Rigoberta Menchu una Donna combattente e coraggiosa

Rigoberta Menchu una Donna combattente e coraggiosa

RIGOBERTA MENCHU UNA DONNA COMBATTENTE E CORAGGIOSA

Mi chiamo Rigoberta. Il mio villaggio si chiama Chimel, quando è grande, e Laj Chimel, quando diventa piccino. Perché il mio villaggio a volte è grande e a volte è piccolo. Nei periodi buoni, quando c’è il miele e le pannocchie di granoturco con il loro peso piegano le piante, quando le orchidee di tutti i colori (gialle, verdi, violetto, bianche, screziate) fioriscono, sfoggiano il loro splendore, allora il mio villaggio diventa grande e si chiama Chimel. Nei periodi difficili, quando il fiume si secca, i pozzi stanno nell’incavo della mano e uomini malvagi distruggono la terra, quando ormai la tristezza è insopportabile, allora diventa piccino e si chiama Laj Chimel.
Ora mi ricordo di Chimel…
Una volta, don Benjamin Aguaré, un vecchio saggio del villaggio, mi disse:
“Con la nostra Madre Terra siamo un tutt’uno”.
Ora mi ricordo di Chimel…
C’erano molti vecchi saggi a Chimel.
C’erano, perché adesso non ci sono più.
Tra questi c’era mio nonno. Adesso vi racconto la sua storia….

Dalla fine degli anni ’60 ad oggi, in Guatemala sono state assassinate 120.000 persone, 40.000 desaparesidos, 100.000 orfani e 250.000 rifugiati all’estero. Su una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, di cui un milione composto da membri dell’esercito, sono cifre che fanno pensare.
Le donne maya sono il perno della società indigena guatemalteca. Rigoberta Menchù, è nata e cresciuta sulle montagne del suo amato Guatemala.

Segnata da tutti questi drammi familiari, la giovane donna e la sua famiglia sono state perseguitate dal potere governativo a causa del loro impegno nella militanza politica a favore delle minoranze indigene guatemalteche.

A soli 20 anni è già nell’organizzazione sindacale del CUC (Comitato di Unità Contadina), e comprende subito che la liberazione non può avvenire se non attraverso l’apprendimento della lingua, la nonviolenza, l’istruzione. Rigoberta parla di unità nella differenza: “quando qualcuno si vergogna delle proprie radici o si sente superiore delle culture altrui, l’umanità fa un passo indietro”.
Per questo suo volere di giustizia sociale, il vescovo primate del Guatemala, Juan Gerardi, quando, nell’aprile del ’98 tre giorni prima di essere assassinato, consegnò il rapporto della Chiesa cattolica sul genocidio in Guatemala, scelse la Menchù come una delle rappresentanti delle famiglie-simbolo di questa tragedia.

Nel 1983, invitata in Europa da organizzazioni umanitarie per testimoniare la sua vicenda, raccontò ad Elisabeth Burgos non solo la drammatica esperienza personale vissuta , ma anche i segreti maya che avevano permesso al suo popolo di sopravvivere a cinquecento anni di conquista.
Il suo agire fermo e nello stesso tempo misurato le valse negli anni ’80, riconoscimenti internazionali fino al Nobel per la pace nel 1992.

All’indomani della consegna del Nobel affermò che: “il mio Paese gronda sangue. In 30anni di guerra ci sono stati più di 150.000 morti, 75.000 vedove, 439 esecuzioni senza processo, 15 massacri collettivi, oltre 100.000 esiliati numerosi cimiteri clandestini che la gente sa dove si trovano e chi ne sono i responsabili. Una ferita profonda che deve essere rimarginata. Una problema che deve trovare spazio nel processo del dialogo e di pacificazione se vogliamo veramente una pace duratura. La catena delle stragi deve spezzarsi definitivamente”.

