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AUSTRALIA E SUDAFRICA ALL'ASSALTO DELL'URANIO DELLA TANZANIA
In Tanzania il governo sta strutturando un quadro giuridico che permetta lo sfruttamento dell'uranio presente nel Paese. In prima linea due compagnie petrolifere, una sudafricana ed una australiana. Ma in uno dei paesi più poveri della terra, con un apparato amministrativo troppo spesso inadeguato e corrotto, quante garanzie può dare un quadro normativo a fronte dello sciacallaggio che in molti casi contraddistingue le grosse compagnie?
di Romina Arena
Nuove prospettive economiche per la Tanzania. Il governo è al lavoro per elaborare un quadro giuridico col quale regolamentare lo sfruttamento dell’uranio presente nel centro e nel sud del territorio nazionale, diversificando così la produzione del settore minerario, che finora ha interessato soltanto l’attività estrattiva dell’oro di cui il Paese è terzo produttore africano.
Nel 2009 era stata costituita una commissione governativa ad hoc deputata proprio alla stesura di una normativa giuridica dedicata. In questi giorni, il Ministero dell'energia e delle risorse minerali ha assicurato in una nota che entro l’anno dovrebbe essere adottata una legge sull'estrazione di uranio e che gli investitori internazionali avrebbero testimoniato al ministro tanzaniano dell'energia e delle risorse un grande interesse per lo sviluppo di progetti in questo settore, che potrebbero cominciare entro la metà del 2011.
La prima miniera d'uranio ad essere aperta dovrebbe trovarsi in un'area vicino al fiume Mkuju, nella regione di Tuvuma, altre dovrebbero entrare presto in attività nei distretti di Manyoni e di Bahi, nel centro del Paese.
Tutto bene?
Ci piacerebbe, ma non bisogna tralasciare alcuni fattori importanti che influenzano da un lato la struttura governativa e gli assetti economici e dall’altra la semplice morfologia del territorio. Stiamo, infatti, parlando di un Paese estremamente povero e geograficamente esteso, dotato di amministrazioni locali molto deboli e facilmente corruttibili.
Manna dal cielo per le grandi compagnie minerarie che meno ostacoli incontreranno nell’approdare in un territorio vergine tanto meglio sarà per loro. Quelle australiane e sudafricane stanno già preparandosi a questo nuovo assalto al cielo, con in mano le concessioni per la ricerca ed aspettano soltanto che la legge venga approvata.
Le due compagnie in questione sarebbero Mantra Resources Limited e la Uranex NL. La prima è una compagnia mineraria sudafricana che ha condotto studi di pre-fattibilità per conto della società Nyota Prospect, che detiene le quote del Mkuju River Project, confermando la fattibilità tecnica ed economica del progetto e la possibilità di forti margini di guadagno. A fronte di questi studi la compagnia ha già avuto il permesso ad aprire una miniera di uranio dopo che tutte le condizioni ambientali poste dal National Environment Management Council della Tanzania, sono state soddisfatte. Tuttavia manca lo studio di fattibilità definitivo che non è stato ancora presentato. Stessa cosa per l’australiana Uranex NL che il 27 ottobre 2009 aveva annunciato l'inizio della fase finale dello studio di pre-fattibilità per il Manyoni Uranium Project nella Tanzania centrale, ed alla quale il governo tanzaniano seguendo lo stesso copione appena descritto ha accordato il via libera ambientale.
Per un Paese povero e ridotto all’osso, ogni risorsa spendibile e vendibile non è altro che puro guadagno. Infatti, il Governo tanzaniano parla di almeno 26 milioni di tonnellate di ossido di uranio in due siti delle regioni del centro e del sud del Paese e non disdegna di pensare in grande. Pur essendo uno dei Paesi più arretrati tecnologicamente, spera di sfruttare il proprio uranio per aprire una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica utile al mercato nazionale ed ai Paesi vicini, pensando in questo modo di sopperire alle enormi carenze di energie dovute alle centrali idroelettriche messe duramente alla prova dalla siccità e dai cambiamenti climatici.
Difficile credere che questa circostanza non andrà ad ascriversi nel novero delle tante occasioni in cui un paese africano ha concesso lo sfruttamento del proprio territorio a terzi, sperando di trarne qualche vantaggio, salvo poi ritrovarsi a bocca asciutta e soprattutto a pancia vuota.
21 aprile 2010  -  Terranauta