POESIA TRATTA DA «SOGNI DI UN UOMO»

La richiesta dell’asilo umanitario
è la richiesta di un umano ad altri umani,
del diritto di stare in un posto
dove la sua pancia non sia minacciata.
Il suo futuro meno plumbeo
e la sua vita più longeva.
Non si tratta sempre di guerre
che spingono noi altri ad andarcene,
ma di una cosa più atroce,
la povertà.
La fame uccide molto più lentamente
di una pallottola.
Ma è molto più crudele.
Insidiosa.

Trasforma l’uomo in bestia per l’uomo.
Non ci sono grandi chance
per chi nasce oggi in Africa.
Poiché non c’è dubbio
che siamo costretti
nel sistema monetario internazionale
senza averne i requisiti
né tantomeno i presupposti.
Cosa fareste se i vostri figli
non avessero da mangiare?
Cosa fareste se i vostri padri fossero costretti
in miniere pericolanti per estrarre quell’oro
che arricchisce solo
chi è dall’altra parte dell’Oceano?
Cosa fareste se i vostri nonni morissero
di fame preferendo dare la loro parte
ai loro nipoti?

Quello che farebbero tutti.
A costo della vostra vita,
cerchereste di salvare la loro.
Perciò non capisco né comprendo
chi vuole rimandare a casa propria
chi lì è già quasi morto.
Sento di slogan che parlano
di riportare gli immigrati a casa loro.
Ma a fare cosa?
A morire di una morte lenta?
Vedo compassione per gli italiani
che hanno perso le loro case
durante il terremoto.
E vedo odio per uomini e donne
che hanno solo la colpa di volersi salvare.
Dov’è la giusta informazione?
Chi dice il vero?

Perché far pagare a noi migranti
l’incompetenza di un sistema
e di una società imperialista
che da noi ha solo prelevato
e tuttora continua a farlo?
Il mio paese non siede tra i grandi dell’ONU.
Non ha voce.
Lì, muoiono le persone per inerzia.
Non voglio credere che qualcuno
pensi che una donazione per un vaccino
possa salvare l’Africa.
O semplicemente che qualche vestito usato,
adozioni a distanza o attività parallele
possano portare sollievo al mio continente,
alla mia gente.
Non si tratta più di un sogno
né di un desiderio ma di un’esigenza.

Chi non ha vita laddove è nato
ha il diritto di cercarlo altrove dove c’è.
A maggior ragione quando a tirare i fili
di questo sistema e dunque giustamente
a goderne, sono pochi.
Gli uomini bianchi ricchi non sono razzisti,
non ne hanno motivo,
usano i migranti nelle loro società,
ditte, li amano perché sono disperati
e giustamente costano Gente semplice
che si contro gente semplice.
Non si può colpevolizzare
né reprimere la realtà.
Bisogna analizzarla
e trovare una soluzione comune.

Soumalia Diawara

SI SONO SPARTITI IL MONDO, NIENTE MI SORPRENDE PIU’

Se mi dai la Cecenia
Ti lascio l’Armenia
Se mi lasci in Afghanistan
Ti do il Pakistan
Se non lasci Haiti
T’imbarco per Bangui
Se mi aiuti a bombardare l’Iraq
Organizzo per te il Kurdistan
Si sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più
Niente mi sorprende
Niente mi sorprende
Si sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più
Se mi lasci l’uranio
Ti rendo l’alluminio
Se mi lasci i tuoi depositi
Ti aiuto a cacciare i talebani
Se mi dai un sacco di grano
vengo in guerra con te
Se mi lasci estrarre il tuo oro
Ti aiuto a cacciare il generale.
SI sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più
Niente mi sorprende
Niente mi sorprende
Si sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più.
Niente mi sorprende.
Niente mi sorprende
Si sono spartiti l’Africa,
senza consultarci
Sono sorpresi che siamo disuniti
Una parte dell’Impero Mandingo
Era al Wolofs (SENEGAL)
Una parte dell’Impero Mossi
Era in Ghana
Una parte dell’impero Soussou
Era nell’Impero Mandingo
Una parte dell’Impero Mandingo
Era dai Mossi
Si sono spartiti l’Africa,
Senza consultarci
Senza chiederci
Senza avvisarci
Si sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più
Niente mi sorprende
Niente mi sorprende
Si sono spartiti il mondo, niente mi sorprende più.

Tiken Jah Fakoly
Traduzione Soumalia Diawara

UN MONDO UGUALE?

Abbattere le differenze
ed azzerare le culture
affinché ogni uomo sia il riflesso
di ogni uomo?
No.
Non ci siamo.
Un mondo di rispetto
porta a modi equi.
Tutto qui.
La diversità è ricchezza,
i colori fanno l’arcobaleno
e le voci dovrebbero arrivare ai cuori.
Le armi più forti sono
di chi sfrutta i più deboli.
E finiscono nelle loro carni.
Bianco o nero sono distrazioni,
povero e ricco divisi da una frontiera.
Ogni padre che ama
augura ad ogni altro padre
ciò che vorrebbe per il figlio.
Ogni madre che partorisce
non può voler che un’altra donna
perda i figli.
Ma loro non lo sanno.
Perché loro, i loro figli,
non vanno in guerra e quando ci vanno,
sono generali o colonnelli nelle retrovie.
Coloro che costruiscono le case dei poveri
come scatole di sardine
e vivono in meravigliosi palazzi
che affacciano sul mare,
coloro che estraggono il petrolio altrove
e decidono i destini
di quei popoli costretti alla fame,
coloro che possiedono le banche
e le società farmaceutiche
che avvelenano per curare
alle nostre spese,
sono loro i veri nemici.
Dicono che bisogna prendere
i soldi da noi, noi poveri,
poiché siano in tanti.
Ma non hanno dimenticato
che quel numero fa la nostra forza
ed allora ci hanno divisi in fazioni,
affinché lottando tra di noi,
non ci accorgiamo di loro.
Continuo a non rispondere ai fascisti,
sessisti e razzisti perché so
che sono ignare vittime
di un sistema che li vede
anch’essi repressi.
Ma la logica del capitalismo
si perde dinnanzi
alla realtà dell’umanità.
Le banche prestano, noi diamo.
Le religioni impongono, noi siamo.
Le culture dividono, i nostri cuori uniscono
per il loro battito.
Non dobbiamo far ricredere nessuno,
ma semplicemente vivere
come dovremo.

Poesia tratta da «La nostra civiltà»
Soumalia Diawara