CRIMINI IN VATICANO – 2ª PARTE
PREMESSA:
PER TUTTI COLORO CHE NON HANNO AVUTO MODO DI LEGGERE LA PRIMA PARTE DI QUESTO DOSSIER, DESIDERO RIBADIRE LO SPIRITO CON CUI È STATO CONCEPITO E SCRITTO. CRIMINI IN VATICANO NON È E NON VUOLE ESSERE UN ATTACCO ALLA FEDE CRISTIANO-CATTOLICA E TANTO MENO AI SUOI FEDELI. E’ PIUTTOSTO IL RICHIAMO DI UN CREDENTE CHE NON PUÒ ACCETTARE DI VEDERE LA FIGURA E GLI INSEGNAMENTI DEL MAESTRO GESÙ CRISTO DISATTESI, STRAVOLTI E TRADITI DA CHI DOVREBBE INVECE RAPPRESENTARLI, VIVERLI E FARLI VIVERE.
È UNA CHIAMATA IN CAUSA CHE DOVREBBE COINVOLGERE TUTTI I CRISTIANI CHE VOGLIONO TUTELARE E DIFENDERE L’INTEGRITÀ DEL LORO CREDO PER INDURRE I VERTICI DELLA PIÙ GRANDE DELLE CONFESSIONI CRISTIANE AD INTRAPRENDERE UN PROFONDO CAMMINO DI RAVVEDIMENTO SPIRITUALE E MATERIALE. È QUINDI CON INTENZIONE TUTT’ALTRO CHE ANTI-CLERICALE E CON SPIRITO DI SERVIZIO CHE VI INVITO A LEGGERE QUANTO SEGUE.
G.B.
Prefazione”Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” (Matteo cap. 23, v. 23, 24).
Pensare di poter assoggettare i popoli con il Vangelo è pura contraddizione in termini. Pur ammettendo errori di traduzione e persino malevole manipolazioni il messaggio di colui che i cristiani ritengono essere il Messia è chiaro nella sua essenza a dispetto dei secoli. A leggerlo e rileggerlo con mente aperta si colgono nell’immediato principi che, se compresi e praticati, scardinerebbero alla base il sistema di iniquità e sopraffazione che persiste oggi come allora ed è mutato solo nei suoi aspetti più esteriori. Le parole di Gesù Cristo, sferzanti con ricchi e potenti, e colme di misericordia e perdono per i comuni peccatori, stabiliscono i criteri fondamentali per erigere sulla terra ”il regno dei Cieli” che fuor di parabola altro non è se non la società cui tutte le persone oneste (i buoni, i miti, i mansueti, i giusti…del discorso della montagna) auspicano: giusta, prospera e solidale. Sin dagli esordi il cristianesimo non ha saputo tradurre in azione la portata rivoluzionaria della ”buona novella” rimanendo imprigionato nel formalismo delle dottrine a difesa delle quali è scivolato progressivamente nella deriva della violenza, del fanatismo e dell’intolleranza. La babele di interpretazioni che ne è poi scaturita non ha fatto altro che separare e contrapporre i popoli impedendo all’uomo la possibilità di vivere la salvezza del Vangelo. Le Chiese sempre più avide di potere temporale si sono insinuate in quel gioco di prepotenza, corruzione e inganno da cui l’insegnamento cristico, invece, ci avrebbe potuti ”rendere liberi, ma liberi davvero”.
Scribi e farisei di ogni sorta e ogni tempo hanno adattato ai loro ignobili scopi la figura di Gesù Cristo facendone vessillo di arroganza e sottomissione, icona da idolatrare e temere, strumento di ricatto e di superstizione. In suo nome si è ucciso e si uccide, si è mentito e si mente, si è affamato e si affama, si è violentato e si violenta, si è punito e si punisce, si è ingannato e si inganna…L’immaginetta di un Gesù prima vendicativo e poi buonista ha formato generazioni di credenti convinti che la dimensione del vero cristiano si limiti ad un sufficiente buon comportamento individuale e, nella migliore delle ipotesi, ad una solidarietà del tempo libero o della fugace seppur magari cospicua offerta.
In realtà il messaggio del figlio di Dio risuona come una possente chiamata al concreto cambiamento.
Fornisce la chiave di volta, la soluzione, per rimuovere le cause delle sofferenze e non soltanto i metodi per curare gli effetti. Chiama all’amore per il prossimo, tutto il prossimo, al perdono poichè nessuno è esente dal peccato e ancor prima di tutto alla Giustizia. Tre pilastri che le Chiese hanno reso concetti astratti concentrando l’attenzione dei fedeli sui riti, sulle formalità, sulle esteriorità ipocrite e indirizzando la buona fede e la buona volontà sull’assistenzialismo che se non è fondato su un progetto di dignità e riscatto non produce altro che ulteriore povertà e degrado.
Eppure vi sono servitori di Cristo che hanno saputo incarnare il Vangelo rendendolo vivo piuttosto che ridurlo ad un libello per il circolo culturale dei benpensanti.
”In quarant’anni – spiega don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera -ho imparato che una società felice è quella dove ci sono meno solidarietà e più diritti. La bontà da sola non basta, a volte anzi è un alibi per lasciare irrisolti i problemi. Questa bontà ci rende complici di un sistema fondato sull’ingiustizia, che poi delega ad un pugno di volontari la cura delle baraccopoli perchè non diano troppo fastidio. I volontari del Gruppo Abele, cattolici o no, non hanno certo rimpianti per la vita che si sono scelti. Erano tutto quanto volevamo fare. Ma non quanto potevamo fare. Si ha sempre l’impressione di rincorrere i problemi. La questione è reclamare più giustizia, non offrire come carità ciò che dovrebbe essere un diritto”.
Poche parole, semplici, precise che rammentano senza equivoci o mediazioni al cristiano che può e deve pretendere dalle varie istituzioni che dovrebbero rappresentarne i valori di attivarsi al fine di incidere realmente sugli equilibri e sulle politiche che fanno della terra promessa un inferno. Pur tenendo conto delle umane debolezze e delle terribili condizioni geopolitiche che hanno segnato la storia delle nazioni è fuor di dubbio che la maggior parte dei capi religiosi e, restando in Italia, dei vicari di Cristo: i papi della Chiesa Cattolica, abbia agito senza scrupoli avvantaggiandosi dei tiranni e ricorrendo a orrende pratiche di tortura pur di mantenere inalterato lo stato di soggiogamento e terrore con cui hanno dominato i popoli.
Le crociate, l’inquisizione, il cristianesimo imposto con la violenza ai nativi delle nuove terre, gli intrighi di palazzo, gli assassini impuniti, le morti misteriose, le alleanze, le dittature, i grandi affari… In 2000 anni la Chiesa Cattolica è stata capace di ammodernare i suoi crimini più di quanto non abbia fatto con le sue vedute.
Eppure vi sono stati papi dalla guida illuminata che hanno tentato di ricondurre la chiesa nell’alveo dell’insegnamento cristico. Se non vi sono riusciti però è perchè hanno dovuto cedere al ricatto della compromissione oppure perchè sono stati eliminati con la forza. Certo non si possono porre sullo stesso piano papa Borgia, ricco, potente e spregiudicato, e papa Benedetto XV, che levò la voce contro la guerra, o Giovanni XXIII e la sua apertura sociale del vangelo e Pio XII che invece tacque e usò i genocidi per ”difendere” la fede, ma il risultato finale è quello sotto gli occhi di tutti.
Da una parte una chiesa ricca, opulenta, potente intricata con le manovre politiche economiche che divorano il mondo e dall’altra una chiesa di sacerdoti e suore veri vicino alla gente e agli ultimi del mondo. Così il Vaticano mantiene la sua influenza tra i grandi e si accaparra il consenso dei piccoli che nei suoi uomini più veri vede una speranza di sopravvivenza. Con una mano affama con l’altra sbriciola avanzi, con una commercia in armi con l’altra lenisce le ferite, con una gioca in borsa e con l’altra destina spiccioli ai più disperati…
Con una crea la domanda, con l’altra una misera offerta. Potere e consenso, in una sola mossa.
Le pagine che seguiranno, ben lungi da presentare un esaustivo escursus della storia della Chiesa Cattolica, vogliono offrire un’opportunità, non soltanto di conoscere i crimini e le abnormi contraddizioni di un’istituzione antichissima che è sopravvissuta ad ogni tempo, ma soprattutto di comprendere il grande inganno, l’enorme specchio per le allodole che porta credenti e non credenti a pensare di poter vivere con la coscienza a posto e per molti di sentirsi buoni cristiani quando ogni giorno, ogni minuto, la fame, la violenza, la disperazione e il terrore attanaglia la vita di milioni e milioni di esseri umani: il nostro prossimo.
Oggi non ci si può più nascondere con l’alibi dell’ignoranza medievale, ricchi e poveri, tutti siamo chiamati all’altruismo quotidiano e alla pretesa di giustizia come forme di politica sociale per i popoli. Nessuna civiltà è tale se sviluppo e progresso sono esclusiva prerogativa di pochi. Non esistono cristianesimi della mondanità, gesù dei potenti e dei ricchi. Esiste un Gesù Cristo con il Vangelo per gli uomini e le donne di ogni tempo e le sue parole sono chiare ed inequivocabili: ”Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei Cieli”.
Introduzione”Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perchè dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli nemmeno con un dito” (Matteo 23, 2-4).
Ogni giorno milioni di persone lottano per assicurasi lo stretto necessario per vivere tra povertà, degrado, indigenza oppure, per i più fortunati, tasse, debiti, mutui infiniti e rate a interessi usurai. In tempi di crisi quando le certezze materiali vacillano in molti cercano rifugio nella fede che, puntualmente, invece di essere focalizzata sulle cause che determinano la condizione umana e realizzata nell’attenzione al prossimo, nell’aiuto reciproco e soprattutto nella pretesa di diritti e uguaglianza per tutti, viene trasformata in un ottimo business dell’egoismo e della coscienza a posto. Con raffinate tecniche di marketing e spot pubblicitari degni delle più note aziende internazionali le chiese vendono da una parte la salvezza dell’anima e dall’altra la benevolenza di un dio molto generoso che ci vuole bravi, felici ma soprattutto molto concentrati sulle nostre continue mancanze.
Nessuna denuncia, nessun clangore di catene nel tempio occupato dai ladri che concentrano nelle loro mani tutto il benessere depredando le ricchezze della madre terra e il diritto di ogni essere umano ad una vita decorosa. Nessuna voce autorevole si leva per gridare l’ingiustizia e per additare i potenti del mondo responsabili di questo sfacelo.
Perchè?
Semplicemente perchè le chiese sono parte integrante di quel ”sistema criminale” che ha fatto della disparità la sua maggiore risorsa di fortune e dominio e ha come unico obiettivo quello di tutelare se stesso e i propri privilegi.
Mentre la maggior parte delle più recenti confessioni cristiano-protestanti, specialmente nelle Americhe, ha investito su un look giovane di grande appeal costruito sulla vera e propria promozione del brand di un Gesù moderno e allegro, nella vecchia Italia si procede ancora con l’oscurantismo e i patti lateranensi.
Come dimostrano recenti inchieste la Chiesa cattolica è in effetti riuscita a mantenere intatti e persino a moltiplicare i suoi vantaggi a dispetto delle epoche e delle variegate compagini governative: centro, destra e anche sinistra. Del resto nella sua tradizione millenaria la Chiesa ha saputo sempre barcamenarsi tra i potenti di turno stringendo con abilità tattica e lungimiranza le alleanze più proficue. E persino nei periodi più critici ha saputo far buon viso a cattivo gioco a seconda delle convenienze e delle contingenze storiche.
Matrimonio di convenienza
Si narra che al Duce proprio non piacessero i preti, tanto da definirli, nei suoi articoli di scatenato giornalista d’inizio carriera ”microbi neri tanto letali quanto i germi della tubercolosi”. Tuttavia quando dal 1922 Mussolini diede l’avvio alla follia fascista si rese conto subito di quanto potesse essere fondamentale avere dalla propria parte il Vaticano. Cominciò a tessere quindi la rete delle diplomazie e una volta diventato primo ministro nel 1926 varò una serie di provvedimenti eclatanti a favore della Chiesa: educazione religiosa nelle scuole elementari, i crocifissi negli uffici pubblici, fondi statali per restaurare le chiese e soprattutto un massiccio intervento per risanare il Banco di Roma presso cui il Vaticano aveva notevoli interessi finanziari. Il meglio però doveva ancora venire, Mussolini infatti intendeva risolvere una volta per tutte la spinosa questione della posizione politica del papa in Italia cui voleva garantire la totale indipendenza.
I rapporti diplomatici tra il Regno d’ Italia e Stato pontificio si erano infatti bruscamente interrotti nel 1870 in seguito alla cosiddetta ”breccia di Porta Pia”. Il 10 settembre di quell’anno il re Vittorio Emanuele aveva inviato un emissario per informare l’allora pontefice Pio IX (papa Ferretti 1846-1878) che le truppe reali avrebbero marciato su Roma espropriando quelle terre che da un millennio erano state della Chiesa. In cambio, per rispetto alla sovranità del papa, il re lasciava libero il pontefice di mantenere le relazioni con l’estero e gli offriva un risarcimento in denaro per compensare la perdita dei territori.
Pio IX però non aveva nessuna intenzione di passare alla storia come il papa che avrebbe ceduto così facilmente il potere temporale della chiesa e quindi non solo rifiutò con forza la proposta del re, ma ordinò alle guardie pontificie, benchè fossero in numero assolutamente irrisorio, di resistere quanto più possibile all’assalto nemico.
Nel giro di dieci giorni l’esercito regio si aprì un varco nelle mura leonine a Porta Pia e in altre due sole settimane gli invasori organizzarono un plebiscito in cui gli ex sudditi del pontefice votarono in favore dell’annessione al regno d’Italia.
Il papa quindi si affrettò a scomunicare tutti coloro che avevano partecipato all’assedio e si dichiarò pubblicamente ”prigioniero del Vaticano” rifiutando qualsiasi colloquio con gli usurpatori. Tuttavia, preoccupato per il malcontento crescente dei cattolici, il governo italiano decise di perfezionare e di dare forma alla proposta avanzata al papa prima dell’invasione approvando la cosiddetta legge delle Guarentigie. Il pontefice però fu irremovibile e respinse anche quel provvedimento.
L’instabilità generata da questa crisi diplomatica preoccupava non poco entrambi i regni, ma gli avvenimenti che da quel momento in poi si scatenarono in Europa e nel mondo lasciarono di fatto la questione pressochè di esclusiva competenza delle diplomazie e dei primi servizi di informazione. Sostanzialmente però non cambiò nulla fino a quando il Duce non intraprese il lungo e delicato lavorio di trattative che portarono alla stesura dei Patti Lateranensi del 1929.
Tre documenti che sancivano la nascita dello Stato indipendente e neutrale del Vaticano, stabilivano le relazioni tra Stato e Chiesa in Italia e garantivano un rimborso finanziario per compensare gli espropri del secolo precedente. Di fatto erano semplicemente state modernizzate le proposte raccolte nella legge delle Guarentigie e questa volta Pio XI (papa Ratti 1922-1939), che succedeva ad un papa più illuminato come Benedetto XV (papa Della Chiesa 1914-1922) che, in nome della pace aveva rifiutato strategie e compromissioni, decise che era giunto il tempo di ridare lustro al potere temporale della Chiesa.
