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transgenicos_01L'EUROPA APRE AGLI OGM, UNA NUOVA “RIVOLUZIONE VERDE”?
La possibilità che la manipolazione genetica degli organismi sia in grado di comportare conseguenze impreviste nella loro interazione con le altre specie viventi e quindi, in ultima analisi, sull'ambiente, dovrebbe portare gli attuali governi a mantenere un atteggiamento di ragionata precauzione e prudenza, piuttosto che piegarsi, come troppo spesso accade, al volere di un pugno di multinazionali. Eppure non sempre è così.
L'abbinamento di varietà vegetali geneticamente selezionate a sufficienti dosi di fertilizzanti, acqua ed altri prodotti agrochimici, ha consentito infatti in quegli anni e nei decenni successivi un incremento significativo delle produzioni agricole in gran parte del pianeta, ma di sicuro non ha sconfitto la fame nel mondo. Anzi, ha causato enormi danni sia a livello ambientale per il massiccio uso di pesticidi e fertilizzanti, sia socio-economici per l’impatto devastante che ha avuto l’introduzione delle monocolture (procedimenti produttivi agricoli nati ai tempi del primo colonialismo che consistono nell'adibire vaste zone di territorio alla coltura di un'unica specie vegetale, in maniera intensiva e standardizzata, al fine di massimizzare le rese ed ottenere il massimo profitto) su società ed economie fino a quel momento basate su un’agricoltura tradizionale e di sussistenza.
Insomma, come è andata a finire la gloriosa “rivoluzione verde”, madre della quasi-imposizione degli Ogm che stiamo subendo oggi? È bene ricordarlo. Oltre ai problemi che questa "rivoluzione" ha causato - quali perdita di biodiversità ed inquinamento per l’enorme uso di pesticidi e fertilizzanti, maggiore dipendenza economica di contadini fino a quel momento abituati all’auto-sussistenza e maggiore dipendenza dai combustibili fossili di un’agricoltura ormai “industrializzata” - è sufficiente guardare le immagini che ci arrivano ancora dai Paesi poveri. E non è vero che nulla è cambiato anche perché, stando alle stime della FAO, nel 2009 per la prima volta nella storia il numero di persone denutrite sul pianeta ha superato il miliardo di individui.
Se le biotecnologie possono rappresentare una grande opportunità, nel campo dell’alimentazione è indispensabile approfondire le conoscenze riguardanti i potenziali effetti sulla salute dell’uomo e sugli ecosistemi, prima di abbandonarsi ad entusiasmi o a più o meno buoni propositi che, alla fine, possono creare più danni che benefici.
Il principio di precauzione adottato da alcune ditte alimentari e catene di distribuzione, anche italiane, è una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse, come sono quelle relative agli organismi geneticamente modificati.
Anche per questo preoccupano le recenti aperture della Commissione Europea sulle coltivazioni Ogm. Aperture mostrate nonostante non ci sia ancora sufficiente chiarezza sui rischi e gli impatti a medio e lungo termine, e nonostante la maggioranza della cittadinanza europea mostri una certa avversione verso gli OGM, se non altro perché non percepisce alcun vantaggio dall’introduzione di queste nuove tecnologie, anzi, vede fortemente minacciato il proprio diritto di scelta.
La speranza è che l'Italia prenda presto posizione a sfavore di questa ennesima mossa a scopo di lucro attuata dalla sempre più inquietante alleanza fra politica ed economia, utilizzando tutti gli strumenti normativi e amministrativi possibili, seguendo magari l'esempio di Germania e Francia, che per il mais mon810 (unica varietà di mais autorizzata in Europa) hanno già applicato la clausola di salvaguardia interrompendone la coltivazione.
Il via libera UE alla coltivazione della patata Amflora è l’“apertura” dell’unione agli Ogm più evidente. Questa “superpatata” è infatti il primo organismo geneticamente modificato destinato all’uso industriale che potrà essere coltivato nel vecchio continente. Si tratta di un prodotto non destinato al consumo umano, bensì all'industria dei collanti e della carta (è una “patata” ricchissima di amido) o, in alternativa, per l'alimentazione degli animali. Quindi, ancora una volta nessuna innovazione destinata a dare benefici agli esseri umani, ma casomai un aumento del rischio concreto di contaminazione sia in campo che nelle filiere alimentari.
Questa patata, infatti, contiene un gene marcatore antibiotico che può generare resistenza nei batteri naturalmente presenti nel tratto intestinale degli esseri umani o animali, tanto da aver sollevato dubbi e obiezioni persino da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e dell'Agenzia Europea del Farmaco. Problemi, questi, evidenziati anche all'interno del comitato Ogm dell'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che, contrariamente alle consuetudini, si è espressa con voto non unanime ma a semplice maggioranza, registrando posizioni contrarie.
Finora l’unico organismo geneticamente modificato coltivato in Europa era il mais BT della Monsanto, coltivato in Spagna dal 1998, ma la patata Amflora è il primo Ogm europeo di interesse industriale. Primo, ma non unico. Secondo Roberto Defez del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli, infatti "potrebbe aprire la strada a tanti altri prodotti, primi fra tutti riso e grano resistenti alla siccità, interessanti per fronteggiare in futuro gli effetti dei cambiamenti climatici".
Insomma, questi cambiamenti climatici stanno iniziando a diventare un vero problema per l’ambiente: non per le conseguenze relative ad un innalzamento della temperatura media globale, ma perché a causa loro si sta facendo di tutto per promuovere organismi geneticamente modificati ed energia nucleare.
Secondo l’esperto del Cnr bisogna anche considerare che, nonostante la “novità” della patata Amflora, Ogm di interesse industriale sono largamente utilizzati da tempo in tutto il mondo: "si trovano in quasi tutti i detersivi, negli alcolici e nel pane: ce ne sono a centinaia e sono enzimi prodotti da lieviti, batteri e funghi geneticamente modificati" ha dichiarato all'Ansa.
Insomma una battaglia persa in partenza. Ma cosa può fare chi, sottomesso alla legge del profitto che accomuna multinazionali ed istituzioni, vuole essere libero di non saperne di Ogm? Può forse rifugiarsi nell’autoproduzione, se o quando ne ha la possibilità, il tempo, la capacità, lo spazio e, soprattutto, non si ritrova nelle vicinanze una coltura geneticamente modificata potenzialmente in grado di contaminare anche il suo amato orticello.
9 aprile 2010  -  Terranauta