Il Nobel per la pace 1997 per aver vinto la battaglia contro le mine antiuomo, lancerà da Milano un’iniziativa contro l’uso di queste armi ad alta tecnologia
4 novembre 2013
Fonte: Io Donna – 30 ottobre 2013
C’è almeno una persona che può smentire chi ritiene la pace nel mondo la più utopistica delle utopie. Jody Williams, «una ragazza qualsiasi del Vermont» come lei si definisce, ottenendo il bando mondiale delle mine antiuomo, ha indubbiamente creato un precedente storico; una breccia che potrebbe allargarsi a dismisura «se solo sempre più individui credessero nella responsabilità umana: l’emozione senza l’azione è irrilevante».
4 novembre 2013
Fonte: Io Donna – 30 ottobre 2013
C’è almeno una persona che può smentire chi ritiene la pace nel mondo la più utopistica delle utopie. Jody Williams, «una ragazza qualsiasi del Vermont» come lei si definisce, ottenendo il bando mondiale delle mine antiuomo, ha indubbiamente creato un precedente storico; una breccia che potrebbe allargarsi a dismisura «se solo sempre più individui credessero nella responsabilità umana: l’emozione senza l’azione è irrilevante».
Jody è una “macchina da pace”: da sola, a capo di una Ong con un solo dipendente, cioè lei stessa, ha lottato, fatto lobbing e stretto accordi con i governi, la Croce Rossa e le agenzie dell’Onu riuscendo a creare in sei anni una rete di 1300 organizzazioni sparse in 86 Paesi e infine la sigla di un trattato che ha sancito la messa al bando delle mine. Era il 1997 e nello stesso anno ha ricevuto il Nobel per la Pace.
E la macchina è sempre accesa: alla quinta edizione di “Science for Peace”, la conferenza della Fondazione Veronesi che si svolge alla Bocconi il 15 e il 16 novembre (vedi box), la ragazza del Vermont lancerà un’offensiva contro i “killer robot”, le armi robotiche letali, nuova frontiera della guerra tecnologica: «Già diversi Paesi hanno sviluppato armi in grado di selezionare obiettivi e distruggerli in completa autonomia, senza il minimo coinvolgimento umano» dice la Williams a Io donna. «Non sto parlando dei droni, gli aerei senza pilota che comunque sono telecomandati dall’uomo. No, qui parliamo di strumenti di distruzione che decidono da soli sulla vita o la morte degli esseri umani. Incapaci di qualunque compassione nei confronti dei civili. Questa volta voglio prevenire».
Quel che colpisce di lei è che affronta un tema così astratto come la pace con strategie concrete che puntano a distruggere un obiettivo alla volta; scusi il paragone, ma sembra un generale che pianifica la battaglia. Follia o incoscenza?
Realismo. La pace non è solo assenza di guerra. Vuol dire giustizia ed equità. Vuol dire lavorare per togliere denaro destinato alle armi e investirlo nei bisogni primari degli abitanti del pianeta, cioè case, acqua potabile, salute, lavoro. L’effetto dirompente della campagna contro le mine antiuomo fu che, anziché puntare sul semplice aspetto umanitario di armi concepite per uccidere anche a conflitto finito, è stata invece usata per costringere i governi a rimettere in discussione le regole della guerra.
L’Italia era uno dei principali fornitori mondiali di mine antiuomo.
E si è trasformata in uno dei Paesi più attivi nel finanziare le missioni di sminamento e nel formare i migliori sminatori al mondo.
Lei è molto dura con il suo Paese, gli Stati Uniti. Accusa Washington di essere una minaccia mondiale. Anche Barack Obama è Nobel per la Pace…
I governi devono puntare alla sicurezza dell’uomo, non delle nazioni. Devono liberare gli uomini dai bisogni e non difendere gli apparati statali.
Sembra una visione molto novecentesca questa delle nazioni causa di conflitti. Siamo nell’era delle governance multinazionali.
Io vedo che gli Stati Uniti continuano a destinare oltre il 50 per cento del budget federale alla Difesa. Spendiamo più di tutti gli altri Stati messi insieme e siamo i più aggressivi. Quanti Paesi abbiamo attaccato negli ultimi 25 anni? Ma io non voglio perdere tempo a lamentarmi, agisco. Questa conferenza di Milano centra il problema: il legame perverso tra scienza e guerra.
C’è sempre stato, le guerre sono purtroppo servite anche come test dei progressi tecnologici.