La presa del governo da parte di Mussolini, che avvenne contro poche e debolissime opposizioni, venne salutata dal pontefice con gran favore soprattutto a fronte dei disordini sociali che agitavano il Paese e della rivoluzione politica di sinistra scaturita dai moti russi di pochi anni addietro. Per incoraggiare gli accordi con il Duce, individuato come l’unico dotato di quel polso necessario a garantire ordine al Paese, la Santa Sede aveva cominciato con il contrastare tenacemente qualsiasi forza politica di stampo cattolico che si opponesse alla dittatura emergente a partire dal Partito Popolare Italiano il cui ispiratore, l’antifascista Luigi Sturzo, venne costretto a lasciare il Paese. Nel 1924 venne vietato ai clericali di appartenere a qualsiasi partito politico e il papa prese pubblicamente le distanze dal Partito Popolare che si sciolse definitivamente poco dopo, e fu ben accorto a voltarsi dall’altra parte quando il regime ricorse alla violenza per reprimere i suoi nemici. Nemmeno per l’assassinio Matteotti e per la conseguente crisi che ne scaturì il papa spese una parola di più della semplice denuncia per l’omicidio salvo poi prendere le difese del Duce dagli addebiti che gli venivano mossi.
Come in tutti i matrimoni di convenienza la luna di miele finisce però nel momento in cui cambiano gli interessi. Una volta sistemata per sempre la ”questione romana”, che rappresentava un punto di debolezza per il regime, Mussolini cominciò a mal tollerare l’ingerenza religiosa nel suo territorio anche perchè le associazioni cattoliche erano di fatto le uniche fuori dal controllo fascista. Così come aveva fatto per la mafia militare il Duce cominciò a cercare di sbarazzarsi di quel potere ”altro” attaccando l’Azione cattolica fino al punto di portare Pio XI, nel 1931, ad emettere l’enciclica Non abbiamo bisogno nella quale difendeva il mondo cattolico e muoveva le prime critiche alla violenza e all’ingerenza del fascismo nella vita dei cittadini.
Tuttavia il pontefice non adottò un’aperta azione di ostilità nei confronti del regime anzi sostenne la ”necessità di resistere con un fronte unico (clerico-fascista) alle schiere dei partiti sovversivi”. Per il resto si limitò a difendere la dottrina cattolica e i beni ecclesiastici dal paganesimo hitleriano e dal grande nemico: il comunismo.
Con un passato di ambasciatore e con gran doti di mediatore politico Pio XI aveva rinsaldato i rapporti della Chiesa con molti Paesi esteri rinforzando così non solo la sovranità del Vaticano ma anche privilegi e concessioni, anche economiche, degne di un qualsiasi altro tipo di governo. Una volta stabilito che il pontefice era da trattarsi al pari di ogni capo di Stato e che chiunque attentasse la sua persona doveva essere punito con la morte il papa potè dedicarsi agli affari interni. Nascono e prosperano infatti in quegli anni tra le mura vaticane tanti esercizi commerciali creando un notevole flusso economico della cui gestione si occupa il Cor, (Commissione per le opere di religione) come vero e proprio istituto bancario.
Per far fruttare gli ingenti gettiti di denaro ricevuti in indennità da Mussolini invece il papa fondò appositamente l’Amministrazione Speciale affidandola ad un esperto e scaltro laico, l’ingegnere ma soprattutto il finanziere Bernardino Nogara. Fratello di un vescovo il professionista accettò l’incarico a patto di poter investire il denaro santo in tutto il mondo senza alcun condizionamento religioso.
Ottenuto il via libera Nogara parteciperà infatti senza alcuno scrupolo alle più redditizie speculazioni del tempo e getterà le basi del potentissimo capitalismo cattolico che più tardi verrà definito, non si sa se a titolo ironico: finanza bianca.
Italgas, Breda, Dalmine, Reggiane, Ferrorotaie, Società elettriche Italia centrale, Società agricola lombarda Milano furono solo le prime aziende di cui Nogara acquisì le quote, seguiranno poi l’Iri e l’accurata rete di strettissime relazioni con gli istituti bancari più prestigiosi e potenti del mondo: Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, Chase Manhattan, Continental Illinois…
I frutti degli investimenti si moltiplicarono all’infinito, altro che pani e pesci…Con quell’abnorme massa di denaro tra le mani Nogara partì alla conquista delle più importanti e influenti aziende pubbliche e private d’Italia e d’Europa, comprese le aziende che fabbricano armi e contraccettivi.
”Prodotti come bombe, carri armati e contraccettivi – scrive David Yallop nel suo celebre ”In nome di Dio” – potevano essere condannate dal pulpito, ma le azioni che Nogara comprava aiutarono a riempire le casse di San Pietro”.
E fu proprio con una buona quantità di armi proveniente dalla fabbrica di munizioni acquistata da Nogara che la Santa Sede appoggiò la campagna di Mussolini in Etiopia nel 1935. In effetti oltre che di una manovra economica si trattava anche di una mossa politica attraverso la quale la Chiesa otteneva così in cambio il sostegno per la sua missione di evangelizzazione in Russia.
Man mano però che infuriavano gli scontri e la guerra si faceva sempre più feroce il papa cominciava ad avvertire l’esigenza di intervenire direttamente.
Nel ’39, in occasione del decennale della conciliazione tra Stato e Chiesa, Pio XI chiamò a Roma tutto l’episcopato italiano in assemblea per pronunciare un discorso in cui aveva intenzione di denunciare la violazione dei ”Patti Lateranensi” da parte del governo italiano e le persecuzioni razziali nella Germania nazista.
Un discorso che non ebbe mai modo di pronunciare perchè morì la notte precedente l’incontro di infarto. Una morte, come spesso accade, ”al momento giusto”.
Sulla provvidenziale scomparsa del papa il cardinale Tisserant scrisse un memoriale nel quale affermava che il pontefice era stato avvelenato tramite iniezione da Francesco Petacci, padre di Claretta, l’amante di Mussolini, su ordine diretto del Duce che temeva la scomunica.
Un altro giallo che si va ad aggiungere ai molti custoditi nelle mura vaticane. Il conclave, rapidissimo, elesse Pio XII, quel Eugenio Pacelli che trattenne il suo predecessore dal richiamare il nunzio da Berlino rompendo così le relazioni con la Germania.
In effetti Pio XII aveva sempre avuto un certo debole per quella patria in cui da nunzio apostolico aveva appreso le arti della diplomazia e sviluppato la sua avversione per il marxismo. Ed è proprio per la sua attitudine a mediare nell’epoca più tragica del recente passato segnata dalla guerra e dalle follie razziali che viene ancor oggi ricordato come il papa dei dittatori. In molti lo difendono ricordando che salvò la vita a molti ebrei e perseguitati facendoli rifugiare nelle chiese e che accorse incurante per la sua incolumità tra le rovine dei bombardamenti a S. Lorenzo fuori le mura, ma sono gli stessi storici cattolici a ricordare come questo fosse il minimo per il Vicario di Cristo che invece fece poco e malissimo per incidere sulle cause delle grandi tragedie dittatoriali di quel periodo.
A cominciare dal messaggio inviato nel ’39 alla Spagna dei massacri di Franco in cui dimenticando le migliaia di cadaveri si felicitava con ”la parte sana del popolo spagnolo” per essere entrata in guerra ”allo scopo di difendere l’ideale della fede e della civiltà cristiana”, insomma giustificava la guerra ritenendolo come ”la prova più alta che si possa dare sulla supremazia della ragione e dello spirito”.
Nel ’41 Hitler invase la Jugoslavia aprendo la strada per il potere ai croati fascisti: gli Ustascia. Guidati da Ante Pavel dichiararono la propria indipendenza e la ferma volontà di voler instaurare una Croazia cattolica che ottennero con uno sterminio massivo e sistematico di serbi ortodossi, zingari, ebrei e comunisti. Del resto un paio d’anni prima mentre si intratteneva a Roma con l’arcivescovo Alojzije Stepinac il papa aveva definito gli Ustascia ”l’avanguardia del cristianesimo”.
Con l’aiuto di un esercito di francescani, per quanto queste due parole possano stridere e far rivoltare nella tomba il povero San Francesco, i ”cristiani modello” di Pavel e del suo vice Andria Artukov, l’Himmler dei Balcani, sterminarono 800.000 persone e 100.000 solo nei campi di concentramento di Jasenivac.
Benchè informato del genocidio dallo stesso Stepinac il papa non profferì parola.
L’arcivescovo di Zagabria sarà beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998 e i due dittatori Pavel e Artukov si nasconderanno in Italia in un monastero romano sotto la personale protezione del vicesegretario di Stato Vaticano, Giovan Battista Montini, futuro papa Paolo VI, per poi riparare in America Latina a godersi l’immenso patrimonio depredato alle loro vittime.
Un drammatico revival della Santa Inquisizione contro gli eretici e i dissidenti. Ma non era stato detto e scritto ”Non uccidere!”?
Gli addebiti più severi all’ operato di Pio XII vengono però dall’interno, dai fedeli che, in quei terribili anni di persecuzioni e campi di concentramento, invocavano prese di posizioni dure e forti da parte del vicario di Cristo e persino l’offerta del martirio spontaneo da parte del papa pur di evitare, ridurre, scongiurare lo sterminio.
”Un sacrificio – scrive Claudio Rendina ne ”I papi, storie e segreti” – che avrebbe illuminato di santità il papato come ai tempi delle sue origini; il mondo avrebbe visto, avrebbe capito il significato profondo del suo sacrificio. Chi non credeva forse avrebbe scoperto la fede o l’avrebbe ritrovata.” ”Se così non è stato – riflette il laico Dino Buzzati nella prefazione allo stesso libro – è segno che è intervenuto l’opportunismo, il problema preminente del ‘sussistere’. E certe cadute dello spirito si pagano”.
Le parole che però segnarono la condanna morale di Pio XII furono quelle del teologo gesuita Alfred Delp, arrestato nel 1944 dopo il fallito attentato a Hitler, e impiccato a Ploetzense nel ’45 senza che da Roma si alzasse un sussurro: ”Un’onesta storia della Chiesa dovrà scrivere amari capitoli sui contributi delle Chiese al sorgere dell’uomo massa, del collettivismo, del potere dittatoriale”.
Se Pio XII decise per il silenzio contro i crimini nazisti, guardandosi bene dal minacciare almeno una qualche scomunica in difesa dei martiri cristiani e di milioni di innocenti, non mancò invece di far sentire forte e chiara la condanna, benchè a ragione, contro le persecuzioni dei cristiani nei paesi dell’Est vittime dell’odiato comunismo dei senza-dio. Fece affiggere in tutte le parrocchie la scomunica per chiunque aderisse o si avvicinasse al Partito Comunista e trasformò l’anno santo in una dichiarazione di guerra fredda agli infedeli.
Benchè oggi si abbia il coraggio di proporre la beatificazione di un papa come Pacelli nessuno può sostenere che visse ad imitazione del Gesù Cristo dei Vangeli. Tuttavia gli va senza alcun dubbio attribuito il merito di aver restituito allo stato pontificio l’antica potenza e tutte le alleanze, politiche e non, necessarie per farla tornare ad essere un soggetto politico ed economico con cui dover fare i conti sul piano nazionale ed internazionale.
E’ infatti sotto il suo pontificato che nasce lo Ior, in sostituzione del Cor, nel giugno del 1942 e che vengono concesse alla Banca Vaticana tutte quelle scappatoie che da una parte l’hanno resa immensamente ricca e dall’altra in pari misura ancor oggi guardata con sospetto. A guidarla un altro spregiudicato mago della finanza, il principe Massimo Spada affiancato da altri due personaggi che faranno molto parlare di sè: Luigi Mennini e Pellegrino De Stroebel.
Trucco e ritoccoA metà degli anni Ottanta il consenso di cui gode la Chiesa Cattolica è in vertiginoso calo. Paolo VI (papa Montini 1963-1978), dopo aver dato un’apparente continuità all’apertura sociale del Vangelo voluta fortemente da Giovanni XXIII (papa Roncalli 1958-1963), si è ritirato su posizioni conservatrici che tuttavia non hanno preservato la Chiesa dagli scandali di quel tempo.
E’ con Montini infatti che i banchieri Michele Sindona prima e Roberto Calvi poi entrano in stretta e pericolosa relazione con lo Ior che li stritolerà in un turbinio di loschi affari tra mafia, massoneria, traffici illeciti e speculazioni finanziarie dal tragico epilogo.
L’extraterritorialità del Vaticano non ha mai consentito di accertare con esattezza le responsabilità dello Ior e nemmeno dei protagonisti di questa faccenda come Monsignor Marcinkus che rimase al riparo delle mura leonine il tempo necessario per far placare le acque e andare a morire nella natia America come un comune curato.
La segretezza che da sempre circonda le vicende di santa romana chiesa non ne hanno certo favorito la reputazione e le dichiarazioni di molti testimoni e collaboratori di giustizia che convergono pericolosamente sono rimaste incontestate.
Si è cercato con un’esperta manovra di maquillage prima di minimizzare le accuse e poi di restituire prestigio alla banca vaticana chiamando a dirigerla Angelo Caloia, da tutti riconosciuto come ”gentiluomo della finanza bianca”.
Nel famoso libro di Gian Carlo Galli ”Finanza Bianca” il presidente dello Ior, in procinto di dimettersi dal suo incarico proprio mentre scriviamo, spiega le ragioni della finanza cattolica appunto, nata per contrastare quella laico-massonica una volta rappresentata da Enrico Cuccia e Mediobanca e per tutelare gli interessi economici, e di potere aggiungiamo noi, della Chiesa Cattolica. Un interessante punto di vista che però poco si adatta ai fatti emersi poi, seppur a fatica, col tempo.
Caloia non si cura di spiegare infatti, dando per scontato che siano semplici dicerie, perchè anche la banca vaticana viene considerata (ancora nel 2008 nda) dagli esperti dell’Unicri (l’organismo delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine) una delle ”lavanderie” di denaro di provenienza illecita e soprattutto perchè Francesco Marino Mannoia, il collaboratore di giustizia di Cosa Nostra ritenuto da Giovanni Falcone fra i più attendibili, sostiene che Licio Gelli, massone di nota fama, investiva nello Ior anche i capitali dei corleonesi. Versione confermata anche da un’altra decina di cosiddetti ”pentiti”, anche di epoche più recenti. Da Francesco Di Carlo, a Salvatore Cancemi, a Enzo Calcara e da ultimo Antonino Giuffrè affermano con certezza che sia Calvi sia Sindona avevano riciclato i soldi della mafia anche nelle segrete stanze dello Ior.
In effetti quella torre del ‘400 fatta costruire da Nicolò V, rimasta pressochè inalterata nel tempo a cui si accede tramite un’anonima porticina priva di alcuna insegna, dotata di un unico sportello e un unico bancomat, in cui le transazioni di denaro avvengono solo tramite bonifico, contante o lingotti d’oro è quanto di meglio la riservatezza possa richiedere. Non v’è da meravigliarsi quindi che siffatta istituzione attiri correntisti molto facoltosi con esigenze di un certo riserbo e in questo senso la clientela non scarseggia visto che sono stimati, nei misteriosi caveaux, depositi per circa 5 miliardi di euro.
Certo l’esperienza ha insegnato a muoversi con maggior cautela e, nella buona fede di molti, di limitare al minimo le frequentazioni meno appropriate. Tuttavia oggigiorno è veramente difficile distinguere e persino definire il criminale moderno dato che anche i mafiosi, pure loro per esperienza, hanno assoldato stabilmente uomini in giacca e cravatta e non hanno fatto null’altro che apprendere gli avveniristici nuovi strumenti della truffa testati e messi a punto proprio da rinomati esponenti della finanza bianca come, per fare esempi noti, Calisto Tanzi (crack Parmalat con decine e decine di oneste famiglie gettate sul lastrico), Sergio Cragnotti e Gian Piero Fiorani di cui ci siamo a lungo occupati nella prima parte di questo lavoro.
