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CANCUN, VITTORIA SENZA ''VINCOLI''
Trovato l'accordo alla sedicesima conferenza delle parti sul clima: previsti nuovi finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, i tagli alle emissioni di Co2, ma si rinviano le decisioni sul futuro di Kyoto. La Bolivia si rifiuta di firmare.
Venuto meno l'out out degli "impegni vincolanti", la sedicesima conferenza delle parti sul Clima di Cancun (Cop16), si è chiusa con un accordo che, oltre le attese, è riuscito a unire la comunità internazionale degli Stati.
Dopo oltre dieci giorni di arduo lavoro diplomatico Patricia Espinosa, la presidente della conferenza, ha annunciato, in seduta plenaria, l'apertura di "nuova era per la cooperazione internazionale sul cambiamento climatico". Ad accogliere le parole della vera mattatrice del summit internazionale, impegnata allo scadere dei lavori in un'opera di convincimento del Giappone, c'è stata l'ovazione dei delegati degli oltre 190 Paesi presenti nella penisola dello Yucatan. Unica nota stonata nell'atto conclusivo di quella che, comunque, è stata un'ottima prova di dialogo fra le potenze, è stato il no della Bolivia a un accordo che, secondo i rappresentanti dello Stato sudamericano, sarebbe troppo blando per riuscire a produrre risultati concreti.
Impossibile riaprire tutto a poche ore dalla fine. Il colpo di scena tentato dagli inviati del governo di Sucre è stato circoscritto a una mera protesta formale, bypassando il principio dell'unanimità sull'accordo, la grande paura della vigilia, e facendo, invece, leva su quello del consenso. Dopo diverse riunioni fiume, protrattesi anche durante la notte, e l'ottenimento del "sì" di Usa, Giappone, Cina, Unione Europea e India, è sembrato a tutti davvero difficile che la Bolivia, unico dissidente di Al.ba, l'Alternativa Bolivariana, potesse compromettere l'intesa raggiunta.
L'accordo, che ha allontanato i fantasmi del fallimento di Copenaghen, è stato salutato da diverse organizzazioni ambientaliste come un primo passo per la lotta al riscaldamento globale, anche se rimane ancora troppo generico per poter bastare, da solo, a condizionare per il futuro le politiche ambientali degli Stati. Come preteso da Washington, non è stata inserito alcun impegno vincolante per i firmatari che, comunque, hanno concordato sulla necessità che gli obiettivi fissati siano molto più rigorosi di quelli previsti l'anno scorso nella capitale danese. Con un testo snello, composto da 32 pagine e diviso in 7 capitoli, si sono auspicati "profondi tagli" nelle emissioni di anidride carbonica al fine di bloccