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etiopia_01ETIOPIA: RISCHIA DI SPARIRE UNA POPOLAZIONE DI 200 MILA PERSONE
L’Etiopia come Avatar. Una diga spazzerà via le tribù del fiume Omo.
A prima vista può sembrare un nonnulla rispetto alle sciagure africane, invece è un esempio delle future dittature ecologiche, le ecocrazie che veglieranno in modo coercitivo sulla gestione di penurie permanenti: l’acqua il cibo le fonti di energia. I guai del mondo passeranno di lì. Il merito di aver spezzato il silenzio va a Survival, organizzazione internazionale che si batte per la sopravvivenza dei popoli trascurati dal Progresso, i primitivi, quelli di moda tra gli etologi degli Anni 60, quando il terzomondismo inneggiava alle arcadie dorate cui l’Africa doveva ritornare. Ma poi li ha dimenticati. Loro si sono assunti il compito più arduo: salvare le culture, le identità. Son lussi inutili, strepitano gli encomiatori dello Sviluppo, estetismi passatisti.
Una diga, per esempio: chi potrebbe dire che non sia un progresso in un Paese come l’Etiopia dove la vita, al di fuori delle città più grandi, si spegne ancora con il calare del sole dietro le ambe? Quella che il governo di Addis Abeba intende costruire sul fiume Omo è impresa da annuario dell’ingegneria. Affidata agli italiani della Salini, una delle grandi firme del continente. Allora: 240 metri di altezza, la più alta del continente, 150 chilometri di bacino, una potenza di 1870 megawat, che vuol dire più del doppio di quella di cui dispone il Paese oggi. Consegna tra due anni. Costo: un miliardo e mezzo di euro, almeno nelle previsioni iniziali. Eccolo, il verbo nuovo: nel Paese dove si ara ancora come ai tempi di Menelik e di Taitù, grattando la terra con erpici di legno, la potenza delle turbine, i laghi che dissetano, trattori, silos: lo sviluppo, forse.
Potrebbero mancare i finanziatori? No di certo: la Banca europea per lo sviluppo, la Banca mondiale, in testa, hanno il portafoglio in mano. E’ la solita via. Il denaro fa lo sviluppo: 1500 miliardi di dollari sono stati rovesciati sull’Africa, 31 dollari per abitante. Sono diventati, gli africani, meno miseri?
Survival ci porta dietro lo specchio e ci invita a guardare. Per esempio le 200 mila persone che vivono nella bassa valle dell’Omo, terre titaniche dove il giorno è secco e incandescente come una brace, i tramonti così violenti che insanguinano il cielo, i monti paiono meteoriti cadute da altre galassie. Non chiedete loro che cosa sia la modernità, non saprebbero rispondervi: da secoli hanno sopportato persecuzioni tiberiane, e costruito con pazienza infinita una fragile convivenza con quanto li circonda. È la sapienza umile dell’uomo africano che irridiamo per le patriarcali lentezze ma che sa alternare le coltivazioni adeguandosi al gioco delle siccità e delle piene, e che nel corso dell’anno diventa cacciatore contadino pescatore allevatore.
La diga spazzerà via la natura in cui hanno imparato a sopravvivere. E gli effetti scenderanno giù, per chilometri lungo il fiume fino al lago Turkana di cui è affluente. Dove altre trecentomila persone che pescano e abbeverano i loro animali in questo grande mare interno vedranno il loro cosmo trasformato e sconvolto. «Un cataclisma di proporzioni ciclopiche, perché perderanno le loro terre e i mezzi di sussistenza» avverte il direttore di Survival, Stephen Corry.
Che importa? gridano i modernisti: questi contadini miserandi, nell’infinita quarantena della carestia, diventeranno operai per i lavori della diga, entreranno in una economia moderna, che li addenterà e li assimilerà, disperderà a colpi di elettricità e di trasformazione fondiaria il Medioevo. Sono gli argomenti che utilizza il governo di Addis Abeba: che non sopporta resistenze, dubbi, contestazioni. Le organizzazioni tribali ammulinate dal rifiuto della diga sono state sbrigativamente sciolte: sabotatori, volete forse fermare il progresso?
Ha i suoi piani, il governo di Zenawi. La diga trasformerà queste terre faticose in una grande riserva agricola da sfruttare intensivamente. Arriveranno multinazionali e governi stranieri, coreani cinesi indiani gli emiri del Golfo che affittano pezzi interi del continente, dal Madagascar all’Angola per creare riserve di cibo a buon prezzo. I contadini dell’Omo saranno la manodopera perfetta, a basso costo, i servi della gleba di questo nuovo colonialismo delle materie prime alimentari, non meno avido di quello del carbone, del petrolio, dell’oro.
DOMENICO QUIRICO
CORRISPONDENTE DA PARIGI
LA STAMPA 29 MARZO 2010