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oceano_01E’ NATO NELL’ATLANTICO IL CONTINENTE DI PLASTICA
Allarme per un ammasso di rifiuti che minaccia la vita marina. 15 milioni di km² L’estensione della chiazza di plastica 10 metri E’ la profondità a cui arrivano i frammenti inquinanti. 
ROBERTO GIOVANNINI INVIATO A CANCUN (Messico)
Sono milioni e milioni di piccoli e grandi pezzetti di plastica, la gran parte più piccoli di un centimetro. Non si vedono da un satellite e non si distinguono nemmeno da una barca. Ma gettando nel mare una rete molto fine si riescono a tirare su. E così si scopre che oltre a quella già scoperta da anni nell'Oceano Pacifico, noi umani siamo riusciti a produrre anche nell'Atlantico settentrionale – più o meno di fronte agli Usa, dalla Virginia fino a Cuba – una mostruosa zuppa di plastica in mezzo al mare. Generata dai nostri rifiuti, e accumulata in questa area dell'Atlantico dall'andamento delle correnti marine.
La prova dell'esistenza di questa «North Atlantic Garbage Patch» l'hanno raccolta gli scienziati della Sea Education Association che, coordinati da Kara Lavender Law in collaborazione con altri istituti di oceanografia come il Woods Hole Oceanographic Institution e la University of Hawaii, nell' arco di 22 anni hanno gettato le loro reti raccogliendo e misurando 64 mila pezzettini di plastica, quasi tutti fatti di polietilene e polipropilene, sparsi tra la superficie e circa 10 metri di profondità. Riuscendo così a fare una mappa dettagliata – pubblicata su «Science» - di questa immensa e immonda zuppa di rifiuti in mezzo al mare: nei punti di maggiore concentrazione si riescono a trovare 250 mila frammenti per miglio quadrato. Non mancano però nemmeno «blob» fatti di una sorta di conglomerato di rifiuti di dimensioni maggiori.
Nonostante il volume mondiale della produzione di plastica sia quintuplicato dal 1976 al 2008, le dimensioni della zuppa di plastica sembrano essere rimaste inalterate. «Viene da chiedersi – dice Kara Lavender Law – se sia possibile che i frammenti si dividano a loro volta in pezzetti più piccoli, e successivamente si depositino sul fondo del mare». Oppure potrebbe darsi che il materiale più pesante progressivamente affondi; oppure, ancora, affonderebbero per il peso dei depositi biologici che la vita marina sedimenta sui frammenti.
Certo è che questa zuppa rappresenta un serio pericolo per la vita marina. Secondo gli scienziati giapponesi dell'università Nihon a Chiba, la plastica si decompone per esposizione alle intemperie, rilasciando numerosi composti tossici che sono assorbiti dagli animali marini con conseguenze potenzialmente drammatiche. Poi certo molti frammenti vengono ingeriti dai pesci, e a loro volta dagli uccelli e poi dai mammiferi.
La chiazza atlantica come quella del Pacifico (la cui dimensione viene stimata da 700 mila a 15 milioni di km quadrati), nasce per il flusso delle correnti, che creano una zona in cui l'acqua ruota lentamente. La macchia di rifiuti del Pacifico è più «antica». Oltre a quella atlantica, cominciano però a notarsi aggregazioni simili anche nel Pacifico al largo del Cile e nell'Atlantico del Sud tra Argentina e Sud Africa.
E il Mediterraneo? Secondo Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, gli studi degli organismi delle Nazioni Unite certificano che circa il 20% dei rifiuti presenti nel nostro mare hanno origine dalla plastica, anche se per le sue peculiarità non esistono fenomeni di aggregazione come quelli oceanici. «In ogni caso – spiega Ciafani – le discariche oceaniche di plastica sono frutto del vecchio modello industriale del Novecento, della plastica non biodegradabile che deriva dal petrolio. Oggi è invece possibile produrre plastiche da materie prime vegetali, come l'amido di mais». Insomma, la soluzione – non produrre più plastica che rimane indistruttibile per decenni – ce l'abbiamo. Speriamo che il danno non sia stato già fatto.
LA STAMPA 11 DICEMBRE 2010