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Con 40,6 miliardi di dollari in valori correnti l'Italia mantiene anche nel 2008 l'ottavo posto nel mondo per spese militari: lo si apprende dal Sipri Yearbook 2009 (sommario in .pdf), l'annuale 
rapporto reso noto ieri dall'autorevole Istituto di ricerche di Stoccolma. L'incremento del budget militare nazionale è dell'1,8%, ma il costo sociale per ogni italiano è molto più alto perchè la spesa 
pro-capite del nostro paese è di 689 dollari, una delle maggiori al mondo, e per il quinto anno consecutivo supera di gran lunga quella Germania (568 dollari) e da vari anni anche quella di altri paesi del G8 come Russia (413 dollari) e Giappone (361 dollari).

Giorgio Beretta
Martedì, 09 Giugno 2009
L'Italia ricopre il 2,8% della spesa militare mondiale che vede gli Stati Uniti stabilmente al primo posto con una spesa di 607 miliardi di dollari (il 41,5% del totale mondiale), seguita per la prima volta dal dopoguerra dalla Cina - i cui dati "stimati" riportano un incremento del 10% e si aggirano sugli 84,9 miliardi di dollari (il 5,8% del totale) e quindi dalla Francia che con 65,7 miliardi di  dollari (il 4,5% del totale) nel 2008 supera per spese militari la Gran Bretagna (65,3 miliardi pari al 4,5%) seguita dalla Russia che riporta valori "stimati" di 58,6 miliardi di dollari pari al 4% del  budget militare mondiale. Seguono quindi la Germania (46,8 miliardi di dollari che ricoprono il 3,2% del totale), il Giappone (46,3 miliardi pari al 3,2%), l'Italia (40,6 miliardi pari al 2,8% mondiale), l'Arabia Saudita (38,2 miliardi pari al 2,6%) e completa la top ten l'India con 30 miliardi di dollari (il 2,1%).
Nel complesso - riporta il Sipri - nonostante la crisi finanziaria internazionale la spesa militare nel mondo è cresciuta in un anno del 4%, raggiungendo nel 2008 i 1.464 miliardi di dollari in valori  correnti (oltre 1000 miliardi di euro), ovvero i 1.226 miliardi in valori costanti (era di 1.214 miliardi in valori costanti nel 2007) raggiungendo così la nuova cifra record dagli fine degli anni della Guerra Fredda. Solo nell'ultimo decennio l'incremento è stato del 45% e la spesa militare corrisponde oggi al 2,4% del Prodotto interno lordo mondiale e costa in un anno 217 dollari per ogni abitante del pianeta.
Analisi di Unimondo dei Rapporti Sipri:
- Sipri 2008
- Sipri 2007
- Sipri 2006
- Sipri 2005
- Sipri 2004
La differenza tra le diverse regioni geopolitiche del mondo è ovviamente ampia: a fronte di una spesa militare complessiva dei paesi del Nord America di oltre 564 miliardi di dollari quella dell'America Centrale e del Sud non raggiunge i 39 miliardi; una cifra che è comunque superiore rispetto a quella di tutta l'Africa - che nell'ultimo decennio riporta un incremento del 40% - dove nell'insieme è di circa 20,4 miliardi di dollari. L'Oceania è il continente con minor spesa militare (16,6 miliardi), mentre l'Asia sfiora i 190 miliardi di dollari di cui 157 miliardi sono spesi dai Paesi dell'Asia Orientale. Le spese del continente europeo (320 miliardi di dollari) sono suddivise in oltre 277 miliardi per il paesi dell'Europa occidentale e centrale e 43,6 miliardi di dollari per l'Europa 
Orientale che -secondo il Sipri - è nell'ultimo decennio la zona con maggior incremento del budget militare (più 174%) seguita dai paesi del Nord Africa (più 94%) e del Nord America (più 66%), mentre il Medio Oriente presenta un aumento del 56%. Per quanto riguarda i singoli paesi va segnalato che tra il 2007 e il 2008 il budget militare dell'Iraq è cresciuto del 133%.
