegnamento che ti ha lasciato?

L’insegnamento più grande che mi ha lasciato è che bisogna continuare ciò che già facciamo, amplificando sempre di più la nostra operatività. Dobbiamo soprattutto conoscere quella che è la realtà sociale di posti così drammaticamente reali, perché sono proprio dietro l’angolo. Dobbiamo comprendere e realizzare che noi siamo quella minima parte del 20% o meno di persone in questa umanità che vive in una condizione agiata. Noi apparteniamo ai Paesi che hanno defraudato queste terre perciò siamo loro debitori e non viceversa. Dobbiamo informarci e studiare le storie e i sistemi economici di questi Paesi, comprendere che ci sono realtà, come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, le grandi multinazionali o le corporation finanziare che depredano le loro risorse, impongono politiche inumane e si approfittano della corruzione politica esistente in questi Stati. Queste istituzioni veicolano modelli e politiche atte a depredare le loro risorse, ma soprattutto la cultura tradizionale di questi popoli.

L’insegnamento è quello di informarsi, conoscere e vedere con i propri occhi questi contesti perché questo è un dono che rimane per tutta la vita e che può aiutarci a fare scelte consapevoli e impegnate.

Queste realtà non sono lontane da noi ma ci appartengono, perché siamo tutti figli della stessa madre terra e c’è bisogno di viverla come una nostra realtà. Proseguire nell’aiuto, perché le piccole associazioni come Funima possono fare la differenza in questi luoghi, avendo un contatto diretto con chi dirige i progetti sul posto.

Quale sarebbe il tuo messaggio per una maggiore sensibilizzazione?

I poveri sono una parte di noi ed è inconcepibile pensare di non poter far nulla sul lato umano. Occuparmi d’iniziative solidali dovrebbe essere per ogni essere umano una ragione di vita perché non possiamo dormire serenamente la notte sapendo che ci sono fratelli, figli, amici, che vivono in situazioni di assoluta povertà e disagio.

Tutto questo è intollerabile ed è antiumano. Viola ogni tipo di costituzione, di principio e di diritto. Se siamo davvero umani, dobbiamo ripartire dall’uomo stesso. E per ripartire dall’uomo, dobbiamo partire dall’aiuto che noi diamo agli altri uomini, affinché non ci sia più nessuno che viva in difficili condizioni.

E’ molto importante mettere in discussione i nostri modelli di sviluppo e il modo in cui pensiamo. Dobbiamo combattere contro la logica che guida la globalizzazione dei mercati e delle menti, perché non abbiamo più identità ne cultura. Dobbiamo mettere in moto la nostra arma migliore, che è il cervello, e ragionare. Unirci, anche se pochi, per lottare contro un sistema corrotto e criminale in cui pochi uomini straricchi decidono a tavolino il destino di molti che ogni giorno devono lottare per la sopravvivenza. Per il sangue di questi ultimi dobbiamo cominciare a mettere in discussione tutto il sistema che guida e governa il mondo e denunciare ogni logica economica e sociale che si basa solo sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo per diventare o ritornare finalmente ad essere umani.