Di Mariana Trejo
Una realtà offuscata dalla gente del posto che lavora direttamente (o indirettamente), per le Multinazionali che lì si sono insediate, una realtà che c’è, persiste e grida al mondo che ancora esiste. Se alzi lo sguardo la scopri dietro qualche passamontagna, in quegli occhi profondi e scuri, che conoscono una sola forma di vita: la Resistenza Mapuche.
In questo altro mondo, sconosciuto per molti e che altri magari cercano di comprendere attraverso gli oggetti esposti in qualche museo, ho potuto vedere come le epistemologie filosofiche dell’essere umano divenivano quasi ridicole, di fronte alla loro lotta così genuina e giusta verso la libertà.
Spesso riflettiamo sulla ricerca della verità, la verità che ci rende liberi, e cerchiamo di toccarla, di sentirla per avvicinarci a lei, per aggrapparci a lei; a volte riflettiamo molto, ma facciamo poco, ed è questo che ci allontana ancora di più.
Per il popolo Mapuche, libertà significa risvegliarsi dal sonno di questo sistema egoista, materialista, autodistruttivo, per vivere in sintonia con le leggi della natura, amando il fratello, rispettandolo, lottando per i loro valori e la loro cultura millenaria, e, se è necessario, morire per questo.
Il conflitto di un mondo, che non merita tanta incuria dai suoi stessi fratelli.
Quand’è che abbiamo cominciato a pensare che fosse meglio camminare sul marciapiede, svegliarci al suono della sveglia, comprare verdure congelate e preoccuparci tanto per una banconota, o che per festeggiare il compleanno dei bambini ci volessero Coca Cola e ‘panchos’? Quand’è che abbiamo cominciato ad anestetizzarci con una pastiglia appena abbiamo un minimo disturbo fisico, o a non uscire fuori se piove e non c’è luce?
Molto rapidamente ci siamo abituati a questo sistema confezionato ed importato, dimenticando che molti di noi, che noi identifichiamo come “Nativi”, andavamo a visitare i nostri genitori o i nonni in campagna, dove la vita era più semplice, dove i dolori si curavano con qualche rimedio casalingo, e si mangiava quello che la terra offriva. Abbiamo cambiato tutto completamente, scegliendo il sovraffollamento e la schiavitù delle città, in cerca di opportunità, per essere parte della “urbe” ed avanzare nella scala infinita del sistema capitalista, dove chi non possiede, è perdente, un sistema che anestetizza sempre di più il nostro sentire, il nostro spirito…
E da quando permettiamo che l’altro venga annientato? Quanto facilmente dimentichiamo chi siamo.
La cosa certa è che andando lì sul posto, condividendo con loro, vivendo dentro la Resistenza Mapuche, abbiamo percepito il battito della Terra dentro di noi al Tun-Tun del Kultrún, abbiamo sentito il dolore di una pelle provata dal sole e di piedi stanchi, che gridano con tutta l’anima ¡”Marichiwew”! fino a far tremare il suolo, li abbiamo visti invocare le forze della Natura ed il Ngen (spirito) del vento abbattersi contro le recensioni della polizia.
Siamo stati di fronte al Tribunale, per chiedere di mettere in libertà i lamien, ingiustamente arrestati dal Governo Provinciale. Forse siamo andati un po’ per il richiamo angosciato del nostro caro amico Sergio Nahuelkir della LofFemMapu, che ci ha chiamato subito raccontandoci quanto stava accadendo, ed un po’ anche perché sentivamo che erano i nostri stessi fratelli ad essere colpiti ancora una volta.
Abbiamo trascorso diverse ore ad aspettare, sotto il sole, la pioggia che ci risvegliava a intervalli, e il vento, tra i canti dei bambini, accompagnati dalle sonore ‘trutucas mapuche’ suonate dalla gente, tra un mate e qualche chiacchiera con i Mapuche e la gente che si avvicinava per manifestare il proprio sostegno, mentre dentro al tribunale, in un’udienza interminabile, i 7 compagni vedevano rimandare la loro libertà.
Con sorpresa, nella piazzola in mezzo al viale, dove siamo rimasti tutto il giorno, ho visto un volto conosciuto, Nadia. Ci siamo riconosciute e salutate subito. Lei è nipote di Sergio, una bella bambina dai capelli lunghi e scuri, che appena ha riconosciuto Jazz, nostra figlia, ha iniziato ad intrecciarle i capelli. Mi sono rallegrata moltissimo nel vedere lei e sua madre, Irene, una donna combattiva e molto percettiva, con lo spirito di chi conosce la bontà della natura e le sue proprietà curative. Mi ha raccontato gli sforzi che facevano per sopravvivere dopo essere rimasta senza lavoro nell’agricoltura, un lavoro che le permetteva di visitare le Comunità ed i produttori piccoli, approfittando per istruirli sui loro diritti e la loro autonomia.
Lei ed i suoi figli vivono a Maitén, un paese circondato letteralmente dalla Multinazionale Benetton. Un profondo senso di impotenza si è impadronito di noi di fronte a tanta persecuzione contro di loro; appena alzano un po’ la testa vengono colpiti alle gambe con la pala, così non possono alzarsi più. Ma Irene non si è lasciata piegare, al contrario, questo l’ha resa ancora più forte, e con più certezza per andare lì con il suo chamal (indumento mapuche), alzare il pugno al cielo e reclamare giustizia per i suoi fratelli.
E’ una lotta cruda, senza ombra di dubbio, ma con la certezza di essere dalla parte giusta, con la piena consapevolezza di sapere ciò che si deve affrontare.
“Noi siamo disposti a cambiare quel modo di vivere che ci hanno imposto e recuperare il territorio per tornare ad essere nuovamente dei mapuche. Sappiamo che continueranno a reprimerci, continueranno a frustrarci, ma voglio che sappiano che non abbiamo paura. Noi non abbiamo paura, perché la nostra ideologia, nostra forza, il lascito che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, è molto più forte. È molto più forte delle loro forze di polizia, della loro forza repressiva. Molto più forte di tutto ciò. Noi rimaniamo qui, fin quando otterremo quello che vogliamo, e cioè l’autonomia e la liberazione del nostro territorio per tornare ad essere mapuche” Queste le parole che un compagno della Lof in Resistenza ripeteva senza stancarsi ai mezzi di comunicazione e alla gente che si avvicinava.
Abbiamo trascorso quei giorni tra il Tribunale, la Prigione, dove erano reclusi altri giovani, ed il Territorio recuperato, prendendo appunti, filmando il più possibile con la cinepresa.
Ascoltare il pianto straziante di una lamien dopo che hanno sparato ai suoi giovani fratelli, vedere quegli occhi scuri esprimere quello che 500 anni di storia non ci dicono, mentre il vento le accarezza il viso ed il suo sibilo la consola come un canto silenzioso, come cullando quelle creature che non meritano in nessun modo tanto odio, ci fa solo distaccare ancora di più da questo mondo inventato dall’”uomo progressista” manipolato dalle forze oscure, e ci fa anelare di più la giustizia Divina del Cristo.
Nello stesso momento risuonano le parole del nostro Maestro: “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani” (Matteo 10), perché la Causa del Cristo è anche la Giustizia per gli oppressi, quelli che proteggono la Madre Terra, la ÑuqueMapu, o anche la Pachamama.
Devo menzionare qualcosa di importante riguardo le persone che vivono nel Territorio Recuperato di Cushamen: l’unione, il rispetto e l’amore tra loro sono i tre pilastri che li rendono incrollabili, non importa quante pallottole tirino, essi danno la vita per ognuno dei loro “fratelli”. Questa è la base del suo Newen (forza spirituale), sono un solo spirito.
Sanno come prendere le decisioni, sanno difendersi, conoscono bene i loro fondamenti politici – storici che li legittimano, rispettano e curano la loro cultura e la Terra, e questo rende loro dei veri mapuche.
Potremmo imparare molto da loro, come ci dice Giorgio, che noi dovremmo “imparare” dalle organizzazioni mafiose. Sarà che l’estremo bene e l’estremo male possono polarizzarsi, come indica il principio Ermetico? Basta fare il contrario?
Vedendo come le nostre azioni possono influenzare un’infinità di situazioni, e anche le comunità e le umanità future, dove niente è a caso, né insignificante, forse, se siamo convinti di ogni cosa che facciamo, e lo facciamo con tutto il nostro essere, con tutti i mezzi possibili, senza condizionamenti né dubi, allora possiamo polarizzare una parte di quell’estremo male e alchimizzarlo nel bene. Come fa Giorgio, instancabilmente, che è venuto in questo mondo per mostrarci il giusto cammino ed attirarci ad esso. E la chiave sta anche nel modo in cui agiamo, ricordiamo… unione, rispetto ed organizzazione.
Le Comunità mapuche hanno un Lonko, una persona che coordina le famiglie delle Comunità, lof. Alcuni Lonkos sono scelti dagli anziani per le loro qualità spirituali, sociali, per il loro kimün (saggezza). Altri vengono designati dai Ngen (spiriti) che convivono nella Natura e che poi lo rivelano, spesso attraverso le Machis (sciamane). La parola del Lonko (testa) è rispettata, ed il Lonko rende partecipe la sua Comunità rispettando la parola di ognuno, le loro opinioni. Ma una volta che la decisione è presa, la scelta del Lonko diventa la scelta della Comunità, sono una Unità. Così, come ci hanno insegnato i nostri fratelli del Cosmo, che esiste una gerarchia Celeste che è rispettata e a cui tutti obbediscono per mantenere l’equilibrio cosmico e l’Opera creativa dello Spirito Santo, che continua a proiettarsi in ogni angolo dell’Universo.
