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daviMartedì, 01 Ottobre 2019

Davi Kopenawa - Foto: Survival.it

“Noi, popoli del pianeta, dobbiamo proteggere il nostro patrimonio culturale, così come Omame [il Creatore] ci ha insegnato per vivere bene, per prenderci cura della nostra terra affinché le future generazioni possano continuare a usarla”. È questo, da sempre, il credo dello sciamano yanomami Davi Kopenawa, soprannominato il “Dalai Lama della foresta” e insignito la scorsa settimana del Right Livelihood Award 2019, il “Nobel alternativo” che dal 1980 mira a sostenere gli sforzi compiuti dalle persone che lottano per la pace, la sostenibilità e per un’economia più giusta. “Persone coraggiose che risolvono problematiche mondiali”, come hanno dichiarato gli stessi organizzatori annunciando tra i vincitori anche Aminatou Haidar, Guo Jianmei e Greta Thunberg che saranno tutti premiati di fronte al parlamento svedese alla vigilia dell’assegnazione del Nobel per la pace. In realtà quello di Davi è il secondo Right Livelihood, il primo lo ha ritirato nel 1989, quando Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni, gli chiese di venire in Europa per ritirare quello vinto quell’anno proprio da Survival. Davi, già negli anni ’80 aveva iniziato con l’organizzazione indigena Hutukara una lunga militanza spesa per la tutela ambientale e la difesa dei popoli indigeni che lo ha portato a guidare una quarantennale campagna condotta dagli Yanomami per proteggere la propria terra ancestrale, nella foresta amazzonica brasiliana.

Nonostante sia stato più volte minacciato di morte dai sicari armati al soldo delle lobby minerarie, Davi insieme a Survival International e alla Commissione Pro-Yanomami del Brasile, ha condotto in modo nonviolento una lunga campagna per proteggere il territorio del suo popolo, che ha portato alla creazione e al riconoscimento ufficiale nel 1992 del territorio forestale indigeno più grande al mondo. Per questo nel corso della sua vita Davi ha ottenuto molti premi e riconoscimenti, tra cui il Global 500 delle Nazioni Unite e la menzione d’onore della giuria del Premio spagnolo Bartolomé de las Casas, ed ora si è detto “particolarmente felice che le persone del Right Livelihood Award non si siano dimenticate di me. Il premio arriva proprio al momento giusto. Hanno avuto fiducia in me e in Hutukara, e in tutti coloro che stanno difendendo la foresta e il pianeta Terra. Questo mi dà la forza di continuare a lottare per difendere l’anima dell’Amazzonia”. Come ha ricordato Survival "Nel 1991 Davi fece la sua la prima visita negli Stati Uniti, dove incontrò l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Pérez de Cuéllar, alcuni membri della Commissione interamericana dei diritti umani e alcuni senatori statunitensi, per denunciare il pericolo imminente di genocidio che pendeva sugli Yanomami”. Allora un esercito di cercatori d’oro stava portando epidemie letali e violenze croniche nella loro foresta tra Brasile e Venezuela, in un’area che ancora oggi è la più vasta mai gestita da un popolo indigeno.

Da allora continua a vivere nella sua comunità Watoriki, “la montagna del vento”, praticando lo sciamanesimo, ma non ha mai rinunciato a viaggiare per far conoscere la causa Yanomami, lottando per proteggere l’Amazzonia dalla distruzione di minatori, allevatori, taglialegna e dai recenti incendi, diventando nel 2010 l’autore del fortunato libro La Caduta del Cielo, un viaggio dettagliato e intimo nella cosmologia yanomami accompagnato da una struggente descrizione della battaglia del suo popolo per salvare la foresta e i popoli indigeni dall’avidità e dalla forza distruttiva del popolo “bianco”. Pubblicato anche in edizione italiana nel 2018 da Nottetempo, è stato descritto da Stephen Corry, direttore generale di Survival International, come “uno dei libri più importanti del nostro tempo. Il suo pensiero si accorda costantemente allo sciamanesimo amazzonico, di cui il suo libro è la testimonianza più dettagliata e autentica che sia mai stata registrata. I presunti benefici del mondo industrializzato, che osserva attraverso il suo sguardo penetrante, non lo impressionano né lo condizionano. È stato, e continua a essere, la voce più costante ed efficace che si sia mai levata in difesa dell’Amazzonia, e quindi del mondo intero”.

Survival International che sostiene gli Yanomami da 50 anni, e ha lavorato insieme a Davi per la maggior parte di questo tempo si è detta molto soddisfatta del riconoscimento sostenendo che “Nessun altro più di lui meritava oggi questo premio”. E forse è proprio così, perché Davi, nel corso degli anni è riuscito non solo a catalizzare l’attenzione del mondo sui popoli indigeni e sull’Amazzonia, ma ha coinvolto in questa battaglia per la sensibilizzazione anche personaggi insospettabili. In particolare ricordo quando nel 2014 mi sono ritrovato davanti ad una foto del tatuato e scuro David Beckham con il nostro rotondo e colorato Davi Kopenawa. Allora mi domandai che cosa potessero avere in comune, ma il mio pregiudizio (forse non diverso da quelle che a campo invertito accompagna oggi i detrattori di Greta Thunberg) dovette ben presto ridimensionarsi. Beckham, che si trova in Brasile per le riprese di un programma televisivo aveva chiesto e atteso da Davi il permesso di entrare nella riserva yanomami per poterlo incontare. Come altri meno famosi prima di lui anche lo “Spice Boy” fu accolto con entusiasmo da Davi nella riserva indigena: “La visita di David ci ha fatto molto piacere perché era molto interessato alla resistenza della riserva yanomami e questo ci rende molto felici”.

La causa yanomami avrà tratto dei frutti da quell’incontro? Sicuramente l’eco mediatico, fondamentale per un piccolo grande uomo che ancora oggi ricorda al mondo che “Noi [popoli indigeni] difendiamo gli alberi della foresta, le colline, le montagne e i fiumi; i suoi pesci, la selvaggina, gli spiriti e gli uomini che la abitano. Difendiamo persino la terra degli uomini bianchi”. Per Davi, infatti, lo sfruttamento dissennato delle risorse proprio del nostro stile di vita sta distruggendo i sistemi da cui dipende la vita stessa e il mondo rischia “la caduta del cielo” se la foresta pluviale continuerà ad essere distrutta. Secondo Corry il messaggio di Davi è molto chiaro: “Vuole che ci rendiamo conto che con la nostra fame insaziabile stiamo distruggendo il mondo, e che se distruggiamo gli Yanomami, distruggiamo noi stessi”. Un buon motivo per ricordare a lungo questo Right Livelihood Award 2019.

Alessandro Graziadei

https://www.unimondo.org/Notizie/Davi-Kopenawa-e-il-Right-Livelihood-Award-2019-189056