Tentazione e selzione: il ruolo dei setacciatori parte 3 – I re d’Israele

di Michele Lisco

Approfondiamo ora tre figure chiave nella storia del popolo d’Israele. Racconteremo, come precedentemente abbiamo fatto per i profeti, le vicissitudini che hanno portato questi uomini ad allontanarsi da Dio (e quindi a perdersi) a causa delle tentazioni della carne e dei piaceri materiali cui Satana li ha sottoposti, scovando e portando alla luce le loro debolezze...

Tentazione e selzione: il ruolo dei setacciatori parte 3 – I re d’Israele

di Michele Lisco

Approfondiamo ora tre figure chiave nella storia del popolo d’Israele. Racconteremo, come precedentemente abbiamo fatto per i profeti, le vicissitudini che hanno portato questi uomini ad allontanarsi da Dio (e quindi a perdersi) a causa delle tentazioni della carne e dei piaceri materiali cui Satana li ha sottoposti, scovando e portando alla luce le loro debolezze...

Approfondiamo ora tre figure chiave nella storia del popolo d’Israele. Racconteremo, come precedentemente abbiamo fatto per i profeti, le vicissitudini che hanno portato questi uomini ad allontanarsi da Dio (e quindi a perdersi) a causa delle tentazioni della carne e dei piaceri materiali cui Satana li ha sottoposti, scovando e portando alla luce le loro debolezze.

I personaggi che prenderemo in esame sono: Sansone, il più famoso dei Giudici d’Israele per la straordinaria forza di cui godeva per grazia di Dio; Davide, il giovane che sconfisse Golia e divenne re e, infine, re Salomone che costruì il tempio più grande nella storia d’Israele. Tutti e tre hanno in comune il fatto che Dio fece loro dono di grandi poteri e carisma al fine di essere delle “guide”; un privilegio che avrebbe però dovuto essere messo al servizio degli altri, e che presupponeva la fedeltà e l’ubbidienza ai valori e alla Legge del Padre.

Sansone: dalla tentazione al peccato

La storia di Sansone si trova nell’Antico Testamento, nel Libro dei Giudici dal Capitolo 13 al 16. La nascita di Sansone si colloca nel periodo in cui Israele si è allontanato da Dio, tornando a compiere quanto era male agli occhi del Signore. Uno angelo di Dio annunzia alla moglie di Manoach, che è sterile, che da lì ad un anno avrebbe avuto un figlio, non avrebbe dovuto bere vino o bevande inebrianti e avrebbe dovuto astenersi dal mangiare alcunché di immondo. Il nascituro sarebbe stato un nazireo perché il rasoio non sarebbe passato sulla sua testa, essendo un consacrato al Signore, un bambino che avrebbe liberato Israele dalle mani dei Filistei.

Manoach si accerta sulla missione annunciata dall’angelo ed offre un sacrificio a Dio; si rende conto di aver visto Dio e per questo teme di morire. La moglie lo rassicura sostenendo che, se Dio avesse voluto ciò, non avrebbe accettato il sacrificio e l’offerta, né avrebbe avuto con loro comunicazione alcuna, né tanto meno avrebbe mostrato loro “cose come queste”. Il bambino nasce, la madre lo chiama Sansone, Dio lo benedice e lo spirito del Signore lo investe a Macane-Dan, fra Zorea ed Estaol. Quella di Sansone è una vita di contraddizioni. Innanzitutto, egli avrebbe dovuto essere “un Nazireo a Dio dal seno di sua madre” (Giudici 13:5), eppure infrange in continuazione il proprio voto mostrandosi donnaiolo e vendicativo, e la sua intera vita dimostra che abbandonarsi alla tentazione conduce al peccato. Lo Spirito di Dio scende diverse volte su di lui, dandogli la grande forza di combattere contro i Filistei, oppressori degli Israeliti, quindi vediamo che Dio utilizza persino un peccatore per compiere la Sua volontà, ma non ci consente di sfuggire alle conseguenze delle nostre infrazioni alla Legge. Nel Vangelo di Giovanni, Cristo afferma chiaramente tale insegnamento quando, dopo aver guarito l’infermo, gli dice: “Ecco sei guarito! Ora va e non peccare più, affinché non ti accada di peggio” (Gv 5,1-16). Cristo mette in una relazione di causalità il peccato e la malattia dell’infermo, dando a tutti noi un severo monito sulle conseguenze dell’errore nella vita di ognuno.