Del resto cattolici o non cattolici, pecunia non olet.
Persino Caloia si è trovato nell’imbarazzante posizione di dover raccontare quando venne chiamato dal capo della procura di Milano Francesco Saverio Borrelli a far luce su quella tranche della maxi tangente Enimont, di 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, che transitò dallo Ior per finire su un conto cifrato per ordine di Luigi Bisignani. Un vecchio cliente, piduista, giornalista, legato al gruppo Ferruzzi e condannato per la questione Enimont a 3 anni e 4 mesi e di recente rispuntato nell’inchiesta Why not condotta dal pm Luigi De Magistris.
Per dirimere la faccenda lo Ior si trincerò dietro la rogatoria internazionale dato che, come ”ente fondante della Città del Vaticano”, è tutelato dal Concordato. Un muro fino ad oggi risultato totalmente impenetrabile. E anche questa è una garanzia unica offerta ai propri clienti.
Oggi capisco ancora meglio la reazione che ebbe il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi quando, mentre lo intervistavo per il libro che stavamo scrivendo assieme (Riina mi fece i nomi di…Ed Massari, 2002), saltò letteralmente dalla sedia quando gli chiesi quali fossero, se ce ne fossero, i legami tra la criminalità e il Vaticano. Si chiuse a riccio e semplicemente con quel suo fare un po’ teatrale mi disse: ”Ma Giorgio lei vuole morire?”.
Sicuramente all’interno del Vaticano, come del resto in tutte le istituzioni di potere, vi sono correnti contrarie, migliori e peggiori, che nell’equilibrio opportunistico delle parti hanno restaurato la facciata al vecchio torrione, almeno quella più esposta. Tuttavia tra miti e leggende non può essere mistificato, nemmeno con l’abile fumo d’incenso della Chiesa Cattolica, che dietro quei misteri mai svelati, hanno lavorato uomini, padri di famiglia, mariti, figli che per avere avuto l’ardire di voler andare oltre al laborioso maquillage hanno perso la vita, come il commissario liquidatore della banca di Sindona Giorgio Ambrosoli.
I fatti di quel tempo, dicevamo, se si vanno ad aggiungere ai referendum per l’aborto e per il divorzio, intaccarono pesantemente il consenso popolare della chiesa. Oltre ad un rilancio di immagine, culminato poi con la carismatica e molto mediatica figura di Giovanni Paolo II, vi era il bisogno impellente di rimpinguare le casse.
Checchè se ne dica il dissesto dell’Ambrosiano aveva trascinato anche lo Ior che dovette versare 406 milioni di dollari ai liquidatori giacchè Ambrosoli non si era fatto incantare dai loquaci giochi di prestigio dei monsignori e aveva dichiarato la banca vaticana insolvente. Una cifra considerevole, ma nulla in confronto a quanto dovuto, stimato dall’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta in 1.159 milioni di dollari di allora.
Occorreva correre ai ripari, urgentemente.
La Provvidenza venne tramite la firma del Concordato siglato da Bettino Craxi che, dietro il paravento socialista della ”libera chiesa in libero stato”, assicurava nelle mani della abile amministrazione vaticana lo strumento che l’avrebbe risollevata dal tracollo.
Le abili mani, nello specifico, sono quelle del cardinale Camillo Ruini insediatosi a capo della Cei (Conferenza episcopale italiana) nel 1986 e lo strumento, il tanto famoso quanto sconosciuto otto per mille.
Un avverbio miracoloso
A stabilire che l’otto per mille del gettito irpef dovesse andare alla Chiesa Cattolica fu Bettino Craxi, anch’egli più che lambito dal caso Calvi. Lo scopo era di sostituire la ”congrua” ovvero lo stipendio dei sacerdoti così come assicurato dai patti lateranensi. Spiega Curzio Maltese nella lunga inchiesta a puntate sull’inserto R2 di Repubblica e raccolta poi nel suo libro ”La Questua” (Ed. Feltrinelli) che nei primi anni di entrata in vigore dei nuovi accordi lo Stato si era impegnato a integrare le entrate dell’8/1000 fino alla cifra di 407 miliardi di lire nel caso ”il raccolto” non fosse stato sufficiente per sostentare i preti. Da parte sua il Vaticano, si impegnava ad accettare che una commissione apposita valutasse l’ipotesi di ridurre quella cifra qualora non fosse più stato necessario. Dal 1990, anno in cui il sistema dell’8/1000 entra a pieno regime fino al 2007 – precisa Maltese – l’incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per i preti è scesa della metà a causa della crisi delle vocazioni. Inutile dire che non vi è stato mai nessun adeguamento.
Solo il 40% dei cittadini esplicita la destinazione del proprio 8 /1000. Del restante 60% che lo voglia o meno, che lo sappia o meno, il 90% dei propri 8/1000 non espressi va alla Chiesa Cattolica. A stabilirlo è l’astuto art.37 del concordato in cui è sancito che le quote non espresse vadano riassegnate in base alla percentuale delle scelte invece espresse. E nel caso dell’Italia la maggioranza delle donazioni è alla Chiesa Cattolica.
Come se non bastasse lo stato anticipa alla Cei il 90% sull’introito dell’anno successivo, cosa che le altre religioni si possono solo sognare. In evidente violazione della Costituzione che pone sullo stesso livello tutte le confessioni religiose.
Oggi si calcola che la Chiesa ottenga in questo modo circa 1 miliardo di euro. La domanda logica e conseguente è quale uso fa di questo denaro prelevato dagli italiani volenti o nolenti. Risposta niente affatto facile. Ci ha provato Maltese analizzando i pochi dati pubblici che ha potuto assemblare poichè come si è detto di bilanci chiari e trasparenti, ai quali sono obbligati tutti gli enti del terzo settore (ma anche del primo e del secondo) in Italia, neanche a parlarne.
Partiamo quindi da ciò che non può sottrarsi agli occhi intanto: la pubblicità.
Chi di noi non è rimasto affascinato dal megaspot a reti unificate sull’8/1000 dedicato alla tragedia dello Tzunami?
La musica di Morricone, le magistrali riprese suggestive del mare minaccioso e i poveri superstiti che cercano di ricominciare a vivere con quegli esigui mezzi…ma grazie al contributo degli italiani, molto già è stato fatto, per molti! Fine dello spot, fiato sospeso e una punta di lacrime agli occhi.
Bene, per realizzare questo capolavoro cinematografico la Cei, secondo il Sole 24ore, ha speso 9 milioni di Euro avvalendosi della compagnia pubblicitaria di fiducia, la Saatchi & Saatchi, una multinazionale tra le più rinomate nel campo. Alle vittime dello Tzunami di questa cifra è andato un terzo delle spese pubblicitarie, tre milioni di Euro, (fonte Cei), ma lo 0.3% di quanto raccolto con l’8/1000. Nello stesso anno, scrive Maltese, l’Ucei, l’unione delle comunità ebraiche in Italia, versò per lo Sri Lanka e l’Indonesia 200 mila euro, il 6% di quanto destinatogli dall’Irpef. In proporzione un’offerta di 20 volte superiore e in un’area dove non esistono comunità ebraiche.
Abbagliati dalle magnifiche campagne pubblicitarie gli italiani sono convinti che i soldi raccolti con la formula dell’otto per mille vadano ad opere di carità sia in Italia che nel Terzomondo; in realtà solo il 20% del ”raccolto” va in quella direzione (fonte Avvenire), il restante 80% rimane alla Chiesa Cattolica. Secondo le stime più prudenti rese note dalla stessa Cei su 5 euro versati dai contribuenti, 1 viene speso per interventi di carità in Italia (12%) e all’estero (8%), gli altri 4 servono all’autofinanziamento. Una volta stipendiati i circa 39.000 sacerdoti italiani nelle casse della Cei rimane mezzo miliardo di euro del cui scopo si hanno notizie imprecise relative a ”esigenze di culto”.
Mentre negli altri paesi europei vige la regola della decima, che presuppone l’offerta volontaria dei fedeli, in Italia si deve ricorrere a questo arzigogolato marchingegno. Le chiese tedesche e anche quelle cattoliche statunitensi sono ricchissime grazie alle apportazioni volontarie, ma qui da noi si è molto consapevoli che si raccoglierebbe poco o nulla. Infatti calcolando i soli contributi volontari non si toccano i venti milioni di euro l’anno, circa 1 euro a testa che se si divide per i 50 milioni di cattolici italiani di cui parla la chiesa, fa circa 40 centesimi a testa.
Delle due l’una, o non sono così tanti i praticanti oppure non sono così propensi a mantenere santa madre Chiesa. Eppure obtorto collo, lo fanno o non sanno di farlo. Un trattamento nemmeno lontanamente paragonabile viene riservato invece alle associazioni di volontariato o alla ricerca per cui è prevista la destinazione del 5/1000.
Nel 2006, snocciola ancora Maltese, l’iniziativa ebbe un notevole successo, vi aderì infatti il 61% degli italiani con una donazione, questa sì volontaria, di oltre 400 milioni di euro. Tuttavia la finanziaria del 2007 fissava un tetto massimo di 250 milioni e ciò che eccedeva veniva trattenuto dall’erario. Cioè ”con una mano lo stato regala 600 milioni di quote non espresse alla Cei e con l’altra sottrae 150 milioni di quote espresse a onlus e ricerca”.
Tutto questo ovviamente avviene sotto gli occhi, e soprattutto sulle spalle, degli italiani ignari la cui informazione infatti è impostata molto più su spot e titoloni sensazionalistici che non sui semplici fatti.
Ecco qualche altro dato. Attenendosi ad una stima prudente la Chiesa Cattolica costa ai contribuenti italiani 4 miliardi e mezzo di euro tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’Otto per mille, poi i 950 milioni per gli stipendi dei 22.000 insegnanti dell’ora di religione, altri 700 mila dagli enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Quest’ultima cifra sarebbe in realtà molto superiore. Nel solo 2006 mentre la finanziaria tagliava i finanziamenti alla scuola pubblica, stanziava invece 532,3 milioni di euro a quella privata, le convenzioni con gli ospedali cattolici ammontavano ad 1 miliardo di euro, con gli istituti di ricerca a 420 milioni di euro, con le case di cura a 250 milioni.
A questa già mirabolante cifra sono da aggiungere almeno altri due miliardi di vantaggi fiscali di ogni genere. Si calcolano, sempre con assoluta circospezione, tra i 400 e i 700 milioni per il mancato incasso per l’Ici, 500 milioni lo sconto per il 50% su Ires, Irap e altre imposte e ulteriori 600 milioni per l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico.
Quelle pochissime voci, anche dal mondo cattolico, che hanno osato muovere una qualsivoglia contestazione a questo stato di vergognoso privilegio è stata per lo più isolata e zittita, la chiesa trova sempre il partito più potente di turno a spalleggiare le sue richieste anche quando sono palesemente avverse all’interesse dello stesso Stato.
Sulla questione Ici non pagato si è riusciti a sollevare qualche polemica, ma di poco o nessun valore rispetto all’entità del danno all’erario.
In seguito ad una sentenza della Cassazione emessa nel 2004 la chiesa avrebbe dovuto pagare quanto dovuto allo Stato, arretrati compresi per 5 anni, ma con un pronto intervento vincolato alla fiducia, il governo Berlusconi decideva l’esenzione totale dell’Ici dalle attività commerciali degli enti religiosi e delle onlus. Nel 2006 il Governo Prodi faceva finta di porre rimedio ma in realtà ripristinava l’Ici solo per le associazioni perchè un provvidenziale avverbio consentiva e consente tuttora al Vaticano di raggirare la legge.
L’art. 39 del decreto Bersani prevede infatti che l’Ici vada pagato per gli immobili in cui vengono svolte ”esclusivamente”, e questo è l’avverbio della truffa, attività commerciali. Cosa significa in pratica? E’ sufficiente che presso il medesimo immobile in cui è presente l’esercizio commerciale vi sia anche un luogo di culto, magari un altarino con una Madonnina presso cui recitare un veloce Ave Maria, per essere esentato dall’Ici. Ovviamente inutili i tentativi di emendamenti riparatori e tanto meno i richiami dell’Europa per il rispetto delle leggi sulla concorrenza sleale. Questo piccolo lucrosissimo inghippo infatti consente alla Chiesa, per esempio, di offrire alla propria clientela lussuose camere d’albergo con vista mozzafiato sulla città eterna a prezzi assolutamente imbattibili.
Se si clicca sul sito www.istitutireligiosi.org si accede ad un modesto ma ordinato portale che raccoglie tutte le informazioni sugli istituti religiosi, le case di accoglienza e le case per ferie di proprietà della Chiesa Cattolica disseminate su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di antiche case o di monasteri ristrutturati e trasformati in hotel e bed&breakfast, tutti chiaramente con annessa la cappella, oltre a tutti i più moderni e richiesti confort.
Un esempio per tutti citato da Maltese è quello dell’albergo delle Brigidine che sorge nella bellissima Piazza Farnese a Roma, proprio dietro la suggestiva Campo dei Fiori dove troneggia la statua di Giordano Bruno, bruciato in piazza da Santa romana Chiesa.
Il depliant pubblicizza il ”magnifico palazzo del Quattrocento”, quotato 5 stelle nei siti turistici e caldamente consigliato dai visitatori per il rapporto qualità prezzo e la grande accoglienza riservata dalle suore che parlano tutte inglese. Una stanza va dai 120 ai 190 euro, un po’ più di una pensione a tre stelle in qualsiasi posto di mare o montagna. Al catasto romano la Casa di Santa Brigida, 4 mila metri quadri con terrazzo nella zona più cara di Roma, è registrata nella categoria ”convitti” e non paga una lira d’Ici.
Un calcolo esatto di quanto possa ammontare questa mancata tassa pare pressochè impossibile poichè nessuno sa o può stimare la reale entità dei possedimenti della Chiesa Cattolica, visto che non esiste un censimento esatto, in Italia e a quanto pare nemmeno in Vaticano, fermo restando che non essendo tenuto a fornire alcuna spiegazione a entità estere non ha nessuna attitudine a collaborare.
Secondo l’inchiesta pubblicata da Sandro Orlando sulla rivista economica Il Mondo (18 maggio 2007) dall’appropriato titolo ”San Mattone” il 20, 22% circa dell’intero patrimonio italiano fa capo alla Chiesa; un quarto di Roma è intestato a diocesi, congregazioni religiose, enti e società del Vaticano. Solo le proprietà che fanno capo a Propaganda Fide (il ministero degli esteri del Vaticano che gestisce le missioni nel mondo) ammontano a 8-9 miliardi di euro. Del censibile, invece, si contano nella sola capitale: 400 istituti di suore, 300 parrocchie, 250 scuole cattoliche, 200 chiese non parrocchiali, 90 istituti religiosi, 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 20 case di riposo e altrettanti seminari, 18 ospedali, 16 conventi, 13 oratori, 10 confraternite, 6 ospizi. Sono quasi 2000 gli enti religiosi residenti nella capitale e risultano proprietari di circa 20.000 terreni e fabbricati”.
Dal 2002 con la nomina a presidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) del cardinale Attilio Nicora il Vaticano ha cominciato ad interessarsi con un certo impegno al mercato immobiliare. Tra il 2004 e il 2005 il trading di questo settore ha fruttato alla Santa Sede quasi 50 milioni di euro con la vendita di palazzi, appartamenti e conventi. Vanno contate poi le donazioni di beni immobiliari, circa 8000 solo nel 2006 a Roma città e 3200 in provincia. Il gruppo Re spa che fa da intermediario per la Chiesa fattura da questa sola attività circa 30 milioni di euro.
Una parentesi a parte merita il capitolo sanità. Sono 4712 i centri di assistenza medica che fanno capo alla Chiesa Cattolica di cui 1853 ospedali e case di cura e 10 grandi ospedali tra i quali il policlinico Gemelli, considerato uno dei migliori d’Italia, il Bambin Gesù e la ”Casa di sollievo della sofferenza” fondato da Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Un primato anche d’eccellenza che classifica il Vaticano come il più grande imprenditore medico italiano sotto l’attenta direzione del cardinale Javier Lozzano Barragán. (la stampa 7 agosto 2008)
Per l’anno 2008 la regione Lazio ha stanziato 550 milioni di euro per il solo Gemelli, 16 milioni per il Dea, il dipartimento di emergenza sanitario e 71 milioni di euro al Campus Bio-Medico dell’Opus Dei.
Non può mancare in questa contabilità dell’opulenza il grande business del turismo religioso. Anche in questo caso i dati sono sconvolgenti. Secondo un’indagine di Trademark infatti la Chiesa controlla ogni anno un traffico di 40 milioni di presenze, 19 milioni di pernottamenti, oltre 200 mila posti letto in 3500 strutture per un giro di affari di 150milioni di euro solo nella capitale e di 4,5 miliardi complessivi, tre volte di più del maggior tour operator italiano.
Le origini di tanto successo sono lontane. Risalgono al 1933 quando il Vaticano fonda l’Orp, l’Opera romana pellegrinaggi, per gestire direttamente i viaggi della speranza di ammalati e non nei vari luoghi di culto. A presiederla è direttamente il vicario di Roma e come l’Apsa, avendo sede nella Città del Vaticano, gode del regime di extraterritorialità e quindi non ha l’obbligo di sottostare alle leggi italiane in materia di fisco, di igiene, di prevenzione…e neppure di presentare bilanci.
Così come per l’Ici lo Stato italiano favorisce la Chiesa anche su Irpef e Irap. Del resto i lavoratori della case religiose-alberghi sono per la maggiore suore, o preti, o volontari per cui non rappresentano un costo per le imposte sul lavoro dipendente. Per quella ”metà” che, a detta di Padre Atuire, attuale direttore dell’Orp, è invece costituita da esterni sono riservati precariato e turni a dir poco massacranti e praticamente nessuna tutela poichè le leggi pontificie sono alquanto imprecise sul punto. Probabilmente perchè ”non sono in grado di garantire le stesse prestazioni di suore e preti”. Tutto risparmio che ovviamente incide sulle tariffe alterando così il mercato del turismo.
Grazie all’accordo con la compagnia aerea Mistral, fondata dall’attore Bud Spencer, l’ORP garantisce voli low cost a tutti i fedeli che vogliono recarsi a pregare nei luoghi di culto europei e in terra santa. Si calcola che in occasione del 150esimo anniversario dell’apparizione di Fatima i devoti trasportati siano stati circa 150mila.
Nonostante gli affari vadano evidentemente a gonfie vele anche per questo ramo d’azienda il Vaticano conta sul sussiego di enti e comuni italiani. Le migliaia di chiese sparse per tutto il Paese sono sicuramente, nella maggior parte dei casi, un patrimonio storico ed artistico di grande valore e sono tutte di proprietà della Chiesa ma gli oneri per il mantenimento ed il restauro sono invece a carico dello Stato grazie, anche qui, ad una legge cavillosa secondo cui i comuni debbono versare l’8% degli oneri di urbanizzazione secondaria a ”enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica”. Tradotto, altri milioni di euro che vanno a sommarsi. Per il finanziamento dei soli oratori nell’anno 2008-2009 la Lombardia ha stanziato 10 milioni di euro, 12 milioni invece la regione Puglia, sbaragliando ogni record.
Ancora peggio se si apre il capitolo Europa, non solo l’Italia è in fondo alla classifica nello sfruttamento dei fondi europei per il recupero del patrimonio culturale ma li sfrutta in particolare per restaurare i beni della Chiesa. Una regione disastrata come la Sicilia che avrebbe un gran bisogno di ridare lustro alle sue molte bellezze architettoniche spende invece l’80-90% delle risorse per gli enti religiosi.
Poi oltre al danno la beffa: molti di questi beni rimessi a nuovo vengono rivenduti con profitti enormi per il Vaticano.
Ecomostri di Dio
L’investimento più massiccio di questi anni è stato indubbiamente a San Giovanni Rotondo.
Sulla figura di Padre Pio si è scritto e detto di tutto.
Oggi Santo e venerato, soprattutto grazie agli introiti che la sua straordinaria storia ancora oggi procura alle casse vaticane, è stato lungamente perseguitato con processi a dir poco sommari. Al centro di molte invidie per il grande afflusso di fedeli e di offerte il frate di Petrelcina ha subito ispezioni e indagini come il peggiore dei criminali con analisi mediche invasive e registrazione delle conversazioni private.
Un perplesso Benedetto XV invierà per chiarirsi le idee medici e ispettori. Una prima sentenza negativa sulle stimmate verrà da Padre Agostino Gemelli, l’eminente monsignore che appare tra i firmatari del ”Manifesto della razza” ed è considerato uno degli esponenti di spicco dell’antiebraismo spiritualista sbandierato dal regime fascista.
Il giudizio di un prelato di potere come Gemelli peserà moltissimo sul futuro di Padre Pio al quale sotto il pontificato di Pio XI e Pio XII verrà proibito di celebrare messa e di confessare. Solo nel 1984, anche in una fase di necessità economiche da parte del Vaticano, Pio XII concederà al frate di celebrare messa, ma solo in latino.
Nonostante i divieti dei papi i pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo non cesseranno mai del tutto attirando anche personalità importanti come i reali di Spagna, i Borbone di Parma, Maria Josè e Eugenio di Savoia.
Giovanni XXIII chiederà poi un’ulteriore verifica sul frate delle stimmate. Gli saranno riferiti di incontri poco commendevoli con diverse donne di cui ci sarebbero state le prove registrate. Il Papa non ascolterà mai quei nastri ma lascerà di suo pugno un parere molto severo sul frate sebbene con un inciso, si vera sunt quae referentur (se è vero quanto riferito nda).
Tempo dopo, nel 1961, papa Roncalli tonerà ad informarsi sulla veridicità di quelle prove e monsignor Andrea Cesarano gli spiegherà che quei baci di cui gli avevano chiacchierato riguardavano i saluti che Padre Pio si scambiava con la propria sorella.
Sarà poi Papa Giovanni Paolo II a riabilitare definitivamente la sua figura anche perchè la storia narra di un incontro in cui il frate predisse ad un giovane Carol Wojtyla il suo lungo pontificato. Ciò che è evidente agli occhi di tutti, fuori di polemiche, è il massiccio sfruttamento della figura di Padre Pio.
La sua esperienza mistica, nella quale io credo fermamente, è diventata oggi il più grande business dei tempi moderni, con tanto di macabra riesumazione ed esposizione delle sacre e martoriate spoglie.
Grazie all’attrattiva di San Giovanni Rotondo dove nel giro di pochi anni sono spuntati 200 alberghi, più di 100 ristoranti, decine di parcheggi e persino la sala Bingo – ricorda ancora Maltese Ânel decennio 1995-2005 la Puglia è balzata al primo posto fra le regioni italiane per nuove strutture alberghiere.
Gli stanziamenti statali sono piovuti come la manna dal Cielo, ma il ”miracolo” della moltiplicazione, questa volta, è durato ben poco. Pian piano l’onda prospera del Giubileo è andata scemando riducendo il periodo di occupazione alberghiera di soli 100 giorni l’anno.
Un danno enorme per le decine e decine di imprenditori che si sono visti precludere anche la possibilità di convertire la destinazione d’uso in edilizia privata a causa della convenzione stipulata con il comune che li vincola per almeno 25 anni. L’unico ad essere riuscito ad aggirare l’ostacolo è come sempre il Vaticano il cui commissario speciale inviato dalla Santa Sede per appurare le molte irregolarità nella gestione dei fondi operata dai frati cappuccini, Domenico D’Ambrosio, ha ottenuto di cambiare la destinazione d’uso della Casa per anziani in 250 mini appartamenti. Per tutti gli altri niente da fare.
Ed è recentissima la polemica suscitata dal progetto di edificare un santuario da mille posti a Santa Maria di Leuca (Lecce) sullo splendido ultimo lembo di terra italiana. Gli ambientalisti che oppongono una strenua protesta lo hanno già ribattezzato ”Teomostro” , o ”Mostro di Dio” accusando l’impatto ambientale che una mastodontica struttura di quel genere apporterebbe alla delicata e magnifica costa. Nulla da obiettare invece per il comune che, fiutando il business, ha concesso i primi permessi a don Giuseppe Stendardo, parroco del luogo, determinato più che mai a vedere realizzato il suo sogno di lasciare ai posteri una grande opera. Sostiene che la basilica come è oggi non sia sufficientemente ampia per accogliere i fedeli tanto da costringerlo a celebrar messa otto volte al giorno.
Replicano gli ambientalisti che in realtà tutto questo flusso ci sarebbe solo per due mesi all’anno e chiedono che l’opera da 7 milioni di euro, 22mila metri cubi e 13 metri di altezza sia fermata. Il rischio di un altro fallimento come a San Giovanni Rotondo è alto, ma la prospettiva di una pioggia di stanziamenti e possibilità di incrementare il turismo, anche se solo nella bella stagione, sembra avere la meglio.
Non posso fare a meno però di chiedermi con quale senso di coscienza il sovrano di cotanto impero retto su gabole, complicati equilibrismi e mastodontiche contraddizioni possa chiedere, ogni domenica, sostegno e attenzione per le famiglie. Tutte quelle famiglie schiacciate dalle difficoltà della vita quotidiana che davvero non hanno che da pregare per poter vivere decorosamente.
Octopus Dei
Sono in molti a sostenere che senza l’aiuto economico e finanziario dell’Opus Dei la Chiesa Cattolica non si sarebbe potuta riprendere dal crack dell’Ambrosiano. Sarebbero stati i milioni di dollari messi a disposizione da questa occulta e inquietante ”prelatura personale” a salvare le casse vaticane in cambio della ”santità” del suo fondatore Josè Maria Escrivá de Balaguer.
Non è facile ricostruire la storia dell’Opera di dio poichè la sua caratteristica principale è la segretezza, così come volle il suo creatore che, assicura, fu ispirato in questa sua missione direttamente da Dio apparsogli in una visione. Siamo nel 1928 a Madrid dove il giovane sacerdote si è appena trasferito per conseguire il dottorato in diritto.
Quando scoppia la guerra Escrivá sfugge alle persecuzioni, attraversa i pirenei e si rifugia in Francia. Nel sito ufficiale dell’ Opus Dei, sezione italiana, la biografia di San Josè omette di citare le eroiche gesta di quei membri della prelatura che si arruolarono nella Divisione Azul, l’armata di
40.000 volontari spagnoli inviata dal dittatore Francisco Franco per affiancare l’esercito tedesco impegnato in Unione Sovietica contro le truppe rosse. L’idea di arruolare volontari aveva consentito a Franco di mantenere una posizione di formale neutralità nella seconda guerra mondiale e nello stesso tempo di ricambiare Hitler per il suo contributo prestato durante la guerra civile spagnola.
Questo fervore contro i senza-dio aveva colpito molto favorevolmente papa Pio XII che accolse con gioia il franchista Escrivá a Roma nel 1946. Qui ottiene il permesso per fondare Collegio romano della santa croce, un istituto di formazione pastorale per i fedeli dell’Opus Dei. Non è che l’inizio di un lungo percorso; Josè Maria ha degli obiettivi molto chiari in testa e li raggiungerà uno per uno anche dopo la sua morte.
Il primo: ottiene dal papa di poter ammettere all’Opus Dei le persone sposate così come di poter raccogliere l’adesione dei sacerdoti diocesani che operano all’interno del collegio. Escrivá presenta anche la documentazione che impone agli associati il segreto, con la proibizione assoluta di rivelare il numero dei membri a chicchessia, nemmeno alla propria famiglia o al proprio ambiente di lavoro. La successiva tappa è la prelatura personale: Escrivá vuole disporre di un ”ordine proprio” che gli consenta di ”erigere un seminario internazionale, e di incardinare gli alunni e promuoverli agli ordini con il titolo di servizio della prelatura”. A questo scopo fonda nel 1953 il collegio romano di Santa Maria destinato alla formazione teologica e apostolica delle donne.
Ma non è ancora giunto il tempo, il papa nega tre volte la mitra vescovile all’ambizioso sacerdote che morde il freno. E dovrà aspettare poichè Giovanni XXIII, succeduto al suo iniziale protettore, non ha alcun interesse per le sue mire. Il concetto che ha papa Roncalli della ”Chiesa di tutti” al cui vertice siede solo Cristo è davvero troppo lontano dalle glorie personali di un solo uomo. Che tuttavia, nel frattempo, non gli vengono risparmiate nella natia terra dove ottiene da Franco il titolo di marchese di Peralta, una carica che gli consente di far conquistare al suo movimento posizioni di potere in Spagna sotto la diretta protezione del dittatore che interviene personalmente per difendere l’Opera da uno scandalo finanziario.
Benchè più profeta in patria che non altrove Escrivá prosegue la sua scalata a Roma dove fonda il centro ELIS (Educazione, Lavoro, Istruzione e Sport) uno strumento di formazione d’eccellenza attraverso il quale l’opera comincerà il suo lavoro di penetrazione nei centri di potere economico e finanziario italiani e internazionali. Trasformandosi in Cedel (Cooperativa Sociale Educativa Elis) nel 1991 può ricorrere a ”convenzioni e accordi con organismi pubblici e privati e in particolare con enti che operano nel ‘privato sociale”’ per ”promuovere e gestire anche mediante ricorso a fondi pubblici e privati, attività di formazione professionale e di sviluppo nell’occupazione”. Il fine è di mettere a disposizione di un gruppo di imprese personale altamente formato e qualificato e favorire l’accesso a corsi esclusivi. Nel 1992 infatti verrà fondato il consorzio Elis, firmatari: la Stet, Italcementi, Ericsson, la Cedel ovviamente e poi altre 34 aziende comunali e statali. Molto difficile credere -come sottolinea Sandro Rendina autore del libro ”La Santa Casta della Chiesa” (Ed Newton e Compton) cui si deve la ricostruzione – che tutto il suddetto complesso aziendale, considerati i componenti, fosse senza fini di lucro.
Non è che un accenno al potere che l’opera andrà acquisendo negli anni insediandosi ai vertici dei maggiori potentati economici e politici della cerchia cattolica, ma quando avviene il vero salto di qualità Josè Maria non potrà che ammirarlo in spirito poichè viene chiamato al cospetto di Dio nel 1975. A sostituirlo il suo fedelissimo Alvaro de Portillo che saprà portare a compimento il progetto originario di Escrivá.
L’occasione è tragica, ma non c’è nulla come il tempismo per realizzare le proprie ambizioni. Il 13 maggio del 1981 il turco Ali Agca attenta alla vita del papa aprendo un altro dei grandi misteri vaticani. Ed è proprio durante i 153 giorni di convalescenza di Giovanni Paolo II che l’Opus Dei con tattica e destrezza muove le sue pedine.
Il cardinal Marcinkus, già presidente dello IOR, viene nominato pro-presidente della pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, cioè è divenuto di fatto governatore della Santa Sede e può disporre di tutte le finalità politico e finanziarie del Vaticano.
La ragione di tanto potere ha un nome: Polonia. Liberare la natia terra dall’invasione comunista è un obiettivo prioritario per il santo Padre che pur di ottenerlo dà carta bianca a Marcinkus. Che non si fa certo pregare. Grazie ai rapporti economici palesi e occulti che ha interlacciato con Calvi e l’Ambrosiano trova il modo di finanziare la rivolta di Solidarnosc che decreta la leadership di Lech Walesa.
Nello stesso tempo il capitano delle guardie svizzere Alois Estermann, membro dell’Opus Dei, si reca più volte a Varsavia per coordinare l’arrivo delle armi dalla Scandinavia e destinate alla rivoluzione. Il tutto, osserva giustamente Rendina, non sarebbe potuto avvenire senza una coordinata ed efficace operazione di intelligence, di certo coadiuvata dall’Opus Dei. Nel maggio dello stesso anno un’indiscrezione pubblicata sul quotidiano tedesco Frankfuerter Allgemaine Zeitung comunica che papa Giovanni Paolo II ha decretato l’Opus Dei una prelatura personale, e anche se la conferma ufficiale si avrà solo nel marzo dell’anno successivo con la nomina a Prelato di Alvaro de Portillo la notizia influisce pesantemente sugli equilibri interni al Vaticano.
Siamo in pieno scandalo Ior-Ambrosiano e nei primi mesi del 1982 Calvi capisce di essere in grave pericolo e gioca tutte le carte in suo possesso per cercare di salvarsi. Dopo il crollo in borsa dei titoli dell’Ambrosiano si rifugia a Londra dove tenterà il tutto per tutto. Tra le persone che contatta anche il finanziere venezuelano Alberto Jaimes Berti a cui chiede di liberare un fondo segreto di 2200 milioni di dollari costituito per conto dello Ior e dell’Opus Dei. Non c’è più niente da fare ormai, Calvi è un uomo pericoloso, ha maneggiato i soldi della mafia, dell’alta finanza, della Chiesa e dell’Opus Dei in un castello delle tre carte che è crollato miseramente e rischia di trascinare con sè anche i suoi soci più occulti. Non può succedere e il cadavere del banchiere milanese viene ritrovato appeso sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Per vent’anni si è voluto far credere che si trattasse di un suicidio, solo di recente si è potuto procedere al processo per omicidio sostenuto a dibattimento dal pm Luca Tescaroli.
Da sempre la Chiesa Cattolica è lacerata da più anime che si dibattono sulla reale interpretazione dell’insegnamento cristiano non solo da un punto di vista teologico ma anche strettamente pratico. In questi anni infatti Giovanni Paolo II e i suoi più stretti consiglieri tra cui spicca il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Santo Uffizio, decideranno per quella politica che porterà l’odierna Chiesa Cattolica ad un grande potere mediatico e politico, ma anche ad una grande crisi di fedeli e vocazioni.
Come estremo rigurgito della santa inquisizione vengono condannati all’imposizione dell’ ”ossequioso silenzio a tempo indeterminato” e in alcuni casi alla destituzioni i teologi ideatori e sostenitori della ”Teologia della liberazione”.
Il primo a subire la condanna nel 1984 è Gustavo Gutierrez che nel suo libro dal già citato titolo esponeva in punti chiari ed espliciti un programma ben preciso di riforma della dottrina cristiana. Innanzitutto la povertà concepita come atto di solidarietà, ma anche come atto di protesta liberatrice che deve intendersi articolata in tre passaggi: ”liberazione politica e sociale, con l’eliminazione delle cause immediate di povertà e ingiustizia; la liberazione umana, ovvero l’emancipazione dei poveri, emarginati e oppressi da ciò che limita la loro capacità di sviluppare se stessi liberamente e dignitosamente; la liberazione teologica, ovvero la liberazione dall’egoismo del peccato, per ristabilire la relazione con Dio e l’umanità”.
Davvero troppo troppo in contraddizione con le scelte operate negli ultimi anni dai Papi tutte tese verso la salvaguardia del potere temporale e strategico-politico dello Stato Vaticano e alla sua prosperità economica, costi quel che costi, come le delicate faccende dello Ior stanno dimostrando proprio in questi anni.
Per di più queste teorie di riscatto e libertà sono frutto della difficile battaglia che molti prelati stanno combattendo sul campo per proteggere le vittime delle furiose dittature sudamericane che hanno provocato decine di migliaia di morti e martiri come Monsignor Romero.
Tuttavia è noto, come abbiamo già dimostrato, che la Chiesa negli esponenti dei suoi più alti vertici è stata spesso connivente di dittatori e assassini e la rivolta dei poveri dell’America latina in quel momento gioca a sfavore dei piani strategici del Vaticano.
La condanna successiva anche del teologo Leonardo Boff e del vescovo brasiliano Helder Camara per analoghe ragioni sancisce la definitiva svolta politica del Vaticano con la presa del potere da parte dell’Opus Dei sigillata dall’annuncio di beatificazione di Josèmaria Escrivá de Balaguer nel 1992. L’apoteosi però è raggiunta dieci anni dopo, nel 2002 quando Giovanni Paolo II lo dichiara Santo.
La prelatura personale di questo caparbio e senza dubbio vincente sacerdote spagnolo arriverà a contare nel 2008 1956 sacerdoti, 37 sacerdoti ordinari, 351 seminaristi maggiori, 86.305 laici su 1828 chiese e centri parrocchiali.
In particolare ha destato l’interesse di scrittori e giornalisti la condizione di vita dei cosiddetti ”numerari” vale a dire di quei membri che hanno fatto voto di celibato e vivono in comunità.
Nel libro inchiesta di Ferruccio Pinotti ”Opus dei segreta” sono raccolte le testimonianze di alcuni uomini ma soprattutto donne che hanno fatto parte per lungo tempo di questa particolare categoria di affiliati alla prelatura. Sono storie di soprusi, di grandi sacrifici e privazioni, di punizioni corporali, di lavoro durissimo e mortificazione personale, di totale donazione dei propri beni e del proprio stipendio oltre che dei propri talenti e della vita stessa. A prescindere dalle scelte che ognuno di noi ha diritto di fare, a patto che siano compiute liberamente, ciò che colpisce maggiormente però è la differenza di vita condotta tra i numerari di cui la prelatura ”liberamente (di essi) usa” e i soprannumerari. Sono i laici che hanno moglie e figli ma che hanno scelto la via della castità e sono, nella maggior parte dei casi, professionisti affermati e facoltosi inseriti in aziende, studi professionali, politica, imprenditoria, finanza. In poche parole dove vengono prese le decisioni che determinano gli andamenti del potere in molte parti del mondo.
E per quanto convinti di aspirare alla santità molti dei più noti soprannumerari sono stati coinvolti in scandali recenti e passati alcuni dei quali dai risvolti a dir poco drammatici. Andando indietro nel tempo, al 1976, l’Opus Dei da poco guidata da Alvaro de Portillo viene chiamata in causa nell’assassinio del finanziere francese Jean de Broglie la cui tragica scomparsa appare essere in relazione con le vicende del Banque des Intères Francais, partecipata al 35% da due membri spagnoli dell’Opus Dei: Andrea Rueda Salaberry e Rafael Termes. Molto significativo che a mettere a tacere il tutto interviene direttamente il governo spagnolo.
Nel settembre del 1992 i mercati valutari mondiali subiscono un forte shock speculativo che porta il governo italiano a svalutare la lira del 7%. Nessuna conseguenza (togliere invece) per lo IOR che invece alcuni mesi prima ha provveduto ad acquistare marchi tedeschi trascinando con sè molti ordini religiosi che così si sono ritrovati pronti nel momento della crisi. Giuliano De Bernardo, gran maestro dell’Oriente d’Italia, non esita ad accusare il cardinale Rosario Josè Castillo Lara, presidente dell’Apsa e di cui abbiamo già detto nel capitolo Fiorani, di speculazione e denunciando, a mezzo stampa, che l’Opus Dei ha invaso come un polipo la finanza internazionale e anche quella italiana”. Di qui non è difficile comprendere, e nemmeno condividere, il sarcastico nomignolo con cui è stata ribattezzata la prelatura di Escrivá: ”Octopus Dei”, la piovra di Dio. Della sua natura occulta e dei suoi loschi intrecci cominciano a chiedere alcuni deputati italiani attraverso interrogazioni parlamentari in cui si vuole chiarire il reale scopo di quella che Rino Formica all’epoca capogruppo socialista alla Camera dei Deputati chiama ”una società segreta”. Un po’ mafia e un po’ massoneria, chiosa Rendina, i servizi segreti aprono un’inchiesta, tuttavia senza esito.
Un intero capitolo a parte meriterebbe l’approfondimento della figura di Marcello Dell’Utri, soprannumerario dell’Opus Dei, condannato in primo grado a nove anni e mezzo per concorso esterno in associazione mafiosa e coinvolto nelle indagini per la ricerca dei mandanti esterni delle stragi del 1992 e 1993 quando morirono Giovanni Falcone, sua moglie, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte.
In tempi molto recenti i misteri dell’Opus Dei sono tornati alla ribalta con due eventi.
Il primo risollevato da Sabrina Minardi, l’ex amante di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della banda della Magliana legato a Pippo Calò, esponente di spicco della Cosa Nostra dei corleonesi, che dopo venticinque anni confessa il coinvolgimento del suo ex compagno nel rapimento della povera Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente del Vaticano e sparita nel nulla il 22 giugno 1983. (Sul caso ha lungamente investigato il giudice Ferdinando Imposimato le cui considerazioni sono raccolte nel libro: ”Vaticano-un affare di stato”, Ed. Koinè 2003)
Allo stato attuale le dichiarazioni di questa super teste che chiamano in causa Marcinkus in persona nel rapimento della ragazza sono all’attento vaglio degli inquirenti che già hanno ravvisato molte contraddizioni, ma il nome di De Pedis ha risvegliato un altro scandalo.
Il criminale, infatti, è stato sepolto, su concessione del prelato Javier Echevarriá, succeduto a del Portillo nella prelatura dell’Opus Dei, nella basilica di Sant’Apollinaire dove riposano fior di alti monsignori, e la sua messa funebre è stata officiata da Monsignor Piero Vergari rettore della basilica.
Che legame aveva questo lugubre personaggio con la Santa Sede?
E cosa c’entrava, se c’entrava, con la scomparsa di Emanuela Orlandi?
Misteri, misteri e ancora misteri, cui se ne aggiunge un altro recentissimo e delicatissimo poichè coinvolge direttamente un esponente di primo piano della finanza cattolica nazionale e soprannumerario dell’Opus Dei: Gianmario Roveraro.
Etica del potereGli studiosi di economia e finanza italiana, nonchè i maggiori protagonisti, raccontano che la finanza cattolica, ribattezzata finanza bianca, nacque per contrastare l’ascesa e il potere della finanza laica massonica.
In effetti in Italia il concetto stesso di sistema bancario giunge in netto ritardo rispetto al resto d’Europa. Come spiega il già citato ”Finanza Bianca” di Giancarlo Galli, quando si decreta l’unità d’Italia nel 1861 con capitale Torino, Cavour è costretto a finanziarsi dagli Hambro e dai Rotschield per costruire la rete ferroviaria.
Sarà poi Giolitti a fondare la prima Banca Commerciale Italiana nel 1894 avvalendosi comunque della professionalità di due banchieri israeliti mitteleuropei: Otto Joel e Federico Weil. La banca infatti nasce consorziando 6 banche tedesche, 3 svizzere, 3 austriache e 2 francesi.
Il sistema bancario italiano è in questo periodo – scrive Galli – ”un complesso intreccio di alleanze, di solidarietà, d’interessi, in cui sono pienamente coinvolti i potentati finanziari internazionali, con i loro addentellati ebraici nonchè, per diffusa convinzione, massonici”.
Ed è proprio per contrastare ”lo strapotere finanziario laico-massonico” che nasce il Banco Ambrosiano e con lui il presunto dilemma dei cattolici tra Dio e dio denaro.
In effetti le distinzioni nette non sono la caratteristica principale del mondo cattolico, persino questa pretesa presa di distanza dall’oscura massoneria.
Benchè il canone 2335 del Codice di Diritto Canonico decreti che nessun prelato possa essere affiliato alla massoneria, la storia racconta altri fatti.
Al centro dell’attenzione torna ancora il cardinal Marcinkus. Secondo quanto denunciato dal giornalista Mino Pecorelli sulla sua temutissima rivista ”OP, osservatorio politico” il 21 agosto 1967 l’atipico presidente dello Ior è entrato a far parte della massoneria con il numero di matricola 43/649 con il soprannome di Marpa. In una lista pubblicata il 3 novembre 1978 il suo nome appare affiancato a quello di Jean Marie Villot, segretario di stato della Santa Sede (matricola 041/3 soprannome Jeanvi), Agostino Casaroli, capo del Ministero degli esteri della Santa Sede (matricola 41/076 soprannome Casa), Sebastiano Baggio, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano (matricola 85/2640 soprannome Seba), Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo (matricola 234/07 soprannome Salpa), don Virgilio Levi direttore dell’ ”Osservatore Romano” (matricola 241/3 soprannome Vile), Roberto Tucci, direttore della radio Vaticana (matricola 42/58 soprannome Turo) e il braccio destro di Marcinkus Donato De Bonis (matricola 321/02 soprannome Dondebo).
Quest’ultimo rimarrà dominus incontrastato della finanza vaticana anche dopo l’era Marcinkus e considerato il vero antagonista occulto di Angelo Caloia nel suo progetto di riformare la banca vaticana.
Sottolinea infatti Galli: ”Aveva l’ufficio più bello e ci passavano personalità più diverse. Era di casa monsignor Fiorenzo Angelini, ora cardinale, Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. Monsignor De Bonis aveva rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Aristocratici, finanzieri e artisti come Sophia Loren. Questo spiegherebbe perchè fra i conti accesi presso la banca si trovassero anche quelli di personaggi laici che dovettero confrontarsi con la giustizia italiana. Doveva bastare un cenno del monsignore per aprire un conto presso l’istituto vaticano, più riservato di quelli svizzeri, una sorta di paradiso (finanziario e fiscale) in terra…”.
L’accusa di appartenenza del gotha del Vaticano alla massoneria non provocò alcuna reazione da parte della Santa Sede che, sempre senza preoccuparsi di smentire alcunchè e nemmeno di fornire spiegazioni, relegò l’intera faccenda nell’elenco delle dicerie malevole.
Sta di fatto che Mino Pecorelli fu assassinato il 20 marzo dell’anno successivo e che gli eventi che coinvolgeranno lo Ior confermeranno, almeno in parte, le inquietanti e sempre puntuali informazioni del giornalista.
L’ombra della massoneria infatti si estende sin all’interno delle più segrete stanze vaticane. Rendina sostiene che Umberto Ortolani stratega della loggia P2 di Licio Gelli a metà giugno del 1963 mise a disposizione del cardinale Giacomo Lercaro una delle sue ville di Grottaferrata dove si sarebbero riuniti una serie di vescovi che sostennero la candidatura, poi vincente, del cardinale di Milano Montini, Paolo VI.
È poi ormai provato da anni e anni di indagini condotte accuratamente da ultimo dal sostituto procuratore Luca Tescaroli che Sindona e Calvi strinsero il proprio sodalizio criminale proprio tramite Gelli e che, attraverso i comuni collegamenti con la massoneria e l’alta finanza, nelle casse vaticane e ambrosiane circolavano i soldi della mafia.
Nella Cisalpine Overseas Bank, fondata da Calvi, Sindona e Marcinkus alle Bahamas, e nel cui consiglio di amministrazione figura Licio Gelli vengono infatti stoccati i fondi neri e riciclato il denaro sporco. Un procedimento, questo del riciclaggio, che avviene in tre tempi secondo quanto scrive il giudice Ferdinando Imposimato che a lungo ha indagato su questi temi: ”Per primi i capitali della mafia, di partiti politici e grandi industrie sono versati nelle banche di Sindona. In un secondo momento passano allo Ior, che trattiene gli interessi, e quindi vengono trasferiti, con l’aggiunta di soldi della Santa Sede, nelle banche estere di Sindona, la Franklin Bank di New York e le sue filiali alle Bahamas e a Panama”.
Imposimato pagherà molto caro il suo coraggio con l’assassinio di suo fratello Francesco ad opera della banda della magliana, coinvolta in tutta la vicenda, l’11 ottobre 1983.
Il denaro sporco viene utilizzato per precisi scopi: il finanziamento di governi dittatoriali a seconda delle esigenze politiche e la compravendita di beni immobili.
Secondo più fonti e inchieste tra cui quella del giornalista Paolo Ojetti, pubblicata sulla rivista Europeo, l’immenso patrimonio della chiesa che occupa circa un quarto di Roma, come abbiamo avuto modo di constatare nelle pagine precedenti, deriva perlopiù dalle transazioni illegali di mercato degli anni Settanta. La Santa Sede quindi, sintetizza Rendina, attraverso lo Ior e il denaro sporco gestisce quella che risulta essere in fondo l’impresa più legale perchè apparentemente compiuta alla luce del sole, ovvero la compravendita di immobili dentro Roma. Che come abbiamo visto non pagano tasse o vengono assegnati a nomi di comodo di enti religiosi alcuni dei quali nascono e muoiono nel giro di pochi anni mentre altri diventano lucrosi affari.
Quando papa Wojtyla ad Agrigento nel 1993 condannò con parole molto severe i mafiosi scomunicandoli – racconta Marino Mannoia – i boss, che portavano i loro soldi in Vaticano -si risentirono e maturarono così l’idea di far esplodere le bombe vicino alle chiese romane.
Al progetto stragista di quegli anni Cosa Nostra avrebbe agito in concertazione con altre entità compresa la massoneria da intendersi non tanto come deviata o meno, ma proprio come luogo di incontro tra soggetti che rappresentano determinati poteri ed interessi disposti a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio fine.
E allora è lecita la domanda: può essere concepibile una funzione etica del potere?
Negli esclusivi club dei decisori sono sicuramente convinti di sì anche perchè a muovere le pedine sono loro stessi.
Lo sbandierano ai 4 venti le migliaia di militanti di Comunione e Liberazione che accolgono sempre in festante tripudio al gran raduno di Rimini il senatore a vita Giulio Andreotti, il ”grande statista” che, come ha definitivamente confermato la Cassazione, trattò con la mafia anche al prezzo della vita di Pier Santi Mattarella. Non sono da meno i cosiddetti Memores Domini, braccio d’acciaio di Cl, di cui un illustre rappresentante, il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, è finito al centro di uno scandalo per le presunte irregolarità dell’operazione delle Nazioni Unite Oil for Food, petrolio in cambio di cibo durante l’embargo Iracheno, diventata la solita ghiotta occasione per far fioccare mazzette.
Ne era certo anche Escrivà de Balaguer che all’interno dell’Opus Dei ha raccolto il fior fiore dei protagonisti della storia politica-economica contemporanea d’Italia e d’Europa.
Se in linea teorica qualsiasi cosa sia indirizzata per il reale bene comune possa rispondere ai dettami cristiani i ”frutti” in base ai quali si dovrebbe giudicare dimostrano che si è molto lontani dall’ottenere un tale risultato anche quando ci si impegna con le migliori intenzioni.
Silenzio e Follia
Gianmario Roveraro era un uomo riservatissimo.
Sovrannumerario dell’Opus Dei aveva fatto del riserbo e della discrezione il tratto distintivo della propria vita privata e professionale.
Serio, rigoroso e intelligente viveva la sua ambizione in modo misurato e accorto. Campione di atletica, che dovette abbandonare per un infortunio, dedicò la sua vita ad esplorare i settori più avveniristici del mondo della finanza. Nella sua lunga carriera si misurò con concorrenti italiani e esteri concedendosi qualche azzardo e correndo i rischi del mestiere. A volte perse, a volte vinse, ma il suo operato non andò mai sopra le righe. Sebbene operasse in un ambiente spregiudicato era da tutti considerato affidabile e si era guadagnato il rispetto di amici e nemici. Per questo la sua tragica ed efferata morte appare ancora più misteriosa.
La sera del 5 luglio 2006, due notti prima della finale dei mondiali di calcio tra Italia e Francia, Roveraro sta rientrando a casa dopo una riunione dell’opera. Fa ancora molto caldo nonostante siano le 21:30 di sera. Mentre cammina lentamente cercando di prendere un po’ d’aria due uomini lo colpiscono alla testa e lo caricano su un’auto, una Fiat Doblò e, legato, lo portano in un casello idraulico in una frazione di Albareto vicino Modena.
I sequestratori non sono professionisti. Sono Filippo Botteri, Marco Baldi ed Emilio Toscani. La mente del sequestro è il primo e le versioni di quanto racconterà sono al centro del mistero.
Botteri e Roveraro si conoscono bene. Fino a poco tempo prima avevano lavorato insieme ad un affare importante che però era andato male. Roveraro aveva perso 300 mila euro provenienti dai conti personali della famiglia e come per ogni difficoltà che aveva dovuto affrontare nella vita aveva reagito con compostezza. Per Botteri invece la questione era molto più grave e complicata.
Giovane imprenditore parmense, figlio di un’importante donna d’affari, Laetitia Botteri, e di un padre che non ha mai conosciuto se non in tarda età vede in Roveraro un punto di riferimento e un’ottima occasione di successo e riscatto da una gioventù inconcludente e un po’ scapestrata.
L’occasione viene dall’Austria dove il finanziere, uno dei due soli in Italia in grado di farlo, sperimenta una nuova formula economica: l’Mtn, il Medium Term Notes.
In pratica si tratta di un complesso e delicato sistema di piccoli investimenti che grazie alla ”leva finanziaria” rendono notevoli guadagni in un tempo abbastanza limitato.
Botteri è entusiasta dell’opportunità offertagli da Roveraro e si prodiga per rastrellare quanti più investitori possibili. Grazie alla fiducia di cui gode negli ambienti altolocati della sua zona investe e fa investire circa due milioni di euro.
Dopo non molto tempo è chiaro che qualcosa non va. I ritorni sperati non ci sono, anzi si necessitano ulteriori capitali. Che sia Roveraro che Botteri versano, ma la situazione non fa che aggravarsi e il giovane imprenditore comincia a subire le pressioni dei suoi creditori che vogliono vedere i risultati delle proprie esposizioni.
Nel racconto dello stesso Botteri il denaro che doveva essere investito in Austria veniva ritirato da due emissari di Roveraro che venivano a prendere le banconote, le infilavano nelle 24 ore e le trasportavano oltre confine. Ai due, conosciuti come Gianni e Claudio e nulla più, il giovane emiliano aveva consegnato 3 miliardi di lire e 800 milioni di sua proprietà senza avere in cambio alcuna pezza di riscontro, ovviamente. Si fidava, erano uomini di Roveraro.
Per questo quando capisce di non poter più venire in possesso dei suoi investimenti e soprattutto di quelli di tutti coloro cui aveva proposto l’affare garantendo personalmente Botteri ritiene Roveraro responsabile del suo tracollo.
Così pianifica il rapimento con l’aiuto dei due complici, semplici amici che aveva aiutato in passato e che volevano restituirgli il favore. Del resto si trattava di ottenere dal finanziere due milioni di euro in riscatto e basta.
Ed è qui infatti che si ferma il racconto di Baldi e Toscani poichè il drammatico epilogo è tutto solo nelle parole di Botteri. Che confessa in un primo momento di aver portato Roveraro in aperta campagna per chiarire definitivamente i loro accordi e cercare di avere indietro il proprio denaro. Roveraro però ad un certo punto lo avrebbe minacciato di fargliela pagare e quindi Botteri, persa la testa, gli avrebbe sparato un colpo alla nuca. L’orrore non finisce qui. Il giovane infatti sarebbe poi tornato sul luogo del delitto aiutato dai suoi complici e con il macete avrebbe fatto a pezzi il cadavere del finanziere per poi sparpagliarne i pezzi in sacchi neri tra i campi. L’uso del condizionale in questa ricostruzione è d’obbligo poichè il reo confesso ha fornito più di una versione dei fatti. Dopo numerosi interrogatori rivela ai magistrati che il finanziere sarebbe stato d’accordo a farsi sequestrare. Di fronte all’incredulità dei magistrati e persino dei suoi avvocati che già si erano occupati del finto sequestro Sindona sostiene che Roveraro si trovava in una situazione difficile che non gli aveva mai spiegato nei dettagli, ma che aveva necessità di creare una situazione in cui costretto poteva fare delle rivelazioni compromettenti.
”Siccome lui era un cattolico fervente e convinto fino al limite dell’integralismo lui praticamente aveva appoggiato qualcosa per motivi che non mi ha mai detto…era tormentato dal dilemma…da un’ossessione”…
Il dramma invece si sarebbe scatenato quando Roveraro improvvisamente gli disse di non volerne fare più nulla e anzi gli avrebbe detto: ”Non me ne frega più niente, voglio andare a casa, vi rovino tutti”. Botteri, preso da un raptus di rabbia, gli avrebbe così sparato.
I magistrati non crederanno mai a questa versione che però il giovane assassino continuerà a difendere strenuamente.
Per quanto non possa considerarsi attendibile vanno ricordate le parole della moglie di Roveraro Silvana Canepa che nonostante le telefonate rassicuratrici del marito capì subito che qualcosa non andava, dato che mai prima di quel momento Gianmario aveva tenuto un comportamento così inspiegabile e fuori dalle sue rigidissime abitudini.
Nel processo esplorativo delle possibili ipotesi i magistrati non hanno lasciato nessuna pista impraticata. A partire da una dichiarazione rilasciata da Todescato, uno degli attori dell’affare Austria, secondo cui Botteri gli avrebbe confidato che Roveraro riciclava i soldi della mafia in Sicilia. In una precedente dichiarazione invece il riciclaggio sarebbe avvenuto per conto della stessa Opus Dei.
Non si è trovato nessun riscontro ad un’accusa così pesante se non il fatto che il finanziere si era occupato della liquidazione del gruppo immobiliare Rappa a Palermo. Vincenzo e Filippo Rappa sono indagati per riciclaggio del denaro per conto di capimafia del calibro di Raffaele Ganci, Francesco Madonia e Giovanni Brusca.
Questo lavoro aveva causato non poche angosce in Roveraro che addirittura aveva lasciato l’incarico prima di portarlo a termine. Mentre ancora non si è accertato il reale quadro in cui è maturato il delitto, Botteri, dichiarato in grado di intendere e volere, è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 8 mesi nel dicembre del 2008.
La perversione del potere
”Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!” (Mt 18, 6-7)
Con tutto il suo portato di storia secolare e pesanti fardelli la Chiesa Cattolica si presta ad affrontare le nuove sfide del millennio.
Si può dire che il ventesimo secolo per la religione cattolica si sia concluso con la spettacolare veglia in mondo visione che ha riunito tutti i fedeli al capezzale di Giovanni Paolo II (Wojtyla 1978-2005) fino all’ultimo respiro. Il vaticano illuminato da migliaia di candele è stata l’ultima scenografia di grande effetto costruita attorno ad un papa molto criticato in gioventù, ma osannato come un santo negli ultimi anni della sua vita.
L’inizio stesso del suo pontificato è contrassegnato da un mistero, la morte del suo predecessore, papa Giovanni Paolo I (Luciani 1978), rimasto al soglio pontificio per soli 33 giorni. Deceduto in seguito ad arresto cardiaco -sostiene la versione ufficiale -avvelenato, affermano con certezza storici e investigatori che individuano il movente del delitto nella ferma intenzione del pontefice di attuare alcune riforme nette all’interno del Vaticano a partire dai vertici dello Ior.
Papa Wojtyla invece non solo lasciò intatte le gerarchie vaticane ma, come abbiamo visto, si avvalse delle spericolate relazioni di monsignor Marcinkus per contrastare il minaccioso espandersi del comunismo con ogni mezzo.
Scongiurato il pericolo, la biografia di questo papa si è tinta di ”gesta eroiche” come il già citato richiamo alla conversione dei mafiosi ad Agrigento e ha adombrato eventi tragici come la condanna della teologia della liberazione e l’appoggio alle feroci dittature latinoamericane.
Uno dei maggiori accusatori di papa Wojtyla, il celebre scrittore inglese David Yallop, nel suo recentissimo libro ”Habemus papam”, ricorda di quando Wojtyla si affacciò al balcone per benedire la folla in compagnia dei sanguinari Videla e Pinochet, mentre padre Romero e i tanti preti e suore che si schieravano dalla parte dei più indifesi venivano assassinati in silenzio.
Yallop non esita a definire Giovanni Paolo II un grande attore (come in effetti da giovane era), un uomo di grande carisma, l’ideale per architettare una perfetta operazione di marketing.
”Tutti ricordano la sua immagine -spiega alla giornalista della rivista argentina ”Noticias” Liliana Morelli -ma nessuno i suoi discorsi. L’uomo era amato, il messaggio ignorato.” Secondo lo scrittore i cattolici che seguono le sue prescrizioni di fede in fatto di aborto, divorzio, contraccezione e altri temi di estrema attualità sarebbero ben pochi rispetto a coloro che ne conservano nella memoria un’icona misticheggiante.
Il processo di beatificazione di Giovanni Paolo II è stato avviato immediatamente dopo la sua morte e sono innumerevoli e continui i racconti che attestano di eventi miracolosi legati alla sua persona. A contribuire all’edificazione della beata figura, secondo Rendina, sarebbe stato utilizzato anche il terzo segreto di Fatima e la sua presunta rivelazione rilasciata in pompa magna nel 2000 dalla Congregazione della dottrina della Chiesa presieduta da Ratzinger.
La visione di Lucia, tenuta occulta per decenni in violazione della espressa richiesta della Vergine che chiedeva di renderla nota nel 1960, sarebbe la previsione dell’attentato al papa avvenuto a Roma nel 1981 ad opera del terrorista turco Ali Agca.
In realtà, secondo i molti studiosi che si sono occupati per anni del segreto di Fatima, e tra i quali mi permetto di annoverarmi, il messaggio è incompleto. Manca infatti assieme alla trascrizione della visione della giovane pastorella il messaggio della Madonna che invece accompagna le due precedenti visioni e che contemplerebbe eventi ben più gravi per il futuro dell’uomo di quanto non sia accaduto al papa.
E’ vero invece che sia sull’attentato al pontefice sia sull’intrigo tra mafia, quella turca dei lupi grigi stavolta, affari sporchi e interessi politici che delinea il quadro di mandanti e moventi non si è mai fatta luce.
Ombre che volenti o nolenti impediscono alla luccicante immagine di questo papa di splendere come si vorrebbe.
In ogni caso non deve essere comunque facile per il suo successore suscitare ugual clamore e soprattutto essere amato dal popolo dei cattolici che, seppur vasto, pare assottigliarsi col tempo.
A dire la verità non sembra che Benedetto XVI (Ratzinger 2005) sia granchè preoccupato del consenso visto che le sue prime direttive in materia di questioni sociali (contraccezione e fine vita) e persino dottrinali, come la celebrazione della messa in latino, siano state del tutto impopolari e giudicate anche dai fedeli veramente troppo conservatrici.
Oltre ad un’eredità di fama davvero ardua da eguagliare, papa Ratzinger si è trovato a dover affrontare, proprio in questo periodo, uno degli scandali più delicati e difficili da gestire nella storia della Chiesa Cattolica. Sepolta da un muro di omertà per secoli la piaga dell’abuso sessuale ai danni di minori perpetrato da un numero notevole di prelati è scoppiata alla fine in tutta la sua purulenza. Da Giovanni XXIII fino a Giovanni Paolo II l’unico atteggiamento ufficiale è stato sempre quello di coprire il colpevole e di spostarlo di diocesi in diocesi in modo da tenerlo al riparo dalle già rare denunce che una volta erano considerate tabù insormontabile.
