Di Agustín Saiz
I giovani come braccio armato dell’opera si sono recati in Cile per estirpare alla radice con un guanto d’acciaio il sanguinante e maledetto marciume nazi che li opprime come popolo.
Nazista non nel senso metaforico relazionato all’affinità ideologica di destra dei suoi governanti, bensì nel senso stretto di una stirpe spirituale ereditaria, fossilizzata nei sotterfugi insiti nel potere. In qualche modo, così come la galilea dei gentili emerge oggi mescolata tra i popoli latini, parte del lignaggio nazista del dopoguerra è proliferato in particolare nel territorio cileno. Da dove ha dato il proprio cupo contributo al progetto dittatoriale della regione, come vampiri nascosti nella notte per trarre vantaggio dalla sofferenza e dalla crudeltà con le quali hanno sottomesso il popolo. La loro degenerata libido che ha goduto di ognuna delle infernali varianti della tortura, oggi esce allo scoperto nella classe imprenditoriale che costituisce il potere e si gode dall’alto, impunito, la costruzione dello stato di polizia con più disuguaglianze dell’America latina.
Cristo è stato l’invisibile e presente servitore che ha reso possibile l’incontro e ha servito al tavolo al quale sono accorsi i fratelli di Paraguay, Argentina, Uruguay ed Italia accomunati fraternamente da una nuova battaglia, questa volta ad opera dei nuovi soldati di Cristo provenienti da differenti angoli rivoluzionari della storia e scelti per assestare il colpo finale. Le cicatrici sulle braccia di antichi guerrieri riacquistano significato nel presente per mezzo della testimonianza, in una specie di processo aperto, al quale siamo giunti in modo naturale quasi senza bisogno che ce ne rendessimo conto.
“I morti escono dalle loro tombe / Gli aerei volano all’indietro / I razzi salgono verso gli aerei / Allende spara / Le fiamme si spengono / Si toglie l’elmetto / La Moneda torna ad essere integra
Il suo cranio si ricompone / Si affaccia a un balcone / Allende torna indietro fino a Tommaso Moro / I detenuti escono di spalle dagli stadi / 11 settembre / Le forze armate rispettano la Costituzione / I militari tornano nelle loro caserme / Rinasce Neruda / Victor Jara suona la chitarra, canta / Gli operai sfilano cantando: “Venceremos” (La ciudad, Gonzalo Millán)
La coscienza del popolo, temporaneamente ricostituita nell’incontro dei giovani con i familiari e i leader sociali che custodiscono la memoria dei martiri, è stata presentata dinnanzi ad un tribunale occasionale di spettatori che fungevano da specchio su cui la storia rifletteva il suo verdetto. Specchi che esplodono perché non reggono la tensione di quello che è relegato nell’insostenibile e non si vuole mostrare. Specchi dai quali emergono una dietro l’altra immagini spettrali, volti grigi e stanchi che allungano le loro mani per appoggiare il palmo sulla superficie gelata da una realtà occultata che cerca di collegarsi con la nostra. Anime torturate che escono da un confinamento di acuto terrore per additare e dire “SEI STATO TU”, per poi ritornare, questa volta sì, finalmente a riposare.
Anime che additano un boia ed un sistema che è fondato dallo stesso archetipo di oppressione il cui verme è arrivato fino alla fine del buco senza altra carne da corrompere.
Un verme che molto presto sarà schiacciato dall’Onnipotenza di Dio Padre.
Agustín Saiz
2 Settembre 2019