La vicenda di Sansone comincia proprio con una violazione della Legge di Dio. Egli vuole sposare una donna filistea, nonostante le proteste dei genitori e nonostante ciò violi la legge di Dio sul matrimonio coi pagani. I genitori alla fine acconsentono e lo accompagnano oltre le vigne di Timnah per chiedere la donna in sposa, quando un leone li attacca e Sansone lo uccide. Dopo qualche tempo egli ritorna in quella zona, si avvicina alla carcassa del leone e nota che al suo interno si trovano un favo e del miele, che mangia. Si tratta di una chiara violazione della seconda parte della Legge dei nazirei: “Per tutto il tempo che si è consacrato all’Eterno non si accosterà al corpo morto” (Numeri 6:6). Sansone sa di aver fatto qualcosa di sbagliato, infatti quando porge il miele ai genitori “non disse loro che aveva preso il miele dal corpo del leone” (Giudici 14:9).
Un altro episodio eclatante in cui Sansone viola la Legge è descritto in Giudici 14:10. La serata descritta è, letteralmente, un “festino alcolico”. Come nazireo, Sansone deve obbedire alle Leggi riportate in Numeri 6:1-21: “si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti; non berrà aceto fatto di vino, né aceto fatto di bevanda inebriante; non berrà alcun succo di uva e non mangerà uva, né fresca né secca”. Nonostante la Scrittura non indichi se Sansone beva del vino o un’altra bevanda fermentata, si tratta di una nuova tentazione, che infine lo conduce al peccato.

In questo caso, Sansone fa una scommessa circa un complicato indovinello, sua moglie lo tradisce carpendogli la soluzione e riferendola ai suoi connazionali, i Filistei. A seguito di tutto ciò, Sansone uccide trenta uomini. Successivamente incontra Dalila e se ne innamora perdutamente, situazione di cui approfittano i capi dei Filistei che promettono alla donna molto denaro se lei, usando le arti della seduzione, riesce a farsi rivelare da Sansone il segreto della sua forza, affinché loro lo possano catturare. Alle domande di Dalila circa l’origine della sua forza sovrumana, Sansone per tre volte risponde con una motivazione che si rivela sbagliata finché, dopo molte insistenze, egli cede e le rivela che la forza gli proviene dalla condizione di nazireo, cioè dal fatto che non si è mai tagliato i capelli. A quel punto Dalila gli taglia i capelli mentre dorme, Sansone perde le forze e finisce in mano ai Filistei.

Così viene violata anche la parte finale della Legge dei nazirei: “Tutto il tempo del voto della sua consacrazione il rasoio non passerà sul suo capo; finché non sono compiuti i giorni per i quali si è consacrato all’Eterno, sarà santo; lascerà che i capelli del suo capo crescano lunghi” (Numeri 6:5). Dopo il taglio dei capelli, Sansone si aspetta che Dio sia ancora con lui: “Egli si svegliò dal sonno e disse: «Io ne uscirò come tutte le altre volte e mi svincolerò». Ma non sapeva che l’Eterno si era ritirato da lui” (Giudici 16:20). Per via delle precedenti violazioni rimaste apparentemente impunite, Sansone pensa di averla fatta franca anche stavolta, invece la sua continua disobbedienza ha ormai raggiunto il limite tollerabile. Dopo aver violato tutte le Leggi dei nazirei, si trova ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni: persa la forza, Sansone viene sopraffatto dai Filistei che gli cavano gli occhi, lo portano a Gaza, lo legano con catene di rame e lo mettono a girare la macina della prigione. Mentre i capelli cominciano a ricrescergli, i Filistei celebrano un grande sacrificio in onore del loro Dio Dagon per ringraziarlo di aver permesso la cattura del nemico, poi chiamano Sansone che li intrattiene con dei giochi. Nella casa vi sono tutti i capi dei Filistei e sulla terrazza assistono allo spettacolo tremila persone. A quel punto Sansone invoca il Signore, si mette tra le due colonne portanti e grida: “Morte a Sansone e a tutti i Filistei!”, poi con una energia gigantesca fa crollare la costruzione. Sansone comprende la vera fonte della sua forza, ma non ne capisce lo scopo reale: “Allora Sansone invocò l’Eterno e disse: «O Signore, o Eterno ti prego ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o Dio, perché possa vendicarmi con un sol colpo dei Filistei per la perdita dei miei due occhi»” (Giudici 16,28). Capiamo da questo versetto che Sansone è tutto preso dalla propria vendetta personale, non è rivolto al servizio verso Dio, e ciò gli costa la vita: “furono più quelli che egli uccise morendo di quelli che aveva ucciso in vita” (Giudici 16,30).