Ma l’ubbidienza a questi propositi Divini, richiede una disubbidienza a valori ed azioni ai quali il sistema di questo mondo ci spinge, e non è un cammino facile. Richiede di abbandonare i valori di questo mondo, tutti, senza paura e di non tradire il Patto con il Cielo.
“Perché gli uomini retti abiteranno la terra e quelli integri vi rimarranno; ma gli empi saranno sterminati dalla terra e i trasgressori saranno da essa strappati” Proverbi cap. 2, 21. Gli integri di spirito che non si sono lasciati trasportare dai valori contraddittori di questo mondo, valori che hanno messo il fratello contro il fratello, il povero contro il povero. Gli stessi Gendarmi e gli agenti di polizia inviati a reprimere i mapuche avevano lo stesso colore di pelle, gli stessi tratti somatici e, a volte, addirittura lo stesso cognome, di origine mapuche.
Così, soffrendo, resistendo, sopportando i colpi, amando con tutto loro stessi, lottando per un mondo più giusto, per i loro figli. Così vivono, giocano, cantano, ridono e vivono il loro legame con la terra, con il cielo, in un’utopia invisibile per il mondo Wingka (invasore), felici e senza mai abbassare le braccia, plasmando nell’etere, come disegnatori della Storia delle Civiltà Cosmiche che hanno abbracciato i Valori Universali dell’Intelligenza Cosmica in un tempo senza tempo.
Io li sento come miei fratelli, il loro non conformarsi a questo sistema e al mondo, sento sia giusto. Ho imparato con il tempo a salutarli con un “mari, mari, Kümelekaymi”? ed un bacio in entrambe le guance, ad ascoltarli in silenzio, a non domandare molto senza prima creare l’armonia, la sintonia, a realizzare con stupore che loro come noi notavano i “segni celesti”.
Quattro giorni dopo la loro reclusione nella Prigione di Esquel hanno messo in libertà Nicolás, Ariel e Ricardo. Lì c’era la loro gente, alcune personalità venute da Buenos Aires e non solo, intervenute a difesa dei Diritti umani, e noi, fermi nell’Avenida, per esprimere il nostro sostegno. Quel giorno gli animi erano positivi, il rumore dei bastoni contro il suolo, le ragazze indossavano il Chamal nero, azzurro e porpora, lo Xarilongko d’argento sulla testa, e cantavano. Alcuni momenti di dialogo e riflessioni, mentre i piccoli giocavano allegri, sotto il sole del pomeriggio.
In fondo all’Avenida il colle si elevava imponente. Le macchine passavano, qualcuno suonava il clacson in segno di sostegno. Fino a quel giorno quasi tutti avevano trascorso delle notti insonni, ma l’energia era rinnovata. La brezza profumava l’ambiente con l’aroma di lavanda che fiorisce lì in ogni angolo, e finalmente, i 3 ragazzi (perché erano giovani), sono usciti con il volto raggiante di allegria. Tutti si sono stretti in abbracci, lacrime di felicità, per aver vinto ancora una volta contro il potere oppressore. Alcuni suonavano la trutruca, la ñaña il kultrún, i bambini saltavano di gioia e li abbracciavano. Uno di loro ha parlato a tutte le persone che erano lì, inclusa la polizia che era di fronte al carcere: “… Domani ci saranno ancora più carcerati e la lotta continuerà sempre, sempre… Quella che dicono è una bugia, il nostro popolo è sempre stato guerriero, oggi non è tempo di pace, è tempo di guerra”.
Su in cielo, una grande aquila, raggiante sotto il Sole, volava… noi l’abbiamo vista, ed anche loro. Forse un messaggio del cielo, perché l’Aquila per loro è Ñancu, “aquila che viene dal sole” ed è un segno di protezione.
Loro sono tornati alla loro ruca (casa) ed il giorno dopo il sole sarebbe sorto di nuovo, loro lo saluteranno come fanno sempre, e dopo organizzeranno un’altra giornata sulla Terra. Passeranno i giorni, mesi, forse il mondo li dimenticherà per un po’, ma loro sapranno che in qualsiasi momento potrebbero tornare, e per questo motivo non abbasseranno mai la guardia. Siamo ritornati nella nostra Arca, con i nostri piccoli guerrieri che canticchiavano i canti che avevano imparato ad Esquel con i bambini mapuche. Abbiamo condiviso ogni aneddoto, rivivendo ogni dettaglio con i nostri fratelli.
Le parole di Giorgio verso questo popolo riassumono il nostro sentire: (http://www.unpuntoenelinfinito.com/messaggi-celesti/2010/2350-a-los-hermanos-mapuche.html)
Io non dimentico fratelli mapuche, Marichiwew!!
Con profondo senso di giustizia ed amore