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Dal Sudan all´Angola, la rete delle nuove alleanze cinesi
Hu Jintao ha inaugurato il 2009 con una visita in Senegal, Tanzania, Mali e Mauritius
L´interscambio tra il colosso asiatico e il continente nero è decuplicato negli ultimi 10 anni
PECHINO - Per difendere il dittatore del Sudan accusato di crimini di guerra, la Cina mette in campo il suo peso politico ed economico, nonché lo status speciale di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell´Onu. Il prezzo d´immagine che Pechino sa di pagare - l´indignazione dell´opinione pubblica occidentale - è poca cosa in confronto ai dividendi di questa operazione.
Interessi economici, influenza politica, espansionismo militare: tutta la strategia neo-imperiale della Repubblica Popolare è visibile nella tragedia del Sudan. La Cina compra i due terzi del petrolio del Sudan, in cambio dà generose forniture di armi al regime di Omar al-Bashir. Dal Sudan orientale parte un´oleodotto di 1.500 km che arriva al Mar Rosso, dove una processione costante di superpetroliere cinesi fa la spola con i porti di Hong Kong e Shanghai, i petrolchimici e le fabbriche del Guangdong. Nessuna campagna umanitaria - neppure la minaccia di boicottaggio delle Olimpiadi l´anno scorso - ha incrinato il suo rapporto preferenziale con un prezioso fornitore di energia.
La partita sudanese racchiude interessi ramificati per la leadership di Pechino. Sul fronte diplomatico i dirigenti comunisti cinesi sanno che la loro posizione, invisa all´Occidente, è popolare fra i regimi illiberali del Terzo mondo: una folta constituency che è pronta a ricambiare il favore.
Pechino fa sbarramento contro il diritto d´ingerenza umanitaria in nome della «non interferenza negli affari interni» degli Stati sovrani. In cambio la Cina mobilita un ampio fronte di solidarietà tra i Paesi emergenti ogni volta che i suoi abusi contro i diritti umani finiscono sotto accusa, per esempio sul Tibet. Quando il mese scorso il Consiglio per i diritti umani dell´Onu ha passato in rassegna il dossier di Pechino, le timide critiche occidentali sono state sommerse da un coro filo-cinese di alleati africani, asiatici, latinoamericani.
La recessione non distrae i dirigenti cinesi dai loro obiettivi strategici di lungo termine: l´accesso a tutte le aree del pianeta ricche di energia, materie prime e raccolti agricoli; la conquista di nuovi mercati; il potenziamento di un dispositivo militare capace di proiettarsi a largo raggio in tutte le aree vitali per gli interessi della Cina. Le riserve petrolifere del Sudan insieme con tutto il Corno d´Africa sono nel mirino dell´espansione cinese. È visibile il ruolo della marina cinese nelle operazioni anti-pirateria al largo della Somalia: vi opera il contingente navale dell´ammiraglio Du Jingchen, che dal Golfo di Aden presidia le rotte cruciali fra l´Oceano Indiano e il Mediterraneo, insidiando un´area storicamente importante per l´America e l´Europa.
Il Sudan è un tassello nel vasto mosaico che è la "sinizzazione" dell´Africa. Via via che l´influenza occidentale si è indebolita nel continente nero, Pechino ha colto ogni opportunità per sostituirla in tutti i campi: commercio estero, investimenti per la costruzione di infrastrutture, aiuti finanziari, forniture militari. L´interscambio tra il colosso asiatico e i suoi partner africani è cresciuto del 1.000% in un decennio. Punte di lancia della penetrazione in Africa sono dei potenti conglomerati di Stato legati a doppio filo all´Esercito Popolare di Liberazione, come Norinco e Poly Group. La conquista dell´economia africana viene celebrata in nome dell´aiuto allo sviluppo, dell´amicizia fra i popoli: la Cina si presenta come un modello di modernizzazione autoritaria che seduce le dittature del Terzo mondo. Da anni è tradizione che il presidente cinese subito dopo il Capodanno lunare parta per una tournée diplomatica africana.
Non fa eccezione l´Anno del Bue: Hu Jintao ha inaugurato il 2009 con una visita in Arabia saudita subito seguita da quattro tappe africane, Senegal, Mali, Tanzania e Mauritius. Simultaneamente il ministro degli Esteri Yang Jiechi visitava Uganda, Ruanda, Sudafrica e Malawi. In Tanzania l´ultimo affare messo a segno dai cinesi è l´acquisizione del 50% della compagnia aerea di Stato. Il veicolo finanziario usato da Pechino per questo investimento è un protagonista importante dell´espansionismo cinese: Sonangol International, una joint-venture tra la Repubblica Popolare e l´Angola, altro fornitore di petrolio. Nella Repubblica democratica del Congo il governo cinese ha lanciato un "piano Marshall" da 9 miliardi di dollari: il Paese controlla il 10% di tutto il rame mondiale e un terzo delle risorse planetarie di cobalto.
LA REPUBBLICA 6 MARZO 2009 - FEDERICO RAMPINI