La volontà di Dio alla fine si è compiuta, ma Sansone non può rendersi conto delle molte benedizioni che avrebbe potuto ricevere. La sua nascita era volta alla liberazione del popolo d’Israele dai Filistei, che da secoli lo opprimeva. È un chiaro esempio di un uomo inviato da Dio per compiere un’importante missione ma che, a causa delle continue prove e tentazioni, si lascia corrompere, e riceve di ritorno i severi effetti delle cause poste in essere violando la Legge del Padre e tradendo lo scopo della propria incarnazione. La lezione che possiamo trarre dalla vita di quest’uomo è che, se camminiamo ostinatamente e ripetutamente nel solco delle tentazioni che portano al peccato, subiremo le conseguenze della nostra disobbedienza. Se Dio ci affida un potere e non siamo in grado di servircene rimanendo umili e fedeli a Lui e alle Sue leggi, Egli ci toglierà tutto: la retribuzione karmica e la giustizia di Dio sono la medesima cosa.

Ci sono momenti della vita in cui “i nodi vengono al pettine”, cioè facciamo i conti con gli effetti delle nostre cause ma, per chi sceglie di servire il cielo, ci sono volte in cui una forza “esterna” (ma pur sempre legata a noi) irrompe nella nostra esistenza in modo sottile ma deciso e ci spinge a scegliere: crescere o fermarsi, rinnovarsi o perdersi. Questo processo può ripetersi ciclicamente in base a ciò di cui abbiamo più bisogno per crescere.

In Oriente il concetto di karma negativo è legato alle nostre debolezze: si crede che ognuno abbia i “suoi” demoni (paure, attaccamenti, rabbie) da affrontare e trasformare nella ricerca dello stato d’illuminazione. In questi racconti biblici vediamo invece come, al di là del nostro karma, siano proprio l’interazione con le forze celesti superiori e la nostra fedeltà a Dio a determinare la vittoria o la sconfitta esistenziale. Ascoltando una spiegazione di Giorgio Bongiovanni sul senso delle prove e delle tentazioni, ritroviamo esattamente gli stessi concetti: Dio ci manda prove laddove dobbiamo maturare determinati valori (da Cronache delle Arche, gennaio 2016, “La chiamata e la parola”):

“Saremo chiamati a superare una prova personale che ognuno di noi dovrà vivere e non potrà evitare che avverrà tra oggi e il 31 dicembre 2017. Una prova che potrà arrivare al limite della nostra sopportazione ma che mai supererà quel limite. Quindi una prova che saremo in grado di superare. È una prova che il Cielo ci darà per rafforzare la nostra fede non per annientarla. Nel momento in cui ci facciamo forti e la superiamo, ciò che ci mancava come valore che aveva “attirato” quel tipo di prova, il Signore ce lo donerà amplificato per cento, per consolarci e premiarci per la fede che Gli abbiamo dimostrato. Perché gli avremo dimostrato che se la prova è stata ardua la nostra fede è stata più grande… Non abbiate paura perché non sarà una prova nefasta ma una prova che evidenzierà le nostre debolezze per poterle affrontare e superare. Chi è debole nell’amore sarà provato nell’amore, chi è debole nella fede sarà provato nella fede, chi è debole nei sentimenti sarà provato nei sentimenti, colui che è materialista avrà una prova materiale, colui che è debole nello spirito sarà sottoposto ad una prova spirituale. In questi due anni dobbiamo apprendere a essere più costanti, più coerenti, più uniti, più umili, più presenti e più potenti… Ora nel 2015 è necessario venire sottoposti ad una prova anche se il cielo non ci farà mancare segni importanti per consolarci. Il Padre non ci abbandonerà, io lo conosco. Lui è misericordioso ma anche molto duro e giusto. Lui vuole eliminare i rifiuti che abbiamo radicati dentro di noi e che ci legano molto spesso senza che ci rendiamo conto alle cose di questo mondo. Per questo è importante benedire la prova…”

