
Per più di un decennio, l’asteroide Vesta è stato posto in una “zona grigia” dal punto di vista scientifico: troppo grande e geologicamente complesso per essere un asteroide ordinario, ma troppo piccolo per essere considerato un pianeta vero e proprio.
Ciò che ha cambiato oggi il modo di vedere l’asteroide “4 Vesta” (questo è il suo nome ufficiale) da parte degli astronomi e dei ricercatori, sono i dati pubblicati in un recente studio datato 29 aprile 2025 su nature.com, condotto dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. Sono state riesaminate le registrazioni gravitazionali e le immagini prodotte dalla sonda Dawn, utilizzando metodi di calibrazione molto raffinati. Il risultato è una radicale reinterpretazione della struttura interna dell’asteroide Vesta.
Che cosa è l’asteroide Vesta
Per quello che ne sappiamo oggi, è un grande asteroide orbitante attorno al sole all’interno della Fascia principale degli asteroidi, posizionata tra le orbite del pianeta Marte e quella del pianeta Giove.
Vesta è il secondo corpo più massivo della fascia di asteroidi, con un diametro medio pari a circa 525 chilometri e una massa stimata pari al 12% di quella dell’intera fascia.
Le sue dimensioni e la sua superficie insolitamente brillante fanno di Vesta l’asteroide in assoluto più luminoso e talvolta l’unico visibile a occhio nudo dalla Terra.
È anche quello più studiato, grazie alla disponibilità di campioni di roccia sotto forma di meteoriti HED. Inoltre è uno degli unici sei corpi identificati del Sistema solare per il quale abbiamo campioni fisici, oltre all’asteroide 25143 Itokawa, la cometa Wild 2, Marte, la Luna e la Terra stessa.
Interessante è la storia di queste “meteoriti HED“: anche dette Acondriti HED, sono un’associazione di acondriti asteroidali, in parole semplici un pezzo di asteroide caduto sulla superficie terrestre, che si pensa abbiano come corpo progenitore l’asteroide Vesta. Sono anche dette Acondriti basaltiche per via della loro origine magmatica e per alcune similitudini con i basalti terrestri (rocce di origine magmatica).
Si ritiene, quindi si ipotizza, che il metodo di trasporto di questi frammenti dall’asteroide Vesta sia stato il seguente: a seguito di impatti con questo asteroide nella Fascia principale, si sono generati piccoli frammenti delle dimensioni di una roccia che, a causa delle traiettorie di espulsione, sono entrate infine in collisione con la Terra. Il dato interessante è che in base a misurazioni sull’esposizione ai raggi cosmici, si ritiene che la maggior parte delle meteoriti HED si siano originate da diversi distinti eventi d’impatto di questo tipo e siano rimaste a vagare nello spazio prima di colpire la Terra, per una quantità di tempo variabile tra i 6 e i 73 milioni di anni.

Che cosa si è capito dalle ultime rilevazioni della sonda Dawn
In passato è stato visto da una prima analisi dei dati inviati dalla missione Dawn della NASA che la superficie di questo grande asteroide è costituita da basalto, una roccia derivata dalla lava solidificata. In base a queste prime analisi si ipotizzava che Vesta possedesse la stessa architettura fondamentale del nostro pianeta: una crosta esterna, un mantello e un nucleo interno metallico. Questa immagine è stata ora sconvolta.
Piuttosto che ospitare un nucleo centrale, l’intero corpo dell’asteroide Vesta, di circa 500 chilometri di diametro, è quasi uniforme in tutto.
“La mancanza di un nucleo è stata molto sorprendente. È un modo molto diverso di pensare a Vesta”, ha detto il coautore dello studio Seth Jacobson, uno scienziato planetario presso la Michigan State University. La storia di Vesta è sorprendentemente complessa.
Il team di ricerca è giunto a questa conclusione analizzando una proprietà chiamata momento di inerzia, che regola come viene distribuita la massa di un oggetto e, di conseguenza, come si muove nello spazio.
Il comportamento della rotazione di Vesta, recentemente analizzato in maniera approfondita, contraddice le precedenti teorie che ipotizzavano la presenza sostanziale di un suo nucleo di nichel e ferro.
Per ottenere queste nuove misurazioni riviste, il principale investigatore Ryan Park e colleghi hanno trascorso quasi un decennio a perfezionare la calibrazione incrociata tra le telecamere di bordo di Dawn e i dati trasmessi attraverso il Deep Space Network della NASA.
“Dopo quasi un decennio di perfezionamento delle nostre tecniche di calibrazione ed elaborazione, abbiamo raggiunto un notevole allineamento tra i dati radiometrici di Dawn e i dati di imaging a bordo”, ha spiegato Park.

Le nuove teorie sulla genesi dell’asteroide Vesta
Due idee in competizione ora si stanno delineando per spiegare cosa sia veramente Vesta.
La prima teoria è che l’oggetto ha iniziato a differenziarsi – fondendosi internamente in modo che i metalli potessero affondare e silicati aumentassero – ma il processo si è congelato a metà della distanza. c’è da dire che questo scenario si scontra con le analisi di laboratorio dei “meteoriti HED” che corrispondono all’impronta digitale spettrale di Vesta. “Siamo davvero fiduciosi che questi meteoriti provengano da Vesta”, ha osservato Jacobson. “E questi non mostrano prove evidenti di differenziazione incompleta”.
E qui nasce l’unica altra ipotesi di genesi dell’asteroide Vesta: un frammento di un mondo perduto.
L’ipotesi alternativa e più audace è che Vesta non sia affatto un pianeta in stallo, ma un frammento esploso da un mondo più grande durante una fase caotica nel Sistema solare. Jacobson ha lanciato l’idea in modo informale anni fa, suggerendo che alcuni meteoriti potrebbero essere reliquie di impatti violenti tra pianeti embrionali.
“Questa idea è passata da un suggerimento un po’ sciocco a un’ipotesi che ora stiamo prendendo sul serio a causa di questa rianalisi dei dati della missione NASA Dawn”, ha detto Jacobson.
Se fosse corretto, Vesta sarebbe un frammento di crosta primordiale da un pianeta che ha continuato ad accrescere altrove, o che forse non ha mai raggiunto la maturità perché le successive collisioni l’hanno frantumata oltre il riconoscimento.
Questa spiegazione rimodella il valore scientifico dell’asteroide. In base a questo modello di frammento d’impatto, Vesta diventa prova forense delle collisioni che hanno scolpito il Sistema solare interno, forse preservando indizi geochimici su un pianeta “genitore” sconosciuto.
Il gruppo di ricerca di Jacobson sta già costruendo modelli informatici di tali impatti giganti, mentre la studentessa Emily Elizondo esamina come i detriti espulsi potrebbero migrare nella fascia degli asteroidi e sopravvivere per miliardi di anni.
Ora molto lavoro aspetta il team di ricerca della NASA. I chimici planetari possono rivalutare i meteoriti derivati alla luce dei nuovi dati sulla gravità di Vesta, alla ricerca di marcatori isotopici che sosterrebbero o confuterebbero una composizione interna uniforme dell’asteroide. Nel frattempo, le simulazioni dinamiche migliorate potrebbero verificare se uno scenario di origine da una collisione possono riprodurre l’orbita e la composizione attuale di Vesta.
Il set di dati originali prodotti dalla missione Dawn rimangono comunque un tesoro; le stesse tecniche di rielaborazione possono ancora rivelare dettagli interni più sottili o conciliare incongruenze nei modelli precedenti.
Pezzi di un antico pianeta
Qualunque sia la risposta finale, la storia di Vesta ora sembra sempre meno una semplice storia di crescita arrestata e sempre di più come un “mistero investigativo”. “La collezione di meteoriti Vesta non sono più un campione di un corpo nello spazio che non è riuscito a diventare pianeta”, ha detto Jacobson. “Questi potrebbero essere pezzi di un antico pianeta […] Non sappiamo ancora quale pianeta sia”.
L’articolo originale pubblicato sul sito earth.org, da cui sono state prese le dichiarazioni dei ricercatori del team che recentemente ha pubblicato i nuovi dati sull’asteroide Vesta, termina con questa frase: “Riconsiderando Vesta da aspirante pianeta a embrione incompiuto o a frammento planetario, gli scienziati acquisiscono una nuova prospettiva sui tumultuosi processi che hanno forgiato il mondo terrestre che abitiamo oggi.“
Dal punto di vista “scientifico” queste nuove valutazioni sull’asteroide Vesta potrebbero essere l’inizio, l’input, di una totale revisione sul motivo dell’esistenza di tutta la Fascia principale degli asteroidi: potrebbe nei prossimi anni passare dall’essere considerata come il residuo di un pianeta mai formato, all’essere considerata al contrario ciò che rimane di un pianeta formatosi e poi distrutto.
Mi viene spontaneo aggiungere: “tumultuosi processi che hanno forgiato sia il mondo terrestre che abitiamo oggi”, sia l’intero Sistema solare. Tumultuosi processi che ci riguardano da molto molto più vicino di quanto normalmente pensiamo.
Sulla tragica fine del pianeta-Luce (Mallona)
Era l’anno 1952. Parliamo di ben 73 anni fa.
Settantatré anni prima che astronomi e ricercatori abbiano iniziato a sospettare che c’è molto di più di quello che oggi pensiamo di conoscere, legato al passato del nostro pianeta Terra e del nostro meraviglioso Sistema Solare.
Il 29 aprile 2025 sono state pubblicate ufficialmente solo i primi “indizi”, i primi sospetti su cosa sia avvenuto in realtà.
Dicevo era il 1952, l’anno in cui Eugenio Siragusa trascrisse dei fatti avvenuti in un lontanissimo passato, ispirato e guidato da intelligenze molto superiori e molto antiche.
Di questi suoi scritti ne riporto qui solo un breve estratto, significativo:
“La notte era limpida. Una grande luminosissima stella splendeva raggiante nel cielo: era il pianeta-Luce. Gli sguardi erano rivolti tutti su di lui con una tenerezza mai sentita. Ad un tratto un immenso bagliore illuminava il cielo. Una immensa luce a forma di croce illuminò le pupille di tutte le creature del regno di Ammon [Sistema solare] dal primo all’ultimo mondo. Una cellula dell’universo era stata uccisa. Un paradiso distrutto dagli angeli ribelli. Lacrime di dolore scendevano silenziose e doloranti. Il cosmo era stato ferito.“
Qui di seguito è possibile consultare liberamente il documento in cui tramite Eugenio Siragusa sono stati raccontati gli eventi relativi alla distruzione del pianeta-Luce, chiamato anche Mallona:
Sulla tragica fine del pianeta-Luce (Mallona)
Secondo altri documenti e comunicazioni divulgate da Eugenio Siragusa, il periodo in cui accadde questo cataclisma planetario è da attestarsi in un periodo che va da circa 75 a 100 milioni di anni fa. Rispetto all’età del nostro Sistema solare, che si misura su una scala di miliardi di anni, è da considerarsi comunque un evento molto recente.
Interessante notare che secondo le rilevazioni strumentali sull’esposizione ai raggi cosmici delle Meteore HED, i frammenti di asteroidi caduti sulla Terra e riconducibili all’asteroide Vesta (e quindi riconducibili a quella genesi di detriti spaziali), siano rimasti a vagare nello spazio per una quantità di tempo variabile tra i 6 e i 73 milioni di anni.
Vorrei chiudere questo articolo con delle parole, contenute sempre negli scritti sopra riportati, ma contenute e riportate soprattutto in uno dei testi più diffusi, più letti, più studiati e più antichi di tutta l’umanità:
Gesù: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore»
(Luca 10,18)
Andrea Macchiarini
08 maggio 2025
Allegati:
- Unione e divisione: l’energia nucleare (seconda parte)
- 24-12-24 I grandi movimenti del Cielo
- 16-12-24 Le comete: trasportatrici spaziali dei mattoni per la vita
- 10-12-24 Asteroidi in rotta di collisione: il pericolo dell’arrivo improvviso
- 3-12-24 Come in alto così in basso
- 9-11-24 I risconti attuali alle comunicazioni ricevute da Eugenio Siragusa (Prima parte)
- 25-10-24 Le megacostellazioni satellitari, un oscuro futuro prossimo