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vertido_hungria_02IL FANGO SEPPELLISCE SEI VILLAGGI. LA GENTE DI KOLONTÁR: “NON TORNEREMO MAI PIÙ”
Ungheria, il veleno rosso raggiunge il Danubio Erano le sei e trenta del mattino.
I primi pesci morti hanno cominciato a galleggiare sul Danubio minacciato dalla peggiore onda tossica della sua storia. Per rigagnoli e affluenti, il veleno rosso è risalito fino al grande fiume d’Europa. Il portavoce della protezione civile, ha cercato di spargere tranquillità, dicendo che «l’ecosistema del Danubio non subirà gravi danni». Il pericolo è stato neutralizzato con tonnellate di gesso e acidi, e il livello di Ph è sceso dal mortale 13 a un più accettabile 9,3. Ma qualche membro di quell’ecosistema, ha deciso di andare lo stesso all’altro mondo, disubbidendo alle misurazioni umane. Completamente distrutta è la vita del fiume Marcal, cento chilometri di pigre acque. Lunedì scorso una fabbrica che lavorava alluminio nell’Ungheria Orientale ha eruttato 30 milioni di metri cubi di melma cremisi, pestilenziale, avvelenata. E come un vulcano chimico infuriato ha seppellito la piccola Pompei fatta di sei villaggi.
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán si è recato personalmente nei luoghi della sciagura. Di fronte a lui si stendeva un paesaggio devastato, dove ogni cosa aveva perso colore, ricoperta dalla patina bruna e melmosa. «Qui non si può vivere», ha detto con gli stivali di gomma ai piedi. Ha annunciato un imponente piano di bonifica che durerà mesi. Ma nessuno tra i contadini che piangono i morti, vuole vivere lì, tra case che non sono più case, e che non saranno mai più case come prima, dopo che il fango ha inghiottito vigneti, rose, persino foto di famiglia. «Dovevo pagare vent’anni di mutuo - ha detto Gábor Harasztos, intervistato dal «Népszabadság», indicando una duna di fango - ora mi resta quello, se lo prenda la banca. I miei due figli non cresceranno qui».
Kolontár rischia di essere una piccola Cernobyl, dimenticata nel cuore dell’Europa orientale. Ottomila abitanti, esisteva fin dai tempi di re Stefano, anno mille, ed era rimasta quasi intatta fino alla modernità. Lì vicino c’era una palude considerata il «paradiso» dei pescatori. Lì, nell’800 ci nacque Mihály Táncsics, scrittore e politico rivoluzionario, enorme barba mazziniana e truci occhi verso gli Asburgo, e patì la galera. E c’era una colonna in ricordo di 76 poveracci che nell’800 partirono emigranti per l’America, in cerca di fortuna. Per il resto, tutto, i colori, i grani, i fiori, erano rimasti uguali da secoli. Il Tempo non aveva graffiato la Natura.
Ora quel «tutto» è distrutto. Quattro morti, tre dispersi, 123 feriti tra i quali 61 ricoverati; stato di emergenza in tre province, Veszprém, Györ-Sopron e Vas. Danni stimati sui dieci miliardi di fiorini (38 milioni di euro), una bonifica dell’area che durerà mesi, se non anni. E per beffarda malignità, la morte è arrivata dalla maggiore fonte di ricchezza della zona, e del Paese: una società che lavora l’allumina, anticamera dell’alluminio. L’Ungheria è tra i massimi esportatori al mondo.
Nelle operazioni di soccorso sono impegnate 500 persone. «Puliamo strade e case con getti d’acqua ad alta pressione», ha detto Timea Petroczi, portavoce dei servizi anticatastrofi. In questo momento i tecnici cercano di ristabilire l’equilibrio del Ph dei fiumi. Ma basterà? Bisognerà raschiare il terreno contaminato per dieci quindici centimetri, sostituendolo. Serviranno centinaia di migliaia di metri cubi di nuova terra (l’area interessata è di quaranta chilometri quadrati). Con costi notevoli. L’Unione europea si è fatta avanti promettendo aiuto, gli ungheresi, con orgoglio hanno risposto che sono certi di poter fare da soli. Secondo i naturalisti, servirà sostituire completamente anche la vegetazione, dall’erba agli alberi. «Senza una neutralizzazione radicale degli agenti inquinanti - dice Béla Farkas il capo della Tatai Környezetvédelmi, compagnia di bonifiche, a «Portfolio.hu» - la vita nella valle del fiume Marcal rischia di essere spazzata via. L’area contaminata diventerà come Marte». Sugli ungheresi marziani aveva scritto un raccontino, negli anni Settanta, uno straordinario umorista, István Örkény. Una novella da un minuto. Sessanta secondi di greve sogghigno sul mondo impazzito. Allora era colpa degli uomini rossi. Stavolta è dipeso dal maltempo, o da calcoli errati sulla tenuta di un bacino. Intanto, l’Ungheria è sempre sull’orlo di Marte.
LA STAMPA 8 OTTOBRE 2010