A parte l'Europa occidentale e centrale, dal 1999 tutte le regioni del mondo hanno visto "significativi incrementi" della spesa militare - riporta il Sipri. "Durante gli otto anni della presidenza di George W. Bush, la spesa militare è aumentata a livelli che non si registravano 
dalla Seconda Guerra Mondiale soprattutto per i costi dei conflitti in Afghanistan e Iraq: un incremento che ha contribuito all'impennata del deficit del bilancio Usa. I due conflitti sono stati sovvenzionati con provvedimenti supplementari d'emergenza fuori dal regolare budget e 
sono stati finanziati attraverso prestiti" - segnala il Sipri. 
"L'impiego di fondi supplementari ha sollevato preoccupazioni circa la trasparenza e i controlli del Congresso. I due conflitti - conclude il Sipri - continueranno, nel prossimo futuro, a richiedere ingenti risorse anche a fronte di un possibile ritiro delle truppe Usa dall'Iraq". Nel complesso le guerre in Afghanistan e in Iraq sono costate agli Stati Uniti circa 903 miliardi di dollari.
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE DI ARMAMENTI
Per quanto riguarda il commercio internazionale di armamenti, nonostante una flessione nell'ultimo anno che - secondo il Sipri "Trend-indicator value" ha visto i trasferimenti internazionali passare dai quasi 25,4 miliardi di dollari (in valori costanti) del 2007 a meno di 22,7 miliardi del 2008 - "dal 2005 si registra un trend di incremento nelle consegne dei maggiori sistemi di armamento 
convenzionale". Va però notato che il "valore finanziario" è molto superiore: si tratta nel 2007 di oltre 51,1 miliardi di dollari e le cifre - avverte il Sipri - sono al ribasso in quanto non comprendono le esportazioni della Cina e di altri importanti paesi esportatori che non rendono noti i loro dati. La media del quinquennio 2004-8 è comunque superiore del 21% rispetto al quinquennio 2000-4 e Stati Uniti (31% del totale) e Russia (25%) rimangono i principali esportatori di armamenti seguiti da Germania (10%), Francia (8%) e Gran Bretagna (4%). Questi cinque paesi ricoprono quasi l'80% del volume di trasferimenti di armi, sono stati i primi cinque esportatori mondiali di armi sin dalla fine della Guerra Fredda e nell'insieme hanno mantenuto i 3/4 dell'export annuale di armamenti.
Tra i maggiori importatori di armamenti convenzionali, la Cina con l'11% del totale è il principale acquirente mondiale del quinquennio 2004-8, seguita dall'India (7% del totale), Emirati Arabi Uniti (6%), Corea del Sud (6%) e Grecia (4%). Il principale fornitore della Cina rimane la Russia ma - nota il Sipri - le consegne russe si sono "ridotte fortemente" nel 2007 e 2008 in quanto "la Cina ha impiegato il proprio accesso alle tecnologie russe per sviluppare armamenti in proprio, in taluni casi copiandoli illegalmente da componenti di fabbricazione russa: i due paesi hanno sottoscritto nel 2008 un accordo di proprietà intellettuale specifico per sistemi militari".
Il Sipri Arms Transfers Database segnala nel quinquennio 2004-8 esportazioni di sistemi militari convenzionali dagli Stati Uniti per un valore di oltre 34,9 miliardi di dollari (in valori costanti),  seguiti dalla Russia (28,5 miliardi), Germania (11,5 miliardi), Francia (9,6 miliardi), Gran Bretagna (5,1 miliardi), Olanda (3,8 miliardi) e Italia (2,8 miliardi). Nel 2008 l'Italia sarebbe superata dalla Spagna ma va ricordato che il database del Sipri è in costante aggiornamento e - come riporta il Rapporto della Presidenza del Consiglio - nel 2008 l'Italia ha effettuato consegne di armamenti ad 
uso militare per un valore complessivo di quasi 1,8 miliardi di euro (vedi tabella in .pdf), un record dall'entrata in vigore della legge 185 che dal 1990 regolamenta la materia.