Nel maggio del 2000, è protagonista di una denuncia per “tradimento della patria”.
La Menchú si era infatti rivolta al giudice spagnolo Garzon (lo stesso che ha suscitato il “caso” del dittatore cileno Augusto Pinochet, perché aprisse un procedimento contro otto esponenti guatemaltechi per l’assassinio di quattro preti spagnoli e il massacro dell’ambasciata spagnola in Guatemala del 1980, nel quale trentasei manifestanti, fra cui il padre della Menchú, vennero bruciati vivi. Fra i denunciati c’è anche l’ex dittatore Efrain Rios Montt, oggi presidente della Camera e molto vicino al presidente Alfonso Portillo.
Ugualmente attiva al fianco del “Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra” ha messo in luce gli abusi che tuttora vengono commessi in Brasile e in altri paesi dell’America Latina.
Questa è Rigoberta Menchú, una donna combattiva e coraggiosa.

L’abbiamo incontrata questa sera. Andiamo insieme ad Haton, Soledad e la cara Elisabetta.
A Giorgio chiediamo come sempre benedizione e appoggio. Gli chiedo: “Cosa poter dire ad una donna che ha visto con i suoi occhi il massacro della sua famiglia e della sua gente…?”
“Dille che non è sola”.
La serata è calma e il cielo è trapuntato di stelle. Riusciamo ad arrivare prima di lei al luogo della cena di beneficenza organizzata a suo favore da un pugno di persone, che da 20 anni dalle Marche appoggiano la sua causa. Ci rendiamo conto che, a differenza di noi, alcune di queste persone ricoprono dalle ultime elezioni qualche carica politica a livello regionale e sono quindi riusciti a organizzare una serie di presentazioni del premio Nobel Rigoberta Menchù in ambito provinciale. Si raccolgono fondi per la ristrutturazione di una scuola costruita alcuni anni fa nel suo villaggio natio e per altri progetti legati alla tradizione e alla conservazione della Cultura Maja.

Appena arriva scende dalla macchina e ci abbracciamo affettuosamente. Tutti i presenti le si stringono incontro; per la gente che è venuta da diverse parti di tutta la regione Marche Rigoberta rappresenta un riferimento spirituale. Consideriamo che pur appoggiandola da 20 anni e per essere un Premio Nobel, non è molta la gente presente nella serata più intima e accessibile del suo programma…
E’ di costituzione minuta, piccola di statura, con un sorriso sempre pronto stampato in un viso con gli evidenti e netti tratti somatici della civiltà Maja, civiltà millenaria, custode di profonda conoscenza e verità. Eppure osservandola, notiamo che non le sfugge nulla, anche se quando guarda mira dritto agli occhi dell’interlocutore di turno…immagino a quante volte si è dovuta guardare alle spalle, per sfuggire alla cattura e alla morte… 
Nonostante la sua evidente stanchezza, Rigoberta prende la parola per salutare le cariche ufficiali e tutti i presenti. Mentre parla il suo sguardo si rivolge spesso verso di noi, forse perché si e’ accorta che la stiamo riprendendo.

“ Voi che siete qui vi distinguete da coloro che non sanno cosa fare, tutti voi siete impegnati per la solidarietà e alcuni di voi lo fanno per missione.
E’ importante la lotta sociale e pacifica per la giusta causa, dovete insegnarlo ai vostri figli, il cambio si ha quando si prende coscienza. Il sistema globale sta distruggendo tutto, i conflitti, la tensione internazionale, la crisi finanziaria va a scapito dei più poveri, la fame aumenta …l’ agricoltura è il settore più in crisi di tutti.
In Guatemala sta per sparire il mais giallo, non ci sono più i semi…e per conseguenza si ha il riscaldamento globale, la migrazione dei poli…Il grande problema è stato il distacco con la Natura, il non considerare la Terra come una grande Madre che da vita, energia, respiro.
E’ importante essere però felici dentro, essere positivi, altrimenti l’energia si blocca, quando avvertite un po’ di depressione fatevi un bel bagno di fiori..! tornate alla natura. Altrimenti il vortice prenderà anche voi, non riuscirete a superare questa fase di grande cambio. State attenti, seguite i vostri figli che non diventino dei robot automi. Questo è il grande rischio che si sta correndo.
Per il calendario Maja oggi è un giorno particolare – e lo cita nella sua antica lingua –  dove i flussi di energie che si incontrano sono propiziatorie, è anche il giorno della tela, simboleggiato dal ragno che tesse la sua rete tanto sottile, quanto forte e resistente! La tela del ragno è incontro, intersezione, è come una fitta rete che avvolge, dove tutti i fili sono uniti,  ma ha anche il significato della trappola…
Sempre per il calendario Maja viviamo il tempo del non tempo, dove si percepisce il tempo che fugge via veloce. La percezione che si ha, che si vive è quella di non avere il tempo sufficiente per portare avanti e portare a termine le attività che si fanno…”