Ora è diverso, perché con i killer robot il target non ha nemmeno la possibilità di arrendersi o di rispondere. Già i conflitti sono sempre più asimmetrici – ricchi superarmati contro poveri quasi a mani nude – ma ora c’è anche il fattore tecnologico: i ricchi potranno permettersi di far fare la guerra alle macchine standosene in poltrona. Non è fantascienza, i robot sono già in azione al confine tra le due Coree e sulla Striscia di Gaza.
Parlava di prevenzione, non è già troppo tardi?
Rispetto alla guerra contro le mine antiuomo, oggi sono meno sola. Nel 2006 ho fondato la Nobel Women’s Initiative, impegnata per il disarmo. Non scriviamo trattati, ma abbiamo un piano micidiale per impedire che i governi addottino questa terrificante generazione di armi.
http://www.disarmo.org/rete/a/39318.html
E la macchina è sempre accesa: alla quinta edizione di “Science for Peace”, la conferenza della Fondazione Veronesi che si svolge alla Bocconi il 15 e il 16 novembre (vedi box), la ragazza del Vermont lancerà un’offensiva contro i “killer robot”, le armi robotiche letali, nuova frontiera della guerra tecnologica: «Già diversi Paesi hanno sviluppato armi in grado di selezionare obiettivi e distruggerli in completa autonomia, senza il minimo coinvolgimento umano» dice la Williams a Io donna. «Non sto parlando dei droni, gli aerei senza pilota che comunque sono telecomandati dall’uomo. No, qui parliamo di strumenti di distruzione che decidono da soli sulla vita o la morte degli esseri umani. Incapaci di qualunque compassione nei confronti dei civili. Questa volta voglio prevenire».
Quel che colpisce di lei è che affronta un tema così astratto come la pace con strategie concrete che puntano a distruggere un obiettivo alla volta; scusi il paragone, ma sembra un generale che pianifica la battaglia. Follia o incoscenza?
Realismo. La pace non è solo assenza di guerra. Vuol dire giustizia ed equità. Vuol dire lavorare per togliere denaro destinato alle armi e investirlo nei bisogni primari degli abitanti del pianeta, cioè case, acqua potabile, salute, lavoro. L’effetto dirompente della campagna contro le mine antiuomo fu che, anziché puntare sul semplice aspetto umanitario di armi concepite per uccidere anche a conflitto finito, è stata invece usata per costringere i governi a rimettere in discussione le regole della guerra.
L’Italia era uno dei principali fornitori mondiali di mine antiuomo.
E si è trasformata in uno dei Paesi più attivi nel finanziare le missioni di sminamento e nel formare i migliori sminatori al mondo.
Lei è molto dura con il suo Paese, gli Stati Uniti. Accusa Washington di essere una minaccia mondiale. Anche Barack Obama è Nobel per la Pace…
I governi devono puntare alla sicurezza dell’uomo, non delle nazioni. Devono liberare gli uomini dai bisogni e non difendere gli apparati statali.
Sembra una visione molto novecentesca questa delle nazioni causa di conflitti. Siamo nell’era delle governance multinazionali.
Io vedo che gli Stati Uniti continuano a destinare oltre il 50 per cento del budget federale alla Difesa. Spendiamo più di tutti gli altri Stati messi insieme e siamo i più aggressivi. Quanti Paesi abbiamo attaccato negli ultimi 25 anni? Ma io non voglio perdere tempo a lamentarmi, agisco. Questa conferenza di Milano centra il problema: il legame perverso tra scienza e guerra.
C’è sempre stato, le guerre sono purtroppo servite anche come test dei progressi tecnologici.
Ora è diverso, perché con i killer robot il target non ha nemmeno la possibilità di arrendersi o di rispondere. Già i conflitti sono sempre più asimmetrici – ricchi superarmati contro poveri quasi a mani nude – ma ora c’è anche il fattore tecnologico: i ricchi potranno permettersi di far fare la guerra alle macchine standosene in poltrona. Non è fantascienza, i robot sono già in azione al confine tra le due Coree e sulla Striscia di Gaza.
Parlava di prevenzione, non è già troppo tardi?
Rispetto alla guerra contro le mine antiuomo, oggi sono meno sola. Nel 2006 ho fondato la Nobel Women’s Initiative, impegnata per il disarmo. Non scriviamo trattati, ma abbiamo un piano micidiale per impedire che i governi addottino questa terrificante generazione di armi.
http://www.disarmo.org/rete/a/39318.html