I PRINCIPALI PRODUTTORI DI ARMAMENTI
In generale la produzione globale di armamenti ha continuato ad aumentare nel 2007 quando le vendite delle cento principali aziende del settore hanno raggiunto i 347 miliardi di dollari registrando un incremento del 11% in valori nominali: dal 2002 queste aziende hanno 
incrementato le proprie vendite del 37%. Tra queste cento, 44 sono aziende negli Stati Uniti e nel 2007 hanno assunto il 61% delle vendite (nazionali e internazionali) di armamenti mentre le 32 
maggiori industrie dell'Europa occidentale hanno rilevato il 31% della produzione e le industrie di Russia, Giappone, Israele e India hanno assunto il rimanente 8%.
Nel 2007 le dieci principali aziende produttrici di armamenti - escludendo quelle cinesi - risultano la Boeing con vendite di armamenti per quasi 30,5 miliardi di dollari, seguita dalla britannica BAE Systems (29,9 miliardi), e quindi dalle statunitensi Lockheed Martin (29,4 miliardi), Northrop Grumman (24,6 miliardi), General Dynamics (21,5 miliardi) e Raytheon (19,5 miliardi). Al settimo posto è segnalata l'europea EADS (13,1 miliardi) seguita dall'americana L-3 Communications, dall'italiana Finmeccanica e dalla francese Thales (9,3 miliardi).
L'azienda italiana Finmeccanica, grazie al sostegno del Ministerio dell'Economia che ne è il principale azionista, da diversi anni occupa un posto nella "top ten" delle aziende produttrici di armi e anche nel 2007, con oltre 9,8 miliardi di vendite, mantiene il nono posto nel mondo. Ma soprattutto è segnalata dal Sipri per l'acquisizione nel 2008 dell'azienda americana di elettronica militare DRS Technologies: un'operazione del valore di 5,2 miliardi di dollari che rappresenta la 
prima e principale acquisizione di una compagnia militare americana da parte di una ditta dell'Europa continentale.
Altri importanti capitoli del Sipri Yearbook sono dedicati alla sicurezza internazionale - al cui riguardo l'Istituto di Stoccolma nota che "il 2008 ha visto un incremento delle minaccia alla  sicurezza, alla stabilità e alla pace in quasi ogni parte del globo", al problema delle vittime dei conflitti e in particolare agli sfollati e rifugiati, del controllo del commercio di armamenti - in cui una parte è dedicata al recente 'Trattato per la messa al bando delle bombe a grappolo' ("cluster bomb"), alla proliferazione di armamenti nucleari e agli embargo internazionali di armamenti.
Giorgio Beretta
*Le cifre del commercio internazionale di armamenti sono riviste annualmente dal Sipri e, proprio per i continui aggiornamenti apportati al Arms Trasfer Database, i dati riguardanti i diversi anni 
non sempre coincidono con quelli offerti precedentemente dal suddetto Database e riportati in precedenti nostri articoli.
Tratto da: http://www.unimondo.org/In-primo-piano/Sipri-nel-2008-l-Italia-ottava-per-spese-militari-e-nell-export-di-armi

Italia: record dell'export di armi, sparito l'elenco delle "banche armate"
Giorgio Beretta
Martedì, 31 Marzo 2009
Il Mangusta di AgustaWestland
C'è un "made in Italy" che si spalanca brecce nei mercati internazionali: quello delle armi. Una vera "potenza di fuoco". E' infatti, un duplice nuovo record e - in una certa parte - per decisione bypartisan visto che fino ad aprile le autorizzazioni sono state rilasciate dal precedente Governo. Dal Rapporto del Presidente del Consiglio sulle esportazioni di armamenti italiani - che è online  da oggi e che Unimondo analizza in anteprima - le autorizzazioni all'esportazione di armamenti italiani nel 2008 hanno superato i 3 miliardi di euro con un incremento che sfiora il 29% rispetto al 2007 
mentre le consegne effettuate raggiungono gli 1,8 miliardi di euro. A cui vanno aggiunti i quasi 2,7 miliardi di euro di autorizzazioni relative a Programmi Intergovernativi.