Re Davide: la forza della fede

Le vicende di Davide (2 Samuele 11; 12; 1 Re 1) cominciano intorno al 1.070 a.C. quando Samuele, profeta e ultimo dei Giudici d’Israele, ispirato da Dio, lo sceglie come futuro re d’Israele. Durante la guerra tra Ebrei e Filistei, il soldato filisteo Golia sfida l’esercito d’Israele, proponendo un duello tra lui e un soldato scelto per decidere le sorti del regno. Davide è ancora troppo giovane per combattere nelle fila dell’esercito, ma è solito recarsi dai soldati per portare da mangiare ai fratelli, soldati di Saul e così, dopo l’ennesima sfida da parte di Golia, Davide si offre di affrontare il temibile guerriero. Riesce a convincere Saul a fidarsi di lui, raccontandogli che durante la sua vita da pastore aveva dovuto affrontare orsi e leoni, e aveva sempre confidato in Dio che l’aveva protetto. Senza armatura né spade o lance, armato solo di una fionda e cinque pietre, Davide va quindi incontro a Golia che, vedendo un giovane disarmato, è ben certo di vincere e deride Davide di fronte a tutti. Davide risponde gridandogli che ha fiducia nel fatto che il Signore lo avrebbe protetto, che avrebbe sconfitto Golia proprio per dimostrare la grandezza del Signore. A quel punto, solo con la fionda ed una pietra, Davide colpisce sulla fronte Golia, che cade a terra. Avvicinandosi, con la stessa spada del nemico, Davide infine lo decapita. I Filistei si danno alla fuga, ma vengono raggiunti e uccisi dagli israeliti. Davide confida in Dio e il Signore protegge Israele.

Giorgio Bongiovanni, prendendo ad esempio la fede di Davide, afferma: “Noi dobbiamo essere come Davide e dire al nostro nemico che Dio lo abbatterà. Noi dobbiamo suscitare in Dio la sua giustizia.” (Cronache dalle Arche, “La presenza di Dio onnipotente negli eventi del mondo”). Sappiamo inoltre che la figura di Davide è centrale, perché “la nostra tribù è quella di Davide che è anche la tribù di Gesù, di Giovanni l’Apostolo e del Battista. La tribù di Davide era quella che veniva dall’Atlantide ed aveva la genetica GNA (Cronache dalle Arche, “L’attesa dello sposo”).

Ciò che ci preme però osservare è l’incredibile “caduta spirituale” alla quale re Davide giunge molti anni dopo aver sconfitto Golia grazie alla sua fede inattaccabile. Egli vince molte battaglie sconfiggendo i Filistei e riesce a costruire il “Regno d’Israele” unendo Israele e Giudea. Nella primavera dell’anno successivo alla guerra con gli Ammoniti, Davide decide di mandare il suo esercito a stanare gli ultimi nemici rifugiatisi a Rabba, ma lui rimane a casa. In un contesto di assoluta tranquillità serale, Davide si sposta dal letto alla terrazza, dove i suoi occhi cadono su una bellissima donna che stava facendo il bagno, Betsabea. Nonostante sapesse che era sposata, Davide la manda a prendere, si unisce a lei ed ella rimane incinta. A differenza delle volte precedenti, in cui aveva guidato l’esercito alla guerra, stavolta Davide, il re d’Israele, si era defilato dalla battaglia. Appagato, rilassato, lontano da pensieri, da lotte e combattimenti, Davide si abbandona a sguardi lussuriosi. Senza opporre alcuna resistenza alla concupiscenza, si macchia del peccato di adulterio.

Il re unto da Dio, quel Davide che aveva abbattuto Golia, che aveva fatto strage dei nemici e mostrato la saggezza ed il timore dell’eterno, cade rovinosamente. Mentre era chiamato a combattere, a difendere il popolo in veste di re, egli abbandona i propri doveri e crolla sotto l’inganno di un cuore appagato, sebbene il lavoro non fosse concluso, la guerra fosse ancora in corso e le guide, i suoi figli, dovevano essere ancora istruiti. Per coprire l’accaduto, Davide invita Urìa a tornare a casa dal fronte per stare con la legittima moglie e, allorché il soldato rifiuta tale privilegio mentre i compagni combattono, Davide lo manda in prima linea sperando che venga ucciso. Egli è difatti consapevole che Betsabea rischia la lapidazione per aver tradito il marito e spera di poterla sposare prima che si venga a sapere che aspetta un figlio. Così avviene: Urìa cade in battaglia e Davide sposa Betsabea, ma da quel momento cominciano i problemi. Il Signore manda il suo servitore Natan per spingere re Davide a pentirsi, questi in effetti si ravvede e Dio lo perdona, ma ormai deve ricevere gli effetti delle sue cattive azioni: “E ora, per il fatto che mi hai disprezzato prendendo come tua sposa la moglie di Urìa l’ittita, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa. Questo è ciò che Dio dice: ‘Ecco, farò abbattere su di te sciagure che verranno dalla tua stessa casa.” Il profeta Natan gli annuncia anche che il figlio concepito con Betsabea sarebbe morto, ma il secondo sarebbe divenuto un re saggio, ed ecco che il primo figlio di Betsabea muore. Poi Amnon, figlio primogenito di Davide, costringe sua sorella Tamar a giacere con lui ed Absalom, un altro figlio di Davide, si adira talmente da uccidere Amnon. In seguito, Absalom conquista il favore di molti del popolo e si fa eleggere re. Infine, Davide vince la guerra contro Absalom, che viene ucciso. Nel frattempo, Betsabea partorisce un altro figlio chiamato Salomone. Quando Davide è ormai vecchio e malato, suo figlio Adonia cerca di farsi re approfittando della debolezza del padre, allora Davide chiede al sacerdote Zadoc di versare olio sulla testa di Salomone, per mostrare che Salomone sarebbe stato il re, come predetto da Natan. Poco dopo Davide muore all’età di 70 anni.

