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salone101GLI ULTIMI GIORNI DI PAOLO BORSELLINO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
Capaci e Via D'Amelio come le stragi delle Torri Gemelle. Il parallelismo fatto da Giancarlo Caselli tra gli eccidi del '92 e la strage dell'11 settembre è decisamente inquietante, ma altrettanto logico.
L'occasione è la presentazione del libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (Bongiovanni-Baldo, Aliberti ed.) avvenuta lo scorso 13 maggio al Salone internazionale del libro di Torino. Rispondendo al moderatore, Anna Petrozzi, l'attuale procuratore di Torino ripercorre le pagine di un libro che “forma e informa”, ma che ugualmente “sconcerta, preoccupa, indigna e inquieta” per i tanti interrogativi senza risposta. L'analisi di Caselli prende fiato dalla propria esperienza di procuratore di Palermo che per primo riceve le sconvolgenti rivelazioni del boss mafioso Mario Santo Di Matteo il quale decide di collaborare con la giustizia proprio con lui. E sono quelle dichiarazioni che improvvisamente aprono uno squarcio sulla strage di Capaci, il primo tassello di verità da parte di uno dei carnefici di quell'eccidio che inchioda alle loro responsabilità il Gotha di Cosa Nostra. Le considerazioni dell'ex procuratore di Palermo sull'importanza di conoscere a fondo tutti gli elementi che ruotano attorno alle stragi di Capaci e via D'Amelio prendono spunto dal falso pentito Vincenzo Scarantino e dal depistaggio al quale si sarebbe prestato. Un depistaggio emerso recentemente dalle dichiarazioni dell'ex boss mafioso Gaspare Spatuzza al quale lo Stato italiano nega lo status di collaboratore di giustizia a dimostrazione della “dannosità” delle sue rivelazioni sul connubio mafia-Stato che gravita attorno al biennio stragista '92-'93. Seguendo la “teoria del rasoio di Occam”, secondo la quale tra le varie cause di un evento si dovrebbe scegliere quella più semplice che ha più probabilità di essere vera, Caselli ripercorre la sequenza di morti eccellenti che apre la stagione stragista '92-'93. L'omicidio del giudice calabrese Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991, apre inevitabilmente quella lunga lista. Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa in Cassazione nel Maxi processo a Cosa nostra, un incarico fortemente temuto dalla mafia, e non solo, a tal punto da decretarne la condanna a morte. Dietro a quell'escalation di morte le palesi collusioni politiche delle correnti andreottiane della Dc prendono forma. Caselli sottolinea lo “stravolgimento della realtà” legato alla sentenza di assoluzione per Giulio Andreotti che rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio atto di accusa nei confronti del 7 volte presidente del Consiglio di cui sono stati accertati fino alla Cassazione i contatti avuti con Cosa Nostra fino al 1980. L'urgenza dell'individuazione dei “mandanti esterni” delle stragi rappresenta uno dei punti salienti dell'intervento del procuratore di Torino che focalizza altresì la convergenza di opposti interessi da parte di una classe politica che persegue violentemente l'obiettivo di annientare sotto ogni profilo la magistratura. Quella stessa classe politica rappresentata da un Premier che reclamizza impunemente la prossima “riforma” della giustizia come emblema di un nuovo sistema giuridico che se fosse stato già varato negli anni '90 non avrebbe permesso la realizzazione di “mani pulite”. Per Giancarlo Caselli gli attacchi ai magistrati che si trovano a dover gestire collaboratori di giustizia possibilmente validi, ma dagli atteggiamenti controversi, rappresentano “un copione vecchio”, già vissuto dallo stesso Falcone e ugualmente pericoloso sotto tutti i punti di vista. Il mistero della scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino viene di seguito affrontato da Lorenzo Baldo, coautore del libro presentato, che ripercorre i passaggi più salienti di questo enigma. Il suo racconto inizia dalla segnalazione dell'esistenza della fotografia del capitano dei carabinieri, Giovanni Arcangioli, che si allontana da via D'Amelio reggendo la borsa di Paolo Borsellino, fino alla scandalosa sentenza della Cassazione che proscioglie dall'accusa di furto aggravato Arcangioli mettendo addirittura in dubbio la presenza stessa dell'agenda rossa all'interno della valigetta di Borsellino. Una rappresentazione plastica di un ennesimo “mistero di Stato”, a tutt'oggi ancora irrisolto. E' infine Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, nonché coautore del libro, ad addentrarsi nei recenti attacchi alla Costituzione perpetrati dall'attuale classe politica. L'analisi di Bongiovanni parte dal 2005, dalla legge creata appositamente contro Caselli per impedirgli di divenire Procuratore nazionale antimafia, fino ad arrivare all'attualità con il rischio di nuovi attentati nei confronti dei magistrati. “E se questi attentati accadranno – sottolinea l'autore del libro – questa volta sarà colpa nostra! Perché noi dobbiamo fare da scudo a questi magistrati!”. E' un excursus storico quello compiuto dal giornalista, carico di similitudini tra il passato e il presente, dove la presenza della “zona grigia” è sempre costante negli omicidi eccellenti e nel depistaggio delle relative indagini. Il direttore di Antimafia Duemila focalizza l'immagine di una parte dello Stato collusa con Cosa Nostra che sferra tutti i colpi possibili nei confronti della parte onesta dello Stato che intende invece fare luce sui “mandanti esterni” del biennio stragista '92-'93. Bongiovanni ricorda quindi il progetto di attentato nei confronti di Caselli negli anni '90 (fortunatamente mai realizzato) evidenziando come alla fine per riuscire a neutralizzarlo sia bastata una firma su una legge ignobile. “Ci sono personaggi – sottolinea il direttore di Antimafia Duemila – che occupano indegnamente alte cariche dello Stato e che sono stati tra i 'mandanti occulti' delle stragi”. L'esempio di uomini politici come il senatore Marcello Dell'Utri, condannato in I° e II° grado per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente indagato per strage, sono solo la faccia più nota di quel Giano bifronte ammantato di una “ragione di Stato”. I recenti attacchi mediatici messi in atto da giornalisti asserviti al potere come Giuliano Ferarra o Augusto Minzolini nei confronti di magistrati come Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, rappresentano per Bongiovanni una gravissima “indicazione” di “bersagli” da colpire per l'ultimo super latitante Matteo Messina Denaro e per il suo esercito. Il direttore di Antimafia Duemila ribadisce quindi la responsabilità e il ruolo determinante della società civile per fare da scudo a quei magistrati che sono a un passo dalla verità sulle stragi del '92 e del '93, appellandosi infine alla richiesta di giustizia che deve appartenere a un intero popolo che non intenda rassegnarsi e diventare ipocrita e soprattutto complice. Giancarlo Caselli riprende di seguito il filo iniziale del discorso tracciato precedentemente. Il procuratore di Torino ribadisce la gravità del momento storico attuale, sottolineando però che nulla è “irreparabile” e che “si può uscire da questa situazione” purchè ai magistrati di Palermo, di Caltanissetta e di Firenze (per quanto concerne le indagini sulle stragi) sia consentito poter lavorare. L'incognita sul futuro resta però contrassegnata da una evidente preoccupazione che unisce Caselli a Bongiovanni, un intreccio di apprensione, speranza e sete di giustizia si fonde in un unico accorato appello nel nome di tutte le vittime della violenza politico-mafiosa.
di Antimafia Duemila
15 maggio 2011
Fotogallery: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/34249/78/