Spiega senza troppi giri di parole il Rapporto del Presidente del Consiglio: "L’industria italiana per la difesa ha, quindi, consolidato e incrementato la propria presenza sul mercato globale dei materiali per la sicurezza e difesa, confermandosi un competitivo integratore di sistemi, capace di affermarsi in mercati tecnologicamente all’avanguardia". E se il Rapporto evidenzia con dovizia di particolari i principi, i divieti, i criteri e anche le competenze delle diverse amministrazioni secondo la legislazione vigente (la legge 185 del 1990), per la Presidenza del Consiglio quello delle armi sembra essere soprattutto un "mercato globale" nel quale l'industria italiana è sicuramente "competitiva" e "capace di affermarsi".
Competitività che si afferma non solo nei Paesi della Nato e dell'Ue - ma anche in quelli del Sud del mondo che sono stati autorizzati a ricevere più del 30% (pari a quasi 928 milioni di euro) delle 
esportazioni militari italiane. Non è un caso, quindi, che il principale destinatario di armamenti italiani sia la Turchia che con oltre 1 miliardo di euro si aggiudica da sola una fetta di quasi il 
36% delle autorizzazioni. La nazione medio orientale dalla quale - secondo l'ultimo rapporto di Amnesty - "sono continuate a pervenire denunce di tortura e altri maltrattamenti e di eccessivo impiego della forza da parte delle Forze dell'ordine" e che l'associazione denuncia per "violazioni dei diritti umani" - si vede concessa tra l'altro l'autorizzazione a generici "elicotteri" (Rapporto pg. 20), ma che - come annunciava lo stesso ministro della Difesa turco - sono "elicotteri da combattimento" adibiti a "ricognizione tattica e attacco bellico". Forse il semplice fatto che la Turchia sia un partner Nato e che si trattava di elicotteri ha fatto "sorvolare" su qualche denuncia ribadita dalle associazioni per la difesa dei diritti umani e per il disarmo. Ma AgustaWestland - una controllata di Finmeccanica di cui il principale azionista è il Governo italiano - ha inaugurato lo scorso anno a Ankara i suoi nuovi "Regional Business Headquarters" ed è perciò chiaro che "business is business".
Se al secondo posto per autorizzazioni compare il Regno Unito (254 milioni di euro), al terzo posto spicca l'India che con quasi 173 milioni di euro ricopre il 5,7% dell'export italiano di armi. Un 
tentativo forse di iniziare a "pareggiare" la maxicommessa dello scorso anno al Pakistan: se New Delhi, infatti, ha acquistato nel 2008 tra l'altro "una nave logistica classe “Etna” prodotta da 
Fincantieri" (pg. 23) nuovi e consistenti affari sono in programma visto che AgustaWestland si è recentemente alleata con la Tata pr andare "all'assalto dell’India" e non intende certo fermarsi agli 
elicotteri AW119 da "sorveglianza e ricognizione" ma - come spiega un esperto del settore - AgustaWestland propone l’AW129 Mangusta all’Aeronautica indiana che vuole 22 elicotteri d’attacco".
