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IL GRAN BAZAR DELLE ARMI TRA ITALIA E IRAN
Il 7 dicembre 2009 Raffaele Rossi Patriarca, avvocato di Torino, ha appena raggiunto l’aeroporto di Nizza. Dalla Costa Azzurra partirà per Teheran. Missione delicata, la sua: piazzare merce militare, elicotteri e spolette per esplosivi, al regime degli ayatollah. Prima della trasferta in Francia, Rossi Patriarca aveva avuto garanzie sull’importanza di quel viaggio, direttamente da chi glielo aveva organizzato, il suo amico Nejad Hamid Masouri, ufficialmente corrispondente da Roma di una televisione iraniana, in realtà, si sospetta, agente dei servizi d’intelligence.
Dal 3 marzo Rossi Patriarca e Masouri, insieme ad altre 5 persone, tra cui un altro iraniano, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Milano nell’ambito dell’“operazione Sniper” (cecchino). Pesanti le accuse nei loro confronti: associazione a delinquere, esportazione illegale di armamenti verso uno Stato sottoposto a embargo. Divieto assoluto, quindi, di fornire all’Iran materiale bellico, o anche di “dual use”, duplice uso, civile e militare. C’è di tutto nell’indagine: anche dispositivi di puntamento   della tedesca Schmidt & Bender, duemila euro l’uno, in dotazione ai Nocs, ai marines e alle teste di cuoio, l’ideale per i cecchini; proiettili a carica esplosiva di produzione russa e bulgara; regolatori di tensione e altri strumenti elettronici di impiego militare; provviste di zirconio e nickel, una miscela per ordigni; paracadute per uso militare. Per aggirare l’embargo l’unico modo è “schermare” ogni acquisto con una manovra “triangolare”, dove spesso l’ultima tappa, prima che i prodotto arrivino in Iran, è Dubai. La reazione del governo iraniano alle manette per Masoumi, immediata, è aspra e violenta. Venerdì 5 marzo l’ambasciatore italiano a Teheran, Alberto Bradanini, viene convocato al ministero degli Esteri per sentirsi dire che l’inchiesta milanese del pm Armando Spataro è “un’iniziativa propagandistica”. Non basta. L’ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Ali Hosseini, chiede subito alla Farnesina di liberare il giornalista della Tv Irib, nonché di potergli parlare. Infine, perfino un conservatore moderato come Ali Larijani, presidente del Parlamento, si scaglia contro il governo italiano che “deve rispondere   del suo comportamento indecente… (del suo) piano infantile… di una messa in scena ridicola… da satira politica”.   Ma, secondo le accuse è proprio Masoumi, 50 anni, dal ’93 in Italia, ex dipendente dell’Iran Air, il referente di Rossi Patriarca, avvocato d’affari. È lui che gli procura il biglietto aereo per Teheran. Ed è lui che alle 12 e 46 dell’11 novembre chiama in patria Amir Reza Hakimi, indagato, ma sfuggito all’arresto, che lo assicura: “Noi abbiamo mandato i documenti per il ministero degli Esteri, per servizio segreto”. Masoumi garantisce per Rossi Patriarca: “È un gran avvocato in Italia che ha dei grandi clienti”. Vero. È rappresentante della “Bell Helicopter UK”, di “Aviation Professional Ltd” di Torino e della “21 Invest Europe BV”, sede in Olanda.
Grazie all’intervento di Hakimi, dirigente dell’impresa “Meskin Haklgheh Eng. Co.”, fornitrice del governo iraniano e interessata all’acquisto di elicotteri, Rossi Patriarca, nei suoi cinque giorni in Iran, ha incontri con alti ufficiali dell’aeronautica, agli ordini di un generale “pluridecorato di guerra”. Offre poi in affitto l’elicottero “Eurocopter Dauphin”, ma in suoi interlocutori vorrebbero un “Super Puma”. Contatta in seguito una società svizzera, la “Eagle Helicopter” per avere, sempre in affitto, un elicottero. A fine gennaio va perfino a Oslo, sempre a caccia di elicotteri. Ma viene trattato con sospetto e non se ne fa niente.   Per ovvie ragioni: paura dell’embargo. Esportare armamenti in Iran è rischioso. Ne sa qualcosa lo stesso Masoumi che si spinge un po’ troppo in là, oltre la “border line”. Se “operazione sniper” è scoppiata, è stato per causa sua. Tutto è nato nel settembre 2008 quando all’aeroporto Otopeni di Bucarest la dogana blocca un partita di 200 sistemi di puntamento “Schmidt & Bender”, quelli dei cecchini. Chi li ha importati? La ”Dynamics International” di Bucarest, società amministrata da Guglielmo Savi, titolare della “Si-rio srl”, domiciliata a Cadeo, in provincia di Piacenza. È sufficiente consultare il registro del commercio romeno per imbattersi in una notizia ghiotta: nel febbraio 2008, nell’atto costitutivo della “Dynamics”, presso l’avvocato Carmen Radu, spunta il nome del giornalista della tv iraniana. Sempre lui, Masoumi, insieme a Savi e a un altro iraniano, Adel Khobandek. Alla fine, comunque, la triangolazione di quei sofisticati prodotti militari, da Sirio-Italia a Dynamics-Romania, non è andata a buon fine. In Iran non sono mai giunti. Per questo molta curiosità suscita scoprire che in passato ottiche “Schmidt & Bender” sono state rintracciate dalle truppe inglesi durante una rivolta a Bassora, Iraq, tra il 2006 e il 2007. Da quale operazione triangolare venivano?  

di Leo Sisti
IL FATTO QUOTIDIANO 9 MARZO 2010