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CENTRALE IDROELETTRICA DI BELO MONTE, UNA CONDANNA A MORTE CON LA FIRMA DI LULA
Ormai è ufficiale, la mega-diga nella regione amazzonica del Parà è cosa fatta. "Il governo ha firmato una condanna a morte per il fiume Xingu e un decreto di espulsione per migliaia di cittadini", gridano indigeni e ambientalisti
Luiz Inacio Lula da Silva ha ormai firmato il destino di 50mila persone, perlopiù indigene, che resteranno senza casa: dopo una serie di tira e molla legali, ha vinto la ragion di Stato e il presidente ha firmato il contratto con il Norte Energia Consortium per la costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, che sarà sostenuta anche dalla statale Sao Francisco.
L'ecosistema di una vastissima regione amazzonica del Parà, culla ancestrale di civiltà millenarie, ha le ore contate. Inutili le manifestazioni, gli appelli, le petizioni. Quella centrale è "cruciale per lo sviluppo del paese e creerà posti di lavoro", dice il governo, e basta con le discussioni. Si tratta di un progetto nato più di venti anni fa e rimandato almeno tre volte proprio per la marea di proteste, anche internazionali. Fino a oggi.
Persino Lula, prima di salire gli scalini del Planalto, aveva criticato con ferocia questo progetto, ma poi - come ha precisato lui stesso - "mi sono informato meglio" e ha cambiato idea. "Non potete immaginare quante volte ho parlato contro Belo Monte senza saperne niente in realtà - ha detto - Questa è una vittoria per il settore energetico brasiliano". Poi riferendosi alle proteste delle popolazioni indigene ha aggiunto: "Li convinceremo che abbiamo seriamente preso in considerazione la questione ambientale e quella sociale".
Ma gli ambientalisti non ci stanno, non si arrendono, non si fanno accecare dal presunto progresso e dagli ottocento milioni promessi dal Consorzio per riparare i danni. L'unica cosa che sanno è che quei sei chilometri di dighe distruggeranno la vita di cinquantamila persone. E questo non ha prezzo. "Il governo ha firmato una condanna a morte per il fiume Xingu e un decreto di espulsione per migliaia di cittadini", ha precisato uno dei capi indigeni di quei 24 popoli che abitano le trenta terre indios che in tutto contano oltre tredicimila abitanti.
Gli studi di 40 specialisti riunitisi in una tavola rotonda apposita hanno gia dimostrato come lo Studio di impatto ambientale ufficiale sia stato scritto ad hoc per fare approvare il progetto. Le due dighe previste e la deviazione del corso delle acque del fiume amazzonico, non solo ridurranno drasticamente il flusso in un tratto di cento chilometri, con la conseguente e probabile estinzione o diminuzione di molte specie di pesci, ma cambierà l'ecosistema di tutto lo Xingú.
Con i suoi 11mila megawatt, si tratterà della terza diga più grande al mondo, dopo quella cinese delle Tre Gole e quella di Itaipu, che corre dal Brasile al Paraguay. I costi di realizzazione oscilleranno fra gli 11 i 17 miliardi di dollari, e porterà elettricità a 23 milioni di case. E non resterà un caso isolato. Sembra che nelle intenzioni governative ci siano altre decine di dighe da costruire in Amazzonia nei prossimi venti anni, tutte con il fine di trainare un paese verso un'ascesa economica che pare inarrestabile.
Intanto, per sostenere la causa dei futuri sfollati dello Xingú e per denunciare lo scempio ambientale che ne verrà, si sono mobilitati anche da Hollywood. Dopo il successo di Avatar, che racconta una storia fantascientifica molto simile alle reali storie dei popoli indigeni, il regista James Cameron ha pensato bene di girare un film in 3D sugli indigeni Xikrin-Kayapo.  È quindi venuto a sapere della questione di Belo Monte e ha deciso di sposarne la causa, sostenendo anche una petizione. Non solo. Ha girato un corto sulla marcia di protesta organizzata contro la mega-diga, che sarà fra i contenuti extra del Dvd di Avatar che uscirà in una edizione speciale per Natale. E infine, con Sigourney Weaver ha realizzato un Tour in 3D di Google Earth in cui si denunciano i rischi della centrale idroelettrica e l'impatto sulla foresta amazzonica, sulle terre fertili e sull'intero ecosistema.
Adesso, la speranza che si possa tornare indietro è molto flebile e tutta nelle mani degli attivisti. Dal canto suo la Weaver assicura che non mollerà e intanto Cameron conta molto sulla petizione diretta al cuore del governo Lula. Ma sono in pochi a credere in un lieto fine alla Hollywood.
Stella Spinelli
10 settembre 2010 - Peace Reporter