Tra i primi dieci acquirenti internazionali figurano inoltre altri due paesi non appartenenti alla Nato e all'Ue: la Libia che si vede autorizzati ordinativi per oltre 93 milioni di euro soprattutto per 
elicotteri Agusta A 109 e l'Algeria che acquista tra l'altro sempre elicotteri Agusta (modello EH 101 Sar) per una commessa complessiva di oltre 77,5 milioni di euro. Non vanno però dimenticate, sempre verso paesi non Nato-Ue, le consistenti autorizzazioni a Nigeria del valore di quasi 58,9 milioni di euro principalmente per aerei ATR42 "per il pattugliamento marittimo", Oman (57.1 milioni), Brasile (43,4 milioni), Emirati Arabi Uniti (39.3 milioni), Venezuela (35,8 milioni), Kuwait (30,1 milioni), Pakistan (29,8 milioni), Arabia Saudita (22,6 milioni ), Egitto (16,9 milioni), Malaysia (7,4 milioni), Indonesia (3,8 milioni), Cile (1,9 milioni) e Israele (1.9 milioni). Insomma un bell'elenco di Paesi del Sud del mondo, in conflitto e in zone di forte tensione tra cui non pochi spesso denunciati per violazioni dei diritti umani dalle organizzazioni internazionali.
Ma le preoccupazioni non si fermano qui. Dal Rapporto del Presidente del Consiglio è sparita - senza alcuna spiegazione al riguardo - la tabella delle banche che forniscono servizi d'appoggio al commercio di armi. Una tabella di non poco conto considerato che le autorizzazioni alle operazioni raggiungono la cifra - anche questa record - di oltre 3,7 miliardi di euro. Sembra difficile considerarla una semplice dimenticanza visto che lo scorso anno la campagna che segue con  attenzione questo ambito e cioè la Campagna di pressione alle 'banche armate' aveva già denunciato la sparizione dalla Relazione della  Presidenza del Consiglio dell'importante "elenco di dettaglio" delle operazioni che le banche forniscono all'export militare. Il nuovo Rapporto del Presidente del Consiglio si impegna però a "incrementare ulteriormente la trasparenza sulle attività fornendo, ove necessario, eventuali approfondimenti su temi di particolare interesse". La mancanza ingiustificata dal Rapporto dell'elenco delle banche che svolgono queste operazioni non sembra proprio andare in questa direzione. C'è da augurarsi che la "sparizione" dell'elenco non riguardi anche l'intera Relazione che il Presidente del Consiglio - ai sensi della legge vigente - avrebbe dovuto far pervenire oggi al Parlamento.
E c'è da augurarsi, infine, che non rimanga una mera promessa anche l'impegno che la Presidenza del Consiglio afferma nell'ultima riga del Rapporto: "Verrà, infine, posto ogni sforzo per continuare il dialogo con i rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative (ONG) interessate al controllo delle esportazioni e dei trasferimenti dei materiali d’armamento, con la finalità di favorire una più puntuale e trasparente informazione nei temi d’interesse". Viste le premesse che si ricavano da questo Rapporto (aumento delle esportazioni "a rischio" e verso Paesi del Sud del mondo, minor trasparenza, presumibili modifiche della legge 185 per recepire le nuove direttive sui trasferimenti intra-europei dei armi) le associazioni attente all'export di armi avranno non poco lavoro.
Giorgio Beretta
Riporteremo nei prossimi giorni ulteriori analisi del Rapporto e i commenti della Rete Disarmo e delle associazioni e campagne.
tratto da:   http://www.unimondo.org/Notizie/Italia-record-dell-export-di-armi-sparito-l-elenco-delle-banche-armate

Cluster bombs: c'è l'accordo sul Trattato per la messa al bando
Giorgio Beretta
Sabato, 31 Maggio 2008
Munizioni cluster inesplose in Afghanistan
I delegati di 109 paesi riuniti a Dublino hanno raggiunto un accordo sul testo del Trattato per la messa al bando delle bombe a grappolo ("cluster bomb"). Lo ha annunciato ieri sera la portavoce del governo irlandese che ha precisato che "Il testo ha avuto l'assenso di tutti i delegati". Con due giorni di anticipo rispetto al programma, i diplomatici alla Conferenza di Dublino hanno concordato nella forma e nella sostanza il testo del Trattato che, secondo le anticipazioni diffuse da fonti di agenzia internazionali riportate dalla Misna, prevede che ogni stato firmatario si impegni a non usare "in alcuna circostanza" le cosiddette cluster bombs, né a produrre, acquistare,  conservare o trasferire a chiunque, direttamente o indirettamente  questi tipo di armi.
