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ACQUE INQUINATE DA PESTICIDI, I RISULTATI DEL MONITORAGGIO NAZIONALE
Le acque dei nostri fiumi e dei nostri mari sono piene di pesticidi e di una grande varietà di rifiuti. Le prime vittime della contaminazione sono le specie acquatiche. Tra queste, i pesci che, spesso, ritroviamo sulle nostre tavole con garanzia di freschezza e qualità.
di Salvina Elisa Cutuli
I dati del sesto Rapporto Ispra “Monitoraggio nazionale dei pesticidi nelle acque” parlano chiaro: fiumi e acque italiane sono piene di pesticidi. Ne sono stati individuati ben 118 tipi. L'Ispra, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha realizzato lo studio sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente.
Dal nord al sud del paese le contaminazioni sono in continuo aumento anche rispetto agli anni passati. Ad esempio, in Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna, regioni interessate dalla coltura di mais e sorgo, nelle cui coltivazioni si utilizza il Terbutilazina, le acque contaminate sono circa l'80% dei siti analizzati. Nell'area padano-veneta, invece, si regista una forte presenza di Atrazina, residuo di una contaminazione storica, dovuta al forte utilizzo della sostanza nel passato e alla sua elevata persistenza ambientale.
Non è molto diversa la situazione nell'estremo sud del paese, dove le contaminazioni rispetto agli anni precedenti sono aumentate considerando lo spettro delle sostanze analizzate. Vi sono sostanze che in passato non sono state rinvenute con tale frequenza, in particolare il fungicida carbendazim e gli insetticidi metomil e imidacloprid.
Purtroppo non si conoscono i dati di tutte le regioni, perché non tutte li trasmettono: la Calabria non l'ha mai fatto, e la Basilicata quest'anno non ha inviato informazioni. Nonostante al nord e al centro Italia i controlli siano più efficaci, le contaminazioni sono innegabili. Il fiume Po presenta valori critici e decine e decine di sostanze pericolose rinvenute nelle 37 stazioni analizzate, di fatto tutte contaminate ha affermato il curatore del Rapporto, Pietro Paris, che sottolinea "non controlliamo le acque potabili perché lo fanno già i gestori e altri enti, controlliamo i parametri utili per la certificazione di potabilità spostando il report dal controllo minimale previsto dalla legge ad una fotografia più dettagliata, al fine di tutelare l'ecosistema acquatico e l'uomo stesso attraverso la catena alimentare.
Qui l'uso potabile è possibile solo dietro costose depurazioni. Ma il rischio è alto per le specie acquatiche che sostano lungamente e si nutrono con acqua e pesci contaminati". Il Rapporto, conclude il ricercatore Ispra, "fotografa solo una punta dell'iceberg del problema. L'obiettivo è lanciare un appello alle amministrazioni per mitigare i rischi-contaminazione. Mentre già nel 2001 la Francia ha vietato tutte le triazine, qui si fa ancora fatica a invertire una tendenza nella diffusione di questi prodotti, in particolare nella maiscoltura".
Un appello che non serva solo all'Italia, ma al mondo intero. Le acque, che siano fiumi, mari, oceani, laghi, assorbono oltre ai fertilizzanti, tutti i nostri scarti, gli scarti di centinai di migliaia di stabilimenti industriali, rifiuti, sostanze inquinanti che diventano cibo per gli animali che vi “sguazzano” involontariamente e non curanti del veleno che assimilano. Per questo motivo bisogna stare molto attenti a ciò che si mangia.
Non sempre, ad esempio, il pesce appena pescato è sentore di genuinità. Uno dei maggiori rischi a cui si va incontro - soprattutto se si mangia pesce crudo come il sushi o sashimi - è la possibilità di inghiottire quantità non proprio irrisorie di mercurio, oltre alle varie possibili infezioni. Più i pesci sono di grandi dimensioni più assorbono mercurio. Fra i pesci più utilizzati per sushi e sashimi c'è il tonno che accumula mercurio essendo un grosso predatore dei mari.
A tal proposito l'American Museum of Natural History, ha compiuto uno studio specifico. Gli autori hanno preso 100 campioni di sushi di tonno da 54 ristoranti e 15 supermercati di New York, del New Jersey e del Colorado. In tutti è stata analizzata la quantità di mercurio presente, mentre la specie del pesce è stata identificata attraverso l'analisi del DNA. I risultati, pubblicati su Biology Letters, indicano che tutti i campioni contenevano quantità di metallo simili o addirittura superiori rispetto a quelle consentite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dalle normative europee, statunitensi, canadesi e giapponesi.
Il mercurio, si sa, può danneggiare reni e sistema nervoso. La diversa quantità del metallo presente nei pesci dipende molto dalla specie a cui essi appartengono; sussistono delle differenze anche tra i tonni. Il mercurio ha una maggiore affinità con il tessuto muscolare, per cui i pesci più magri tendono a incamerarne di più. “Anche altri elementi contano: il pinna gialla è magro, ma in genere è più piccolo e viene pescato da giovane, quando ha potuto accumulare meno mercurio. Inoltre, è un pesce tropicale e non deve termoregolare la propria temperatura: altri tonni, come il pinna blu, mangiano tre volte tanto per avere l'energia necessaria a mantenere la giusta temperatura”, spiega Jacob Lowenstein, uno degli autori della ricerca statunitense.
Il rischio correlato al mercurio, così come quello relativo alle sostanze diossina-simili, purtroppo non sparisce cuocendo il pesce.
Essere informati aiuta ad essere più consapevoli. Che questo sia l'inizio di una maggiore consapevolezza che spinga l'uomo a rispettare maggiormente il mondo e le vite di quegli animali di cui si nutre, a cui oltre a togliere la vita, gliela avvelena pure.
21 maggio 2010  -  Terranauta