Quanto riportato è stato il cuore del discorso. Avremmo voluto il rilascio di una intervista per la nostra redazione, ma la gente presente ha bisogno di avvicinarla e capiamo che non dobbiamo insistere in tal senso. Ragion per cui mi avvicino al suo tavolo e mi siedo al suo fianco per presentarle chi siamo e soprattutto per dirle che il nostro riferimento spirituale è Giorgio Bongiovanni, portatore di un segno Cristico e di un messaggio universale importantissimo.
Le dico che abbiamo per lei il dvd della sua storia in spagnolo e che Giorgio ci aveva raccomandato di dirle che non era sola.
Mi ascolta attentamente e mi sorride Rigoberta, mentre continuo dicendole che il cuore della nostra opera di diffusione sta nell’annuncio del Ritorno del Cristo, e che sappiamo  che anche i Maja aspettano il Ritorno di qualcuno: Quetzalcoatl.
I nostri sguardi si incontrano, non si lasciano per tutta la durata della breve, ma intensa conversazione. Haton non perde occasione di scattare foto anche alla tenera Soledad insieme al premio Nobel con la sua maglietta della Funima. E’ stata una bella serata, commenta Elisabetta, e siamo tutti d’accordo con lei mentre torniamo a casa ed in macchina ci scambiamo sensazioni e commenti.
Ci ha colpito molto la presenza e la passione del Presidente del Consiglio Regionale Raffaele Bucciarelli, punto di riferimento per tutti gli invitati. Ci ha ricordato tanto il nostro caro e attivissimo Domenico Santin…Lo abbiamo capito quando si è seduto spontaneamente di fronte a noi per raccontarci di quante volte è andato in Guatemala come volontario insieme a sua moglie e di quando insieme ad un pugno di europei sono stati i primi testimoni diretti del massacro degli indios campesinos di più di 400 villaggi rasi al suolo dall’esercito. Bucciarelli, fin da giovane militante nel partito Comunista italiano, in quella occasione mise a rischio la sua vita perché i militari sparavano a vista su tutti, quindi erano costretti a rifugiarsi insieme agli indigeni, a scappare in montagna insieme alla gente di Erigoberta….una storia incredibile, una storia che ha segnato per sempre la vita di quell’uomo.
Un uomo che magari non legge in chiave spirituale i corsi e ricorsi storici, ancora non conosce i Messaggi dal Cielo alla Terra, le Verità cosmiche e i Segni che si manifestano sulla Terra per opera del Divino Amore del Padre, ma senza dubbio un uomo che non ha problemi di scelta e di azione a favore della vita.

Come annunciato da Giorgio più volte, ci ritroviamo nel valore dell’azione…nell’Unità della Diversità.

Grazie a tutti! Grazie a Giorgio sempre per gli immensi sforzi che deve sopportare per portare avanti e a termine la missione di denuncia dei mali del mondo…la missione dell’Annuncio del Ritorno del  figlio di Dio Gesù Cristo.

Con profondo affetto da parte mia, di Elisabetta, Haton e Soledad.
Mara