L'accordo impegna i paesi firmatari a provvedere all'assistenza delle  vittime e alla bonifica delle aree interessate e prevede anche la distruzione degli arsenali nel giro di otto anni, ma lascerebbe però la possibilità di impiego di bombe a grappolo più piccole di nuova generazione, in grado di colpire gli obiettivi con maggiore precisione e provviste di un sistema di autodistruzione. L'ultima bozza del trattato permette ai Paesi aderenti al Trattato di continuare a cooperare nel settore della difesa con i Paesi non firmatari. Tra i maggiori produttori di cluster bombs Stati Uniti, Russia, Israele, Cina, India e Pakistan non hanno partecipato al "processo di Oslo" che ha la sua fase finale proprio nella Conferenza di Dublino.
L'intesa è stata raggiunta prima del previsto dopo l'annuncio del governo di Londra che ieri si è detto pronto a bandire le bombe a grappolo in possesso delle sue forze armate, incoraggiando  l'approvazione di un trattato internazionale vincolante in materia, sulla falsariga del Trattato di Ottawa adottato nel 1997 per la messa al bando delle mine anti-persona. Il Foreign Office ha dichiarato che il Primo Ministro britannico Gordon Brown ha sostenuto con forza il Trattato. In serata fonti governative hanno reso nota l'intenzione del governo Brown di estendere il bando anche alle basi Usa in Gran Bretagna non permettendone lo stoccaggio. La decisione sarebbe stata  presa nonostante la contrarietà del Ministero della Difesa. Il governo di Gordon Brown sarebbe comunque disponibile a liberare da subito gli arsenali delle M85, mentre per le M73 sarebbe necessario un periodo di "rimozione progressiva".
La decisione del Primo ministro inglese Gordon Brown di sostenere con forza il trattato per la messa al bando delle cluster bombs è stata accolta con grande soddisfazione dalla società civile. "È sicuramente una svolta estremamente positiva, da parte di un governo che in passato era sempre stato recalcitrante e che possiede vasti stock di questi ordigni" - ha commentato all'agenzia Misna Giuseppe Schiavello,  direttore della Campagna italiana contro le mine, contattato dalla Misna a Dublino dove ha seguito i lavori della Conferenza internazionale. "Si tratta di un'apertura importantissima, ora siamo più fiduciosi sulle conclusioni di questo vertice e ci aspettiamo un 
trattato che possa far passare i diritti umani in primo piano" - ha aggiunto Schiavello. Nei giorni scorsi le campagne avevano espresso timori sulla buona riscita del Trattato e protestato per le 
'fuorvianti pressioni' degli Stati Uniti, pur non presenti alla Conferenza, sui delegati riuniti a Dublino. "E' una grande sconfitta per l'amministrazione Bush" - ha commentato Steve Goose di Human Rights Watch. "Questa Conferenza sta per produrre un trattato forte che mette al bando le cluster munitions e non c'è niente che la Casa Bianca possa fare per contrapporsi".Intanto in Italia, il Senato ha approvato all'unanimità un ordine del giorno bipartisan che chiede al Governo di assumere - nell'ambito della Conferenza di Dublino - una posizione "favorevole alla messa al bando di questi ordigni e di sviluppare un'adeguata azione diplomatica per coinvolgere in tal senso la comunità internazionale nell'adozione di uno strumento giuridicamente vincolante che proibisca la produzione e l'impiego di tali munizioni". Il provvedimento è stato varato con un consenso unanime registrato dal primo voto elettronico della legislatura: i sì sono stati 269, un contrario e uno astenuto ma entrambi questi senatori hanno spiegato che si è trattato di un errore 
nel voto. Maggioranza e opposizione hanno raggiunto un'intesa sul testo, le due mozioni che erano state presentate sono state ritirate ed è nato un unico ordine del giorno a firma della senatrice  democratica Roberta Pinotti e del senatore del Pdl, Giampiero Cantoni. L'approvazione all'unanimità è stata salutata con viva soddisfazione dal Presidente del Senato, Renato Schifani che ha sottolineato come “per le loro caratteristiche le bombe a grappolo possono arrecare danno diretto alla popolazione civile ledendo le norme di un diritto internazionale autenticamente umano".