Nonostante Dio lo avesse perdonato e avesse assicurato che il suo regno sarebbe continuato, Davide deve quindi superare numerose avversità all’interno della propria famiglia, forse perché lui stesso aveva seminato male all’interno della stessa. Come Davide, anche noi corriamo il rischio di cadere nell’appagamento e di essere vulnerabili rispetto alla tentazione. Il peccato che si annida nel nostro cuore attende l’occasione per scatenarsi in tutta la sua malvagità. L’appagamento è sempre dietro l’angolo e ci scopre il fianco al tentatore, per questo è fondamentale rimanere sulla via del servizio, per non stare sulle vie della tentazione.

Se abbiamo una visione limitata che si accontenta di ciò che abbiamo conquistato, se ci riteniamo soddisfatti amministrando ciò che abbiamo raggiunto, apriamo spazio alla tentazione. A riprova del proprio pentimento, consapevole che il cielo tutto sa e tutto vede, re Davide scrive nei salmi (Salmi 26:2): “Scrutami, o Signore, e mettimi alla prova; purifica i miei reni e il mio cuore”.

In un discorso riportato nelle Cronache dalle Arche (“Il coraggio di dire la verità”), Giorgio spiega bene l’atteggiamento da tenere per non cadere nella tentazione di “essere arrivati”, errore che porta Davide alla rovina:

Sulla vigna che è grande e gli operai che sono pochi:

“Il Signore ha detto questo perché sa che molti operai non fanno nulla e non sono produttivi e che si sentono chissà chi perché Lui li chiama apostoli. Coloro che invece sono gli ultimi o che si sentono in colpa, perché pensano di non fare abbastanza per il Signore, sono gli operai positivi che lavorano nella vigna. Per questo noi apostoli, che eravamo ignoranti, per guadagnare il paradiso abbiamo dovuto combattere nella società come guerrieri, essere derisi, imprigionati ed uccisi. Questo significa anche che farci una vita comoda nella nostra casetta e magari fare qualche donazione o atto di beneficenza non è servire il Signore. Solo se sarete uccisi, perseguitati, derisi e solo quando vi toglieranno tutto allora entrerete nel Regno dei Cieli, altrimenti farete la morte seconda, questo dice il Vangelo. Per questo io faccio di tutto per essere perseguitato, deriso e ucciso. Poi magari possiamo anche vivere in una reggia ma dentro dobbiamo essere pronti a dare tutta la nostra vita se ci viene chiesto ed avere il coraggio di essere uccisi, carcerati e torturati senza battere ciglio. Se il Signore ci dispensa da questo la vedo come una prova e quindi mi vado a cercare la persecuzione. Dovete capire questa chiave per entrare nel Suo Regno”.

Re Salomone

Salomone (Gerusalemme, 1.011 a.C. – 931 a.C. circa) secondo la Bibbia è il successore e figlio di Davide e Betsabea, terzo re d’Israele ed ultimo re del regno unificato di Giuda e Israele. Il suo regno è datato approssimativamente dal 970 al 930 a.C. e durante quel periodo vengono messi per iscritto i primi cinque libri dell’Antico Testamento, il Pentateuco, prima tramandati solo oralmente. Il profeta Natan l’onora col nome di Iedidia, “Amico dell’Eterno”. Salomone si interessa di lettere e scienze, botanica e zoologia; raccoglie e compone numerosi proverbi, i Salmi 72 e 127, il libro dell’Ecclesiaste e quello del Cantico dei Cantici. “L’Eterno gli comparve due volte”.

