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LA MAREA NERA VERSO LA LOUISIANA POCHE ORE PER EVITARE IL DISASTRO
Dalla piattaforma esplosa ancora petrolio: coste Usa a rischio. Mille barili al giorno escono dai tubi della Bp: al lavoro 32 navi e 500 uomini.
ANGELO AQUARO
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK - Quando dovremmo cominciare a preoccuparci, professore? «Da adesso: anzi, è già tardi». La risposta di Greg McCormack, uno dei più grandi esperti di petrolio, docente all´università di Houston, gela il conduttore della Cnn. La grande macchia nera che si allarga nel Golfo del Messico, estesa più dell´intera New York, tra due giorni potrebbe lambire le coste della Lousiana, il disastro ambientale è alle porte, ma l´America si sta svegliando lentamente dal sonno dei primi giorni.
Sarà stato, per la verità, l´incubo per quell´incidente devastante, undici morti allo scoppio della piattaforma della Deepwater Horizon, la società svizzera affittata dalla British Petroleum per andare a prendersi il petrolio fin laggiù, 1500 metri, profondità impensabili fino a pochi anni fa. Sarà stata, soprattutto, la sicurezza con cui il disastro nelle prime ore era stato negato dai tecnici della Bp, la multinazionale che con l´aumento del prezzo dei petrolio sta segnando quei guadagni record che hanno portato ai suoi manager ricchissimi bonus - su cui adesso, insieme a quelli di Shell, Exxon Mobil e Chevron, indaga il governo.
Ma ora una quantità di petrolio equivalente a mille barili al giorno già sgorga dalle due falle del pozzo che si chiama Macondo, come il paese immaginario di Garcia Marquez, solo che questa non è finzione, questa è realtà tragica. Soltanto le cattive condizioni del tempo che hanno devastato gli Stati Uniti del Sud (una decina di morti) stanno tenendo lontana la chiazza, un´ottantina di chilometri dalle coste della Lousiana, appena una trentina dal paradiso naturale delle isole Chandeleurs.
Venice, Louisiana, la base d´azione della Bp, si è trasformata in una zona di guerra, 500 uomini al lavoro, 32 navi, 5 aerei, «il petrolio è nostro e lo ripuliamo», dicono i manager accorsi dall´Inghilterra, «ce la faremo», continua a ripetere il chief executive Tony Hayward. Ma appena la piattaforma era esplosa, il 20 aprile scorso, mandando a fondo quel gioiellino da 600 milioni di dollari e undici povere vite, sempre i suoi uomini dicevano che era tutto sotto controllo. Adesso i tecnici hanno mandato laggiù i robottini sottomarini ad arginare le falle facendo scattare una sorta di valvola di sicurezza: una tecnica mai provata a quella profondità. Il petrolio viene anche raccolto attraverso una specie di «cupola», di «coppa» gigante, posta sopra le perdite delle pompe: anche questa, però, una tecnica che la pressione a quella profondità potrebbe vanificare. Se l´operazione non riesce nel giro di 48 ore, bisognerà passare al piano B, scavare un altro pozzo e cercare di intercettare le perdite dell´altra bocca iniettando gas e altre sostanze chimiche bloccanti: ma ci vorrebbero settimane, mesi. Probabilità di riuscita? «Prego per il piano A», spiega il prof McCormack «non vorrei dover ricorrere alla seconda ipotesi».
Per gli ambientalisti è già disastro. New Orleans e la Louisiana, economicamente piegate dall´uragano Katrina, agosto 2005, temono per l´industria del pesce, 2 milioni di dollari, per l´ambiente, il turismo. La zona aggredita dalla macchia è un paradiso di mille specie, dalle cernie agli squali, questa è la stagione in cui comincia la riproduzione del tonno rosso.
Il disastro sarebbe anche politico: meno di un mese fa, per la rabbia degli ecologisti, Barack Obama ha cancellato il ventennale veto alle nuove trivellazioni. La grande macchia nera rischia di lambire anche la Casa Bianca.
LA REPUBBLICA 27 APRILE 2010