Secondo la 'Cluster Munition Coalition' (Cmc), solo gli Stati Uniti possiedono tra i 700 e gli 800 milioni di bombe a grappolo: ogni bomba può contenere fino a 650 sub-munizioni che, in base alle ricerche più accreditate, vengono disseminate per un raggio di diverse centinaia di metri e fino al 40% restano inesplose e pronte a detonare sul terreno e le cui vittime sono per almeno il 60% dei casi i bambini. [GB]
Le Cluster bombs nel mondo:
- Tabella di HRW (in .pdf)
- Mappa delle cluster stoccate nel mondo
Il commento della Campagna italiana contro le mine - "Un grande risultato, il migliore che si potesse ottenere in questo momento, considerate anche le pressioni negative esercitate dagli 
Stati Uniti. E' decisamente soddisfatto Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine - che fa parte della più vasta coalizione mondiale Cluster Munition Coalition' (Cmc) - contattato dalla MISNA all'indomani dell'approvazione della bozza di testo da parte di un centinaio di paesi riuniti a Dublino (Irlanda) per formalizzare un trattato internazionale sulla messa al bando delle bombe a grappolo.
Una soddisfazione condivisa dalla maggior parte delle organizzazioni impegnate nella lotta contro le armi, umanitarie, ma anche religiose, come il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) che in una nota diffusa in serata si dice "incoraggiato" dalla decisione adottata da molti governi e spera che altri paesi, tra quelli che non hanno partecipato alla conferenza, possano cambiare idea quando il testo sarà aperto alla firma tra alcuni mesi a Oslo.
"Ottimo", secondo Schiavello, è l'articolo dedicato all'assistenza delle vittime "che prende in esame tutti gli aspetti, senza trascurare l'assistenza alle famiglie, alle comunità, il lavoro delle organizzazioni e racchiude molte esperienze acquisite dalla firma del Trattato di Ottawa" perla messa al bando delle mine, entrato in vigore il 1° marzo 1999. Soddisfacente la cancellazione dell'articolo sulla 'transizione', ovvero un periodo da 8 a 12 anni richiesto da alcuni stati per cominciare ad applicare il testo. Ugualmente soddisfacente, "anche se gli attivisti lo avrebbero voluto più restrittivo", l'articolo sull'interoperabilità, ovvero il divieto per i firmatari di usare le 'cluster bombs' nelle operazioni congiunte o nel caso di intervento in supporto ad altre nazioni.
"Ma l'impegno non finisce qui - sottolinea il direttore della Campagna contro le mine - bisogna ancora firmare il testo e poi ratificarlo. E all'impegno morale deve seguire un impegno concreto, accompagnato da mezzi finanziari. Nel caso italiano, alle dichiarazioni d'impegno non sempre hanno corrisposto i fatti, se si considera la riduzione ai minimi termini del Fondo per lo sminamento umanitario istituito con la legge 58".
(Fonte: MISNA)
Commenti delle Campagne internazionali:
- Giuseppe Schiavello (Campagna mine): Intervista a Vita
- Amnesty International: Momento storico per il disarmo
- Cluster Munition Coalition: Commento agli articoli del Trattato (in inglese)
- Cluster Munition Coalition: "Groundbreaking treaty banning cluster  bombs agreed"
- Human Rights Watch: "US: Defeat at Clusters Parley"
- Red Cross International: "Cluster Munitions: Convention a major step forward for the protection of civilians"
- World Council of Churches: "Churches applaud cluster munitions agreement, expect more states to join"
Tratto da: http://www.unimondo.org/Notizie/Cluster-bombs-c-e-l-accordo-sul-Trattato-per-la-messa-al-bando