Di Juan Manuel Ferreira
Nel nostro recente viaggio in Italia, un’altra terra e un’altra realtà, abbiamo vissuto delle cose sorprendenti, sia a livello umano che a livello intimamente profondo.
Risvegliarti circondato dai tuoi fratelli, che quando si fa notte e vai a dormire sono ancora lì, attorno a te.
Condividere ogni momento con tutti loro, ci riempiva dentro.
Ricordo il giorno del nostro spettacolo a Palermo. Arrivando sul posto, i nervi aumentavano sempre di più in tutti noi, ma ancora di più in Sonia. Tuttavia, ciò non incideva nella nostra serietà e ognuno faceva la propria parte di lavoro. Alcune ore prima che iniziasse, ho cominciato a registrare con il mio cellulare chiedendo ad ogni ragazzo come si sentiva, se si sentivano pronti. La maggior parte mi ha risposto di sì, si sentivano pronti. Invece io no, ma allo stesso tempo provavo un sentimento di orgoglio, come se riuscire a superare il nervosismo potesse abbattere la barriera e così, una volta sul palcoscenico, ho sentito pace interiore e allo stesso tempo esaltazione esteriormente. Il tempo passava rapido, e il suono degli applausi era confortante.
La cosa più bella è stata quando scendendo dal palco i miei fratelli, i miei amici, tutto il gruppo, mi aspettavano sotto.
Quel giorno ho imparato che siamo noi stessi a metterci dei limiti.
Ricordo anche lo spettacolo che abbiamo fatto nel camping in Friuli. Proprio all’orario di inizio dello spettacolo era previsto un temporale. Era un posto frequentato da bambini, e i ragazzi sentivano sempre meno voglia di esibirsi. Quando abbiamo iniziato con i primi monologhi è iniziato a piovere molto lentamente, impedendoci di proseguire. Dietro le quinte l’atmosfera era tesa e l’intenzione era quella di fermare tutto. Improvvisamente, in pochi secondi, il sentimento è cambiato e non volevamo affatto terminare lì lo spettacolo. Dopo circa 3-5 minuti ha smesso di piovere, precisamente nel punto dove ci trovavamo noi, mentre attorno continuava a piovere. Credo sia stata la nostra disponibilità e la volontà di ferro presente in molti di noi. A fine spettacolo, molta gente di diverse età era emozionata, e molti ragazzi volevano entrare a fare parte del Movimento.
Quel giorno ho imparato che non bisogna mai arrendersi, per quanto possa sembrarci difficile.
Sono rimasti impressi nella mia memoria i giorni trascorsi sull’Etna, realmente intensi.
Una mattina ci siamo alzati per andare con Giorgio e altre persone che ci accompagnavano, nel posto dove Eugenio ebbe il suo primo contatto, per vedere e conoscere dove tutto ebbe inizio.
Arrivati ad un punto dovevamo proseguire a piedi per un breve sentiero, roccioso; io camminavo vicino a Diego e ad un certo punto ho calpestato una di queste rocce e sentivo dolore.
E subito un pensiero mi è venuto in mente e ho guardato Giorgio che camminava davanti a me, e mi chiedevo… se a me fa male, quanto fa male a lui?
Tuttavia, io lo vedevo camminare con il sorriso in volto, mentre ci raccontava la storia di suo padre, in piedi e felice.
Io lo osservavo e dentro di me mi sentivo innamorato, grato.
Mi chiedevo, come può darci sempre così tanto? E questo mi ha ispirato a seguire il suo esempio.
Quel giorno ho compreso che il nostro cammino ci chiede sacrificio, sia nella materia che nello spirito.
A volte dobbiamo sacrificarci, perfino sacrificare i nostri sentimenti, per poter superare i nostri limiti umani, e proseguire senza arrendersi.
La notte siamo andati di nuovo allo stesso posto, questa volta accompagnati da molte più persone, faceva freddo e avevamo solo pochi sacchi a pelo e coperte. Arrivati sul posto tutti abbiamo iniziato a guardare il cielo, sperando di vedere passare qualcosa, ascoltavamo il rumore della natura, e alcuni hanno visto un flash nel cielo, io non sono riuscito a vederlo.
Più tardi alcuni dei ragazzi hanno sistemato i sacchi a pelo, ci siamo sdraiati tutti vicini e ci siamo coperti rimanendo stretti, affinché nessuno rimanesse senza coperta.
Tutti continuavamo a guardare verso il cielo e Giorgio ci ha guardato, e ha detto, “Guardali… questo è il vero avvistamento”. Ed in quel momento mi sono chiesto: Cosa devo vedere ancora? Ho già visto tutto, quello che più importa alla fine è la nostra unione, ed io credo che Giorgio volesse dire che l’avvistamento era l’unione.
Il giorno in cui siamo ritornati a Sant’Elpidio, siamo partiti presto, poiché ci aspettavano molte ore di viaggio, non mi ricordo quante, ma molte. La sera ci siamo fermati in una stazione di servizio per cenare e riposare un po’. Abbiamo dormito in macchina e per me, che sono un po’ alto, è alquanto scomodo. Alcuni dormivano… come potevano, mentre io ed altri siamo rimasti svegli gran parte della notte conversando.
La mattina alle 9 Giorgio si è svegliato con un sorriso che ci ha trasmesso felicità, e ci ha chiesto, “Ragazzi, come avete dormito?” e tra dolore di schiena e gambe, gli abbiamo detto che avevamo dormito bene, e lui ci ha risposto: “Io vivo così da 15 anni” e rideva.
E io ho pensato, di cosa mi lamento io? Non posso lamentarmi di niente, semplicemente essere felice di quello che ho.
Quello che più ho imparato in questo viaggio è l’importanza dell’unione. Per fare quello che facciamo e credere in ciò che crediamo, l’unione deve superare qualsiasi cosa. Non è facile raggiungere questa unione, lo rendiamo difficile noi stessi, lo rendiamo complicato a causa di sentimenti o pensieri che dividono, ma quando riusciamo a liberarci da quel “cancro” che ci portiamo dentro, e ci sacrifichiamo per riuscirci, noi possiamo realizzare l’unione con chiunque.
Non sempre nel modo in cui vorremmo, per questo dicevo che dobbiamo sacrificarci, ma alla fine l’unione supererebbe le aspettative. E sia come sia, dobbiamo essere felici, perché stiamo creando un legame che può diventare indistruttibile, ed è questo che un giorno ci darà forza.
Io trovo la forza nei miei fratelli, nei miei ricordi dei momenti vissuti con loro e nell’esempio che mi danno che è lo stesso che Cristo ci dà per essere forti, i nostri sentimenti.
Credo che la verità ci permetta di raggiungere questa unione, perché con la verità e con il tempo si conquista la fiducia.
Sì, dobbiamo essere uniti nello spirito, ma anche nella materia; cioè bisogna manifestare all’esterno quello che portiamo dentro. Magari tutti fossero uniti con tutti, come in altri mondi, ma prima di vivere in quei mondi, dobbiamo adottarlo come modello di vita, poiché il regno di Dio è dentro di noi.
Questo me lo ha insegnato qualcuno che oggi è mio fratello e amico; è un ragazzo del Sudamerica che conosce la nostra opera da prima di me. Io non avevo un legame particolare con lui, ma superando insieme alcune prove abbiamo costruito un sentimento molto più forte. Quindi l’unione non è solo una parola che aleggia, è un concetto che ha i suoi risultati. Semplicemente bisogna avere coraggio ed essere coraggiosi.
Juan Manuel Ferreira
5 ottobre 2018