RIAPPARE L’ANGELO DI MILANO
Con una Fondazione online
La persona che dà una speranza a chi è in difficoltà, vuole trasformare le sue azioni solidali in un’impresa del bene
MILANO – Egregio angelo invisibile, la prego mi aiuti. Non mi giri le spalle anche lei. Parole scritte a mano nel vuoto di una solitudine umana. Lettere. Email. Raccontano storie di gente accerchiata da mille paure. Paura di non farcela. Paura di non essere ascoltati. Paura di diventare poveri. Paura per una malattia. Paura per l’affitto da pagare e il lavoro che non c’è.
Quanti bisogni sommersi all’indirizzo sconosciuto dell’uomo che a Milano aiuta chi non ce la fa.
FONDAZIONE – E quanta voglia di uscire dall’anonimato dopo l’articolo del Corriere, per spiegare che l’angelo invisibile non è Batman e nemmeno Nembo Kid, ma un cittadino più benestante di altri che ha deciso di restituire al prossimo un po’ della sua fortuna, di condividere, per dare un senso alla vita, i disagi e anche i momenti di piccola felicità. All’inizio dell’estate questa era solo una buona notizia, un antidoto a quell’indifferenza che la crisi rende ancora più crudele. Cinque mesi dopo non c’è più un angelo che appare e scompare, ma una Fondazione online che si presenta così: «Noi non siamo ciò che possediamo ma ciò che rappresentiamo per gli altri». Fondazione Condividere, si legge in home page, quasi per rendere riconoscibile chi c’è dietro. La stessa persona che da dieci anni a Milano si muove per dare una speranza a chi è in difficoltà, e che oggi vuole trasformare le sue azioni solidali in un’impresa del bene.
RINASCITA – È turbato, quasi imbarazzato, perché si parla ancora di lui. Ma la valanga di messaggi arrivati dopo quell’articolo sul Corriere ha messo in moto una slavina che lo spinge a dare più consistenza alle azioni solidali. «Qualcuno potrebbe accusarmi di incoerenza. Qualcuno potrebbe dire: il bene non va strillato e tu che hai difeso l’anonimato adesso vai su Internet… Vuoi forse farti pubblicità? Il rischio c’è. Ci ho pensato a lungo. Ho coinvolto la mia famiglia, i miei tre figli. A loro ho detto che se vogliamo rispondere al disagio che aumenta ogni giorno, a quelle lettere che arrivano senza un destinatario, dobbiamo dare un ordine alle nostre azioni, collaborare con chi opera nei settori dell’assistenza e del bisogno: le parrocchie, i servizi sociali del Comune, le mense francescane. Per essere utile davvero dovevo fare un passo in più. Internet è un aiuto: farà conoscere la Fondazione e raccoglierà i messaggi. L’obiettivo adesso è più alto: aiutare le persone in difficoltà, costruire un progetto di rinascita, creare le condizioni per la loro autonomia economica. Io non faccio miracoli e non volo sui tetti dei quartieri di Milano con in mano il libretto degli assegni. Voglio soltanto ricordare chi è triste o sfortunato, mentre io sono felice. E condividere con loro un momento di speranza e di fiducia nella vita. Mi auguro che ci siano altre persone che lo faranno, offrendo qualcosa a chi non ha quasi nulla. È dura, oggi, per tanta gente. Abbiamo bisogno di umanità».
BAMBINI POVERI – Così, da un gesto di generosità spontanea è nato prima un impegno e poi un progetto. L’angelo si è materializzato da un notaio, ha messo un consistente contributo in un fondo, si è presentato all’assessore ai Servizi sociali del Comune, ha raccontato di voler garantire il diritto allo studio ai bambini poveri che vivono nei quartieri periferici, un pasto agli anziani con il minimo della pensione, una casa alle persone perbene che non hanno un tetto perché hanno perso il lavoro. Il modello è il fondo del cardinale Tettamanzi. Più mirato, dice lui, a risolvere i casi, a garantire un’autonomia economica a chi è rimasto azzoppato dalla crisi. «Troppa gente a Milano passa indifferente davanti a chi si trova ai margini della vita», racconta. Corriamo tutti, con la lingua fuori in un folle girotondo. «Basterebbe fermarsi ogni tanto, privarsi di poco per ridare un pezzo di futuro a chi pensa di averlo perso». La gratitudine degli altri è una ricchezza che scalda il cuore. All’uomo che aiuta chi è rimasto indietro ha cambiato la vita.
Giangiacomo Schiavi
24 novembre 2012
Corriere della Sera