Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Italiano Español English Português Dutch Српски
testa sito 2024
alaska_lago_sitkaNAVI CARICHE D’ACQUA DALL’ALASKA ALL’INDIA
Un’azienda texana apre l’era dell’oro blu: 45 miliardi di litri
prelevati ogni anno per venderli sui mercati dell’Oriente
LUIGI GRASSIA
Dossier/Il business delle risorse idriche. L’acqua si avvia a diventare il petrolio del XXI secolo, un bene prezioso da trasportare in enormi navi-cisterna da un continente all’altro (e a caro prezzo) per sopperire a bisogni essenziali. Nello scorso weekend un’azienda del Texas ha annunciato l’avvio di un enorme progetto transoceanico, in base al quale, ogni anno, 45 miliardi di litri d’acqua verranno prelevati da un lago dell’Alaska, caricati su grandi serbatoi galleggianti, tipo petroliere, portati al di là dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Indiano fino a un enorme serbatoio vicino a Mumbai, in India, che servirà da «hub», cioè da centro di smistamento. Da qui l’acqua sarà distribuita nella stessa India ma soprattutto nei più assetati (e solvibili) fra i Paesi del Medio Oriente, a partire dall’Arabia Saudita e dai ricchi sceiccati del Golfo Persico. La meta più distante (in una prima fase) sarà l’Iraq. Quest’acqua verrà in parte imbottigliata per essere bevuta, ma in grande misura sarà deviata a usi industriali, agricoli e di igiene pubblica. All’inizio, dato il costo non lieve dell’operazione, gli usi diversi dall’imbottigliamento verranno limitati ad attività sofisticate che richiedono molta acqua pulita, ad esempio l’industria farmaceutica, ma col passare degli anni e l’infittirsi del traffico di navi-cisterna diventerà sempre più comune utilizzare per gli scopi più vari, anche i più dozzinali, acqua proveniente da altri continenti.
L’azienda americana che avvia il business è la S2C Global Systems di San Antonio, Texas. L’acqua verrà prelevata dal Blue Lake di Sitka, Alaska, in un’isola appartenente agli Stati Uniti, collocata nell’arcipelago di fronte alla costa orientale del Canada. Il Blue Lake ha il grande vantaggio che la sua acqua è pura e buona da bere (o da destinare ad altri usi che richiedano acqua pura) senza bisogno di essere depurata. Inoltre ce n’è in quantità, e al momento è troppa per i bisogni dell’esigua popolazione locale.
L’oceano vicino al Blue Lake permetterà l’attracco e il caricamento di navi-serbatoio capaci di tenere in pancia 302.833 metri cubi, come una grande petroliera. Presto verranno predisposte le attrezzature di ormeggio. Ogni nave compirà il tragitto verso un’isoletta a Sud di Mumbai (la vecchia Bombay) in 30 giorni, durante i quali un sistema di «ozonizzazione» manterrà il liquido puro. Poi l’acqua verrà scaricata in grandi serbatoi e da qui sarà in parte imbottigliata, in parte versata e sigillata in grandi taniche per usi diversi, in parte caricata su una flottiglia di navi-cisterna più piccole, che facendo la spola la porteranno al massimo entro 4 giorni alle destinazioni finali in Medio Oriente (la meta più lontana sarà il porto di Umm Qasr in Iraq).
Questa e consimili nuove rotte commerciali con l’acqua come merce trasportata disegneranno una geografia economica diversa da quella cui siamo abituati, con i flussi di risorse invertiti, non diretti dai Paesi in via di sviluppo a quelli ricchi ma nel senso opposto. Infatti della risorsa acqua sono dotati, in misura sufficiente all’export su larga scala, soprattutto alcuni Paesi sviluppati: oggi tocca all’Alaska, domani probabilmente vedremo rotte dal Canada, dalla Scandinavia, dalla Nuova Zelanda, forse dal Cile e dall’Argentina, che sono Paesi semi-ricchi, ma più difficilmente dal Brasile, dal Congo o dall’Egitto, perché non basta avere molta acqua per esportarla. Deve anche essere disponibile in riserve naturali incontaminate, come i laghi vicino ai ghiacciai (depurarla prima di imbarcarla sulle navi-cisterna costerebbe troppo), e collocate in zone montuose sì ma anche prossime al mare. Su questi aspetti la geografia favorisce pochi Paesi, che sono già favoriti dalla sorte per altre ragioni. Il destino spesso distribuisce le carte in modo ingiusto.
Il parallelo fra petrolio e acqua regge non solo per i trasporti via navi-serbatoio ma anche per le tubature a lunga distanza. C’è un progetto per portare in questo modo l’acqua attraverso il Mare Adriatico dai Balcani, che ne sono ricchi, all’Italia che ne ha bisogno; in questo caso si tratterebbe di un flusso di segno tradizionale, cioè con la materia prima che viene fornita dai Paesi più poveri a quelli più ricchi. Notevole però che il trasporto internazionale su lunghissima distanza tramite tubi venga adesso concepito anche per l’acqua, mentre finora il costo di condotte molto lunghe si giustificava non per gli acquedotti ma solo per gli oleodotti, che trasportano un prodotto economicamente molto più pregiato.
Ovviamente il timore è che il parallelo fra petrolio e acqua si possa spingere anche oltre, e che così come si sono fatte guerre per il petrolio possano farsene, in futuro, anche per il controllo delle risorse idriche: tensioni sono già sorte fra Turchia, Siria e Iraq per le acque del Tigri e dell’Eufrate, fra Israele e gli arabi per il Giordano, fra i Paesi andini e il Brasile per il Rio delle Amazzoni. Con la popolazione che cresce e i consumi agricoli e industriali in pieno boom, l’acqua potabile, o comunque pulita, sarà sempre più contesa. Si può desalare quella del mare, e questo già si fa, però richiede molta energia. Secondo la S2C il trasporto a lunga distanza è competitivo.
LA STAMPA 25 OTTOBRE 2010