La sua sapienza diviene proverbiale, ma egli è anche un monarca dal pugno di ferro che divide il paese in 12 distretti e impone tasse piuttosto gravose. Attraverso matrimoni combinati, come quello con la figlia del faraone, riesce a mantenere in pace le terre di confine e ad ottenere grandi vantaggi economici, dimostrandosi un abilissimo politico. Seppure ispirato in una prima fase dalle potenze celesti, Salomone si corrompe a causa del potere e di quel Dio della materia tanto presente nella Bibbia quanto determinante nella storia del popolo d’Israele: Yahweh. Potere, manovre di palazzo, ricchezze, tasse, commercio, politica, matrimoni di interesse. Nonostante gli avvertimenti dell’Eterno, Salomone non sa porre un limite ed il suo cuore perde l’integrità.

La crepa fatale è rappresentata proprio dal combinare matrimoni con donne straniere come espediente politico, pratica non certo edificante dal lato spirituale. Salomone disobbedisce agli ordini di Dio, arrivando ad avere un harem di circa 1.000 donne, molte delle quali erano principesse consegnate al re di Israele a garanzia di patti politici. Salomone si lascia persuadere da queste straniere ad erigere santuari ai loro Dei, tradendo l’ideale monoteistico che aveva espresso verso Dio e verso il popolo, e si perde nella lussuria e nella schiavitù dei sensi, come si legge in 1 Re 11: “Le sue donne gli pervertirono il cuore. Così, quando Salomone fu vecchio, le sue mogli fecero volgere il suo cuore verso altri dèi; e il suo cuore non appartenne interamente all’Eterno, il suo Dio, come il cuore di Davide suo padre. Salomone seguì quindi Ashtoreth, la dea dei Sidoni, e Milkom, l’abominazione degli Ammoniti. Così Salomone fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno e non seguì pienamente l’Eterno, come aveva fatto Davide suo padre. Allora Salomone costruì sul monte di fronte a Gerusalemme un alto luogo per Kemosh, l’abominazione di Moab, e per Molek, l’abominazione dei figli di Ammon. Così fece per tutte le sue mogli straniere, che bruciavano incenso e offrivano sacrifici ai loro Dèi. L’Eterno, perciò, si adirò con Salomone, perché il suo cuore si era allontanato dall’Eterno, il Dio d’Israele, che gli era apparso due volte, e in merito a questo gli aveva comandato di non seguire altri dèi; ma egli non osservò quanto l’Eterno gli aveva comandato.”

Oggi noi sappiamo che le indicazioni che il cielo dà all’antico popolo d’Israele e ai suoi re sono finalizzate a mantenere un’integrità di valori spirituali e sociali che si sarebbe persa entrando in contatto con altri culti, soprattutto considerando che molti di essi (quali Kemosh e Molek) prevedevano rituali e sacrifici che violavano la Legge universale e quindi portavano verso Satana o, comunque, non conducevano ad una società giusta dotata di alti valori etici e morali. “Perciò l’Eterno disse a Salomone: «Poiché tu hai fatto questo e non hai osservato il mio patto e gli statuti che ti avevo ordinato, ti strapperò il regno e lo darò al tuo servo. Tuttavia, per amore di Davide tuo padre, non lo farò durante la tua vita, ma lo strapperò dalle mani di tuo figlio. Però non strapperò tutto il regno ma lascerò a tuo figlio una tribù, per amor di Davide mio servo e per amore di Gerusalemme che ho scelto». L’Eterno castiga l’apostasia del sovrano lasciando alla sua dinastia solo una piccola parte del regno.

L’esempio di Salomone mostra cosa può accadere a un uomo di Dio quando permette che “il mondo viva in lui”: presto adorerà quello che il mondo adora. Per questo Gesù ci ricorda che “siamo nel mondo, ma non del mondo” e San Paolo ci dice che “la nostra patria è nei cieli”. È difficile rinunciare alla carne e al potere, ma solo ricordandoci che siamo prima di tutto spirito possiamo assoggettare la materia ai nostri veri valori, senza cadere nei “cattivi sentieri” pronti a legare le ali che ci permettono di spaziare liberamente fra le cose della terra e le cose del cielo.

Nel prossimo approfondimento prenderemo in esame la vita di Paolo di Tarso, di Pietro e di Giovanni evangelista per mettere in luce i loro insegnamenti sul tema della prova e della tentazione.

Michele Lisco

22 febbraio 2024

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