Il fenomeno è esploso soprattutto negli Stati Uniti dove lo scandalo ha coinvolto i vertici stessi delle diocesi: vescovi, arcivescovi, cardinali, parroci noti e influenti si sono visti accusare del più orrendo dei crimini: la pedofilia.
Le statistiche sono impietose
Dagli studi condotti sulle vittime, ma anche sui carnefici, soprattutto da psicologi e psichiatri il numero complessivo dei giovani violati negli Usa tra il 1950 e il 2004 oscillerebbe tra i 40.000 e i 60.000, mentre i sacerdoti, ”solo” quelli dichiarati colpevoli sono 5214. Sono ovviamente conti molto complicati e di difficoltosa definizione se si considera l’enorme sacrificio che per la maggior parte degli abusati significa parlare e raccontare.
Occorrono però due precisazioni, la prima è che gli abusi non avvengono solo all’interno della Chiesa Cattolica, sebbene detenga il macabro primato: denunce sono state sporte anche nei confronti di rabbini ebrei, ministri mussulmani, monaci buddisti e maestri Hare Krishna.
La seconda può sembrare una inutile sottolineatura ma è giusto specificare che le vittime sono per la maggiore ragazzi maschi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, cioè in età pre-post puberale, per ciò i loro carnefici vengono definiti efebofili.
Un dettaglio a quanto pare non trascurabile per comprendere i profili criminali tracciati dai molti esperti clinici e terapeuti che hanno esaminato le migliaia di casi.
Stando a quanto emerge dagli studi le origini di questa orribile devianza sono da ricercarsi in molteplici e diverse direzioni che ovviamente non esploreremo in questa sede.
Se da una parte sono dovute a violenze subite in età infantile, dall’altra la tendenza agli abusi sarebbe da ricercare nella proibizione imposta a giovani seminaristi attraverso la castità proprio in quell’età che tanto li attrae sessualmente una volta diventati uomini.
La scelta di giovani in età puberale sarebbe dovuta proprio a un’identificazione con le vittime considerate sostanzialmente, a livello sessuale, dei pari.
Al contrario per le vittime il fatto che ad abusare di loro sia il parroco, in molti casi un sostituto del padre, in altri un amico di famiglia, li paralizza e li spinge a tenere dentro di sè un segreto terribile per anni. I danni fisici e psicologici subiti dai bambini vittime di questo tipo di abusi sono gravissimi e spesso irreversibili.
Se quindi per qualche sacerdote potrebbe valere una seppur minima attenuante che deriva da una patologia è tutt’altra cosa la violenza che deriva dalla posizione di potere e inevitabile senso di impunità di cui la maggior parte dei prelati violentatori gode.
Secondo Mauro Pesce che ha scritto l’introduzione all’edizione italiana del libro ”Atti Impuri, la piaga dell’abuso sessuale nella Chiesa Cattolica” (ed. Raffaello Cortina) il fatto che il prete cattolico si ponga come unico intermediario e interprete del rapporto del fedele con Dio lo colloca in una posizione privilegiata che può indurre il credente a ritenerlo come un’autorità intoccabile nei confronti della quale può nutrirsi un sentimento di inadeguatezza, inferiorità e infine dipendenza.
L’autore suggerisce un paragone tra il sacerdozio cattolico e il predicare itinerante di Gesù Cristo che transita in ogni luogo, senza bene alcuno nè fissa dimora che offre un rapporto con Dio tramite il perdono dei propri peccati e la formazione di una personalità indipendente che trova in se stessa la sorgente della vita spirituale. ”Gesù non sta mai a lungo in una casa, presso una famiglia.
Congeda in fretta le folle che si radunano attorno a lui. (…) In questo modo dopo la sua rapida apparizione le persone vengono lasciate alla loro responsabilità e alla loro libertà”. La tentazione del potere materiale e psicologico sul prossimo è una caratteristica delle gerarchie ecclesiastiche che considerandosi ”altro” rispetto alle genti si ritengono al di sopra delle leggi e delle regole approfittando a piene mani della loro extraterritorialità a questo punto non solo vaticana, ma anche pienamente soggettiva e individuale.
Nella prefazione al succitato libro una delle curatrici Mary Gail Frawley-O’Dea spiega, come già espresso nel suo saggio dall’eloquente titolo ”la Perversione del potere”, che la maggior parte degli osservatori sono concordi nel ritenere che lo scandalo degli abusi sessuali negli Stati Uniti abbia avuto origine in Louisiana a Henry, quando nel 1983 Padre Gilbert Gauthe fu accusato di molestie. Un caso emblematico di un prete carismatico e dinamico impegnato soprattutto con i giovani, specialmente maschi tra gli 11 e i 15 anni, che nutrono nei suoi confronti rispetto e fiducia. Una volta conquistato, un ragazzo viene introdotto al rapporto sessuale. Se il crimine viene scoperto e denunciato dalla vittima stessa le conseguenze possono essere di due tipi.
Fino a qualche anno fa raramente la denuncia veniva presa in considerazione e la vittima veniva accusata di voler gettare ”fango sulla chiesa”; il suo peccato era considerato peggiore di qualsiasi altra cosa un prete potesse aver fatto e quindi veniva ridotto al silenzio o nel peggiore dei casi all’esclusione dalla comunità.
Nel buio delle sacrestie il sacerdote veniva invitato a non peccare più e dopo qualche tempo mandato altrove dove però rimaneva a contatto con altri giovani e la storia ricominciava da capo. Solo con il passare di molti anni e con la pressione pubblica sui vescovi affinchè prendessero provvedimenti seri e reali alcune dolorose testimonianze hanno scaturito un qualche effetto riuscendo ad ottenere almeno il patteggiamento con risarcimento.
Il merito di aver prodotto ampi squarci nel fitto muro dell’omertà clericale è in gran parte dovuto al lavoro dei mezzi d’informazione che sono stati in grado di svolgere il loro ruolo di controllo del sistema restituendo così uno spiraglio di speranza alle vittime.
Proprio grazie ai media e al coraggio delle vittime oggi lo scandalo ha assunto proporzioni gigantesche. Veniamo ai fatti più recenti.
Nel 2002 viene chiamato in causa il cardinale di New York, Edward Egan, che fino al 2000 aveva retto la diocesi di Bridgeport, nel Connecticut. E’ accusato di aver coperto decine di casi di abusi sessuali perpetrati da sacerdoti che il cardinale si è limitato a destinare ad altri incarichi. Il suo successore si è dovuto accordare con le famiglie delle vittime per milioni di dollari.
Segue la vicenda del cardinale Bernard Law di Boston additato dal Boston Globe per aver protetto due sacerdoti pedofili dalla denuncia e dai processi che poi li hanno condannati.
Sul New York Times nelle ultime due settimane di marzo 2002 si legge: ”Almeno 55 sacerdoti in 17 diverse diocesi sono stati rimossi, sospesi o licenziati, tra i quali 6 a Filadelfia, 7 nel New Hampshire, 2 a St. Louis, 2 nel Maine, uno in Nord Dakota e 12 a Los Angeles. In particolare si segnalano il reverendo Michael Hands di Long Island, riconosciuto di avere avuto rapporti sessuali con un tredicenne nel 1999 e il 2000 e Anthony J, O’Connel, vescovo di Palm Beach in Florida denunciato per aver molestato un seminarista nel Missouri negli anni Settanta che si è dimesso e per il quale la diocesi ha pagato un risarcimento di 125.000 dollari”.
Tra il 2005 e il 2007 salgono alla ribalta della cronaca altri casi agghiaccianti. I giornali di Chicago attaccano il cardinale Francis George arcivescovo della metropoli e Presidente della conferenza Americana dei Vescovi Cattolici per non aver preso alcun provvedimento nei confronti di padre Daniel McCormack di cui si sono accertati i crimini. Si è scoperto poi che il vescovo era in effetti molto più impegnato a nascondere la storia raccapricciante di un altro sacerdote: Kenneth Martin colpevole di abusi su bambini. Nel 2007 viene reso pubblico un dossier su padre Nicholas Aguilar Rivera che ha violentato 26 ragazzini ed è stato fatto fuggire in Messico dal vescovo ausiliare di Los Angeles Thomas Curry dove ha seguitato col molestare innocenti.
Chiaramente non sono che alcuni semplici esempi e non riguardano solo gli Stati Uniti.
In Australia ha fatto scalpore il caso di due sorelle che hanno subito violenze da padre Kenin O’Donnel tra il 1988 e il 1993, una delle due ragazze si è suicidata mentre la seconda ha problemi con l’alcool e in seguito ad un incidente stradale ha riportato danni cerebrali.
Anche in Italia non sono pochi nè marginali i casi di violenze e abusi.
Nel 2004 Mauro Stefanoni, il parroco di Laglio, sul lago di Como, è stato processato e condannato, per aver abusato di un ragazzino affetto da ritardo mentale, a 8 anni di reclusione e al risarcimento di 180.000 euro.
Non molto tempo fa, nel settembre del 2007 la Repubblica ha pubblicato il provvedimento assunto dal Vaticano nei confronti di Don Lelio Cantini, parroco fiorentino, ”ritenuto responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987”. A margine è emersa una storia di orge e festini hard che avrebbero coinvolto addirittura il vescovo ausiliario di Firenze Claudio Maniago, insinuazioni che però non hanno trovato riscontro.
E’ del marzo scorso la notizia delle dimissioni del vescovo irlandese John Magee, anch’egli colpevole di aver coperto abusi sessuali su minori, ed è particolarmente eclatante vista la caratura del personaggio. Infatti prima di occuparsi della diocesi di Cloyne, nel sud dell’Irlanda dove sono avvenute le decine di violenze, Magee è stato segretario privato di tre papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
In particolare fu il primo sacerdote ad entrare nella stanza di papa Luciani il giorno del suo decesso e a dare l’allarme. Quando iniziarono a circolare le prime illazioni sulle reali cause della morte del pontefice, Giovanni Paolo II lo rimosse e lo destinò ad altro incarico anche perchè il vescovo fu tra i pochi a testimoniare che il defunto pontefice, durante la giornata precedente la morte, aveva accusato almeno due malori.
Lo scandalo irlandese è stato documentato in un dossier di 270 pagine fitte di racconti drammatici che coinvolgono 100 sacerdoti, 350 vittime e 40 anni di omertà assoluta scalfita da coraggiose denunce e il suicidio del parroco Sean Fortune incriminato per abusi.
L’ultimo grattacapo per la Chiesa Cattolica è arrivato direttamente sulla scrivania del papa che proprio in questi giorni ha deciso di inviare una ”visita apostolica”, cioè un’ispezione, presso la sede dei legionari di Cristo, una congregazione di diritto pontificio che avrebbe la missione di ”estendere il Regno di Cristo” nella società. Nel 1988 il fondatore Marcial Maciel Degollado è stato accusato di abusi sessuali e persino di aver sedotto e derubato ricche ereditiere con alcune delle quali avrebbe addirittura avuto figli. Dal 2006 papa Ratzinger, invece di sottoporlo a processo canonico, gli ha imposto di ritirarsi in buon ordine a vita riservata e rinunciando ad ogni ministero pubblico.
L’atteggiamento dei vertici vaticani è proprio questo: evitare i processi e le punizioni, piuttosto, se proprio non se ne può fare a meno, meglio pagare. La corte di Cincinnati però, con una sentenza senza precedenti, ha dato il via libera a chiamare in giudizio la Santa Sede perchè ritenuta corresponsabile dei delitti commessi dai religiosi della diocesi di Louisville in Kentucky.
Nel solo anno 2008 la Chiesa Usa ha sborsato 436 milioni di dollari per risarcire le vittime da sommarsi ai 526 milioni dell’anno precedente.
Una cifra enorme, vergognosa nel suo essere spropositata, e allo stesso tempo assolutamente inadeguata per porre rimedio al dolore e alla devastazione provocate.
Il cardinale Roger Mahoney deputato dalla Santa Sede a cercar di gestire l’entità del danno ha assicurato che l’intera somma verrà corrisposta ricorrendo alle casse della chiesa, che sappiamo ben pingue, e dalla vendita di numerosi edifici.
In effetti possedere immani ricchezze può essere di grande aiuto in caso di emergenza e le colpe si possono facilmente lavare anche con la carta moneta.
Del resto la Santa Sede non sembra registrare nessun cedimento nemmeno in tempo di crisi. Rassicura il presidente dello Ior Caloia: ”Il nostro patrimonio è solido e non abbiamo carenze di liquidità. Abbiamo evitato ogni ricorso ai derivati e abbiamo fatto solo investimenti chiari, semplici, eticamente fondati”.
Conclusioni
”…Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove nè tignola nè ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perchè là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.” (Mt6, 19- 21).
Ai laici vorremmo dire:
Gesù-Cristo è il più grande rivoluzionario che la storia dell’umanità abbia mai avuto.
Un rivoluzionario che ha trasformato il cuore dell’uomo, cresciuto nella violenza e nell’odio, in un cuore che anela alla pace, alla concordia, all’amore, alla giustizia.
Un rivoluzionario che poteva fomentare con il Suo carisma e con il Suo potere guerra, sangue e violenza, e che invece, con il sacrificio della Sua vita, ha rivelato ciò che è: l’amore.
”…Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13).
Ai cristiani invece:Denunciare, come abbiamo voluto fare in questo nostro modesto lavoro, i crimini di una Chiesa che ha abbandonato Cristo per Mammona, è nostro dovere. Riportare la Chiesa alle sue origini: l’umiltà, il servizio e la giustizia, estirpare il cancro che la sta consumando fin dalle sue profonde radici è nostro dovere.
Per noi cristiani, Gesù Cristo è il figlio di Dio e un giorno ritornerà con grande Potenza e Gloria sopra le nubi del Cielo.
Giorgio Bongiovanni
Stigmatizzato
Sant’Elpidio a Mare (Italia)
21 maggio 2009
P.S. MANI PULITE: DI PIETRO, SI BLOCCÒ QUANDO ANDÒ VERSO IL VATICANO
(ANSA) ROMA, 21 MAG -L’indagine Mani Pulite “si è bloccata nel momento in cui l’indagine stava procedendo verso il Vaticano, ma questo nessuno lo enfatizza. Quando siamo andati a fare quelle rogatorie tutto si è fermato”. Lo ha detto Antonio Di Pietro nel programma Klauscondicio. “Dopo i repulisti post-Marcinkus -ha detto l’ex Pm -certamente è cambiato molto, ma c’è stato un periodo buio del Vaticano. Dopo la morte del cardinal De Bustis sono usciti alcuni documenti fondamentali indicanti conti correnti che portavano a parlamentari di primissimo livello ma anche a politici collusi con la mafia. I soldi partivano dallo IOR, per andare a finire a Ciancimino, il sindaco di Palermo mafioso. Se avessi avuto questi carteggi negli anni ’90 oggi ci sarebbe un’altra Repubblica”. (ANSA)
IOR PARALLELO. CONTI SEGRETI IN VATICANO
Per la prima volta nella storia del Vaticano dalle Mura leonine filtrano migliaia di documenti sugli affari finanziari dell’Istituto per le opere di religione (Ior), l’impenetrabile banca della Santa sede che ogni anno offre i suoi utili alla gestione diretta del Papa. Lettere, relazioni, bilanci, verbali, note contabili, bonifici, missive tra le più alte autorità d’Oltretevere su come il denaro sia talvolta gestito in modo spregiudicato da prelati, presuli e cardinali.
Oltre 4 mila documenti che costituiscono l’archivio di un testimone privilegiato: monsignor Renato Dardozzi, parmense nato nel 1922, cancelliere della Pontificia accademia delle scienze e, soprattutto, per vent’anni uno dei pochissimi consiglieri dei cardinali che si sono succeduti alla segreteria di Stato, da Agostino Casaroli ad Angelo Sodano.
Dardozzi ha voluto che dopo la morte, avvenuta nel 2003, il suo sterminato archivio diventasse pubblico. Così, dopo anni di ricerche, è ora in libreria il mio libro-inchiesta (Vaticano spa, Chiarelettere, 15 euro) che rilegge dalle carte del Vaticano alcuni passaggi cruciali di quegli anni: dalle tangenti della Prima repubblica ai soldi per Bernardo Provenzano e Totò Riina (è Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo, a indicare in un’intervista pubblicata in Vaticano spa l’esistenza presso lo Ior di un sistema di conti intestati a prestanome del padre e dai quali partivano somme destinate ai due boss della mafia).
Dall’Ambrosiano all’Enimont, dalle tangenti alle minacce: per ogni questione Dardozzi raccoglieva documentazione e appunti, li custodiva in cartelline gialle classificate nell’archivio. Si è così costituita una vasta memoria storica che ora svela come una sorta di “ufficio affari riservati” all’interno del Vaticano abbia operato per raddrizzare o mettere a tacere le vicende finanziarie più imbarazzanti e tormentate negli anni di Karol Wojtyla, appena sopite le trame dell’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus e dell’Ambrosiano di Roberto Calvi.
Dall’archivio Dardozzi emerge che un fiume di denaro, fra contanti e titoli di Stato, veniva veicolato in una specie di Ior parallelo, una ragnatela off-shore di depositi paravento intestati a fondazioni benefiche inesistenti e dai nomi cinici (”Fondazione per i bambini poveri”, “Lotta alla leucemia”), una ragnatela costruita in segreto per anni da monsignor Donato De Bonis, ex segretario e successore di Marcinkus, nominato da Casaroli prelato dello Ior.
Il sistema viene avviato nel 1987 per assicurare un discreto passaggio del testimone da un Marcinkus ormai sulla via del tramonto a De Bonis, che doveva mettere d’accordo le esperienze passate con le esigenze più riservate della clientela degli anni Novanta. E così lo Ior occulto ha continuato a prosperare per anni sfuggendo anche all’attuale presidente dello Ior, Angelo Caloia, espressione della finanza bianca del Nord.
Sono 17 i conti principali sui quali De Bonis “opera sia per formale delega”, si legge nel rapporto inviato da Caloia a Wojtyla nell’agosto 1992, quando la banca parallela inizia a emergere, “sia per prassi inveterata”. Tra il 1989 e il 1993 vengono condotte operazioni su questi depositi per oltre 310 miliardi di lire, circa 275,2 milioni di euro a valori attualizzati. Ma sono i movimenti in contanti a sorprendere: secondo una stima prudenziale, superano 110 miliardi (97,6 milioni di euro a valori attualizzati).
Bisogna aggiungere l’intensissima compravendita di titoli di Stato: in appena un biennio su questi conti riservati transitano tra 135 e 200 miliardi di cct. E si tratta solo di stime compiute dalla dirigenza della banca. Ancora oggi non si ha certezza alcuna su quanto De Bonis sia riuscito a movimentare realmente, visto che spesso ricorreva alla gestione extracontabile che non lasciava tracce.
Lo Ior parallelo ha così gestito non solo risparmi ma anche tangenti per conto terzi negli anni Novanta, assegni per i palazzi del Vaticano finiti al cardinale José Rosalio Castillo Lara, plenipotenziario economico di Wojtyla, soldi sottratti dalle somme che i fedeli lasciavano per le messe per i defunti, depositi per 30-40 miliardi delle suore che lavoravano nei manicomi, sino ai conti correnti criptati di imprenditori come i Ferruzzi, segretari dei papi come monsignor Pasquale Macchi e, soprattutto, di politici, a cominciare dall’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dal primo politico condannato in Italia per associazione mafiosa, Vito Ciancimino.
È il 15 luglio 1987 quando De Bonis firma regolare richiesta e apre il primo conto corrente del neonato sistema off-shore, numero 001-3-14774-C, con un deposito in contanti di 494.400.000 lire e un elevato tasso d’interesse garantito, il 9 per cento annuo. Per tenere lontana anche l’ombra dei sospetti il monsignore intesta il deposito alla Fondazione cardinale Francis Spellman. La scelta del nome non è casuale: si tratta del potente e temuto cardinale, ordinario militare per gli Stati Uniti, che nel dopoguerra dagli Usa finanziava la Dc anche con soldi che potrebbero essere stati trafugati agli ebrei dai nazisti. E fu Spellman ad accreditare Marcinkus presso l’allora Papa Paolo VI.
Se un funzionario dello Ior avesse voluto curiosare nel fascicolo del conto Spellman, avrebbe scoperto che agli atti non c’è traccia documentale della fondazione, né un atto costitutivo, né una lettera su carta intestata. Avrebbe dedotto che la scelta della fondazione era un semplice ma efficace artificio. Ma nello Ior nessun funzionario nutriva simili curiosità. Il prelato della banca vaticana era troppo potente e protetto dai cardinali perché qualcuno desse un’occhiata ai suoi affari. E allora perché tanto riserbo? Se si gira il classico cartellino di deposito delle firme indicate per l’operatività del conto, oltre a De Bonis è segnato il nome di Andreotti. “Non mi ricordo di questo conto” fa sapere oggi Andreotti, interpellato da Panorama.
Un conto per Andreotti. Alle persone (quasi tutti prelati e porporati) che aprono un conto allo Ior viene chiesto di lasciare in busta chiusa le volontà testamentarie. Nel fascicolo del conto Fondazione Spellman, fotocopiato da monsignor Renato Dardozzi e custodito nel suo archivio, sono indicate quelle del “gestore”, appunto De Bonis. Che con il pennarello nero a punta media che prediligeva aveva scritto su carta a righe le illuminanti disposizioni: “Quanto risulterà alla mia morte, a credito del conto 001-3-14774-C, sia messo a disposizione di S.E. Giulio Andreotti per opere di carità e di assistenza secondo la sua discrezione. Ringrazio nel nome di Dio benedetto. Donato De Bonis, Vaticano 15.7.87?.
Che si tratti di un conto segreto di Andreotti gestito da De Bonis non lo dicono solo i documenti. Ne era convinto anche l’attuale presidente dello Ior Angelo Caloia. In una serie di lettere riservate sugli affari del prelato inviate periodicamente al segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, e riprodotte nel libro Vaticano spa, Caloia si dice certo. In quella del 21 giugno 1994, a 7 anni dall’apertura del deposito Fondazione Spellman, Caloia dà ormai per scontato che “il conto della Fondazione cardinal Spellman che l’ ex prelato ha gestito per conto di Omissis contiene cifre…”.
“Omissis” come emerge chiaramente dalla convergente documentazione conservata nell’archivio di monsignor Dardozzi, era la parola convenzionale utilizzata da Caloia e altri manager dello Ior per criptare il nome di Andreotti. Per De Bonis, invece, era stato scelto il nome in codice “Roma”. Per altri correntisti, rimasti ancor oggi nell’ombra, venivano concordati altri nomi di città, come “Ancona” o “Siena”, da usare nelle comunicazioni scritte. In pochi dovevano capire. Ancora oggi rimane sconosciuta, per esempio, l’identità di Ancona. Interpellato da Panorama, Angelo Caloia preferisce non rilasciare dichiarazioni sull’argomento.
Sul conto gestito dal prelato dello Ior per conto di Andreotti affluisce un fiume di denaro. Milioni di banconote, miliardi in contanti. Le note contabili conservate nell’archivio di Dardozzi ricostruiscono nel dettaglio tutte le movimentazioni. Il conto ha goduto di accrediti in cct e in contanti. Dal 1987 al 1992 De Bonis introduce fisicamente in Vaticano oltre 26 miliardi e li deposita tutti sul conto Fondazione Spellman. A valori rivalutati la somma corrisponde a 26,4 milioni di euro di oggi. Importo che bisogna sommare all’enorme quantità di titoli di Stato depositati e ritirati, per complessivi 42 miliardi di lire, pari ad altri 32,5 milioni di euro. In tutto sul conto in una manciata di anni entrano 46 miliardi di lire.
Ma da dove arrivano tutti questi soldi e a chi erano destinati? In Vaticano spa vengono elencati tutti i beneficiari che si dividono in due categorie: religiosi e laici. I primi sono una moltitudine. Se “la carità copre una moltitudine di peccati”, come si legge nella prima lettera di San Pietro (capitolo 4.8), è vero che dal conto Spellman vengono periodicamente distribuite centinaia tra elemosine e donazioni a suore, monache, badesse, frati e abati, enti, ordini e missioni. L’elenco dei beneficiari è sterminato: suore ospedaliere della Misericordia, adoratrici dell’Eucarestia, orsoline di Cortina d’Ampezzo, oblate benedettine di Priscilla, carmelitane d’Arezzo.
Beneficenza quindi, ma non solo. L’apparente gestione caritatevole del patrimonio rimane marginale. Per il cassiere della Dc Severino Citaristi, pluricondannato in Tangentopoli, compare un assegno da 60 milioni. Tra il 1990 e il 1991 dal conto Spellman dello Ior escono 400 milioni per l’avvocato Odoardo Ascari, difensore di Andreotti nei procedimenti aperti a Palermo per concorso in associazione mafiosa. Poi 1,563 miliardi vanno a un fantomatico Comitato Spellman con prelievi in contanti o con il ritiro di pacchi di assegni circolari di taglio diverso (da 1, 2, 5, 10, 20 milioni).
Tanti beneficiari. Un milione di dollari al cardinale brasiliano Lucas Moreira Neves, sino al 2000 prefetto della Congregazione dei vescovi, mentre altri bonifici sono destinati all’allora arcivescovo di New York, cardinale John O’Connor, al cardinale croato Franjo Kuharic dell’arcidiocesi di Zagabria, sino all’ausiliare di Skopje Prizren monsignor Nike Prela “per i fedeli di lingua albanese”.
Presenti anche diplomatici come Marino Fleri, quando era a Gerusalemme (30 mila dollari), l’ambasciatore Stefano Falez, che nel 1992 riceve somme per “la stampa cattolica slovena”, e il viceconsole onorario di New York Armando Tancredi.
Dal fondo si prelevano anche i soldi per i congressi, come quello che si tenne a New York per gli studi su Cicerone nell’aprile del 1991. Dal “memorandum presidente Andreotti” allegato alle disposizioni dei bonifici e dalla contabilità dello Ior si deduce che dal conto vennero pagati 100 mila dollari per le 182 camere degli ospiti al Plaza e allo Sheraton hotel, 225 milioni per i biglietti aerei, le visite guidate e i trasferimenti. Vengono depositati anche libretti al portatore con liquidazione del lavoro e risparmi personali. Né mancano i riferimenti alla politica.
A un versamento da 40 milioni è allegata l’indicazione, su carta intestata Palazzo di Montecitorio, “trasferire in Spellman”. Su un altro foglio viene appuntato “Sen. Lavezzari” in concomitanza con il deposito di assegni per 590 milioni di lire. Carlo Lavezzari, imprenditore siderurgico lombardo, era un amico personale di Andreotti. Ex senatore democristiano, a Roma aveva il suo ufficio sullo stesso pianerottolo di quello dell’ex presidente del Consiglio, in piazza San Lorenzo in Lucina.
Difficile, invece, individuare le identità dei beneficiari delle somme ritirate in contanti con una frenetica attività quasi quotidiana. Le valigette zeppe di denaro portate da De Bonis erano una consuetudine per gli impiegati dello Ior. Il monsignore ogni settimana consegnava migliaia di fascette delle banconote da 100 mila lire con depositi che arrivano anche a mezzo miliardo in contanti per volta.
Non disdegnava gli assegni circolari (da 4-500 milioni), né i bonifici esteri, soprattutto dalla Svizzera. I rapporti sono a Ginevra con l’Union bancaire privée, a Lugano con la Banca di credito e commercio sa e la Banque Indosuez, mentre per le operazioni con la Banca di Lugano si utilizza per comodità il conto 101-7-13907 aperto dallo Ior in quell’istituto elvetico.
La svolta del 1992. Dall’archivio Dardozzi raccontato nel libro Vaticano spa emerge che Caloia, arrivato nel 1989, comincia a sospettare dell’esistenza di questa struttura parallela solo nella primavera del 1992. Istituisce una commissione segreta, dispone controlli dai risultati allarmanti che inoltra al segretario particolare di Giovanni Paolo II, il fedelissimo don Stanislao Dziwisz, oggi arcivescovo di Cracovia, perché il Papa provveda. Ma non accade nulla.
La svolta arriverà solo nell’ottobre 1993 con l’esplosione della vicenda Enimont, la maxitangente pagata ai leader della Prima repubblica perché si rompesse il matrimonio della chimica italiana fra Eni e Montedison. Il pool di Mani pulite busserà al portone di bronzo ottenendo risposte parziali e fuorvianti. Lo scrive proprio Dardozzi all’avvocato Franzo Grande Stevens, legale di fiducia dello Ior: “Non bisogna indurre in tentazione” i giudici che vogliono far luce sui soldi transitati in Vaticano per i politici. Metà dei cct dello Ior parallelo rimarranno così fuori dallo spettro degli investigatori. Di certo senza remore anche perché, come ripeteva Marcinkus, “la Chiesa non si amministra con le Ave Maria”.
Gianluigi Nuzzi.
17 Maggio 2009 – Panorama.it
UN’ENCICLICA DEL PAPA CONTRO «PARADISI FISCALI E OFF SHORE»
Il Vaticano contro «lo scandalo dei paradisi fiscali e delle banche off shore, che sono tante e diffuse». A pochi giorni dal monito lanciato dal vescovo Gianpaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace, il Papa, ricevendo la «Centesimus Annus-Pro Pontifice», fondazione impegnata nell’attività caritativa, anticiperà stamattina i temi dell’enciclica sociale in uscita tra due settimane. Secondo papa Ratzinger, i guasti di un sistema basato sull’idolatria del denaro e sull’egoismo oscurano la ragione e la volontà dell’uomo conducendolo su strade sbagliate. Nella bufera dei mercati, la crisi è l’occasione per ripensare l’economia tenendo conto delle esigenze di tutti gli strati della società. Una linea testimoniata da chi, come Crepaldi, ha riflettuto con il Pontefice su una crisi per uscire dalla quale «occorre non solo riattivare i sistemi finanziari dei Paesi sviluppati ed emergenti, ma anche bloccare la volatilità dei capitali e lo scandalo dei paradisi fiscali e delle banche off shore». Con una critica a «Paesi come l’Italia che tuonano contro i paradisi fiscali ma, invece di sopprimerli, li ospitano e li adoperano». Intanto è silenzio nei Sacri Palazzi sul libro-choc «Vaticano spa», basato sull’archivio segreto di monsignor Renato Dardozzi (consigliere economico della Segreteria di Stato), che documenta come un fiume di denaro, tra contanti e titoli di Stato, sia stato veicolato dallo Ior in una ragnatela «off shore» di depositi paravento intestati a fondazioni inesistenti. Tra l’89 e il ’93 vengono compiute operazioni su questi depositi per 275,2 milioni di euro di oggi, movimenti in contanti per 100 milioni, e transitano 100 milioni di Cct. Su uno dei conti aveva la firma Giulio Andreotti in un deposito intestato alla «Fondazione cardinale Francis Spellman».
LA STAMPA 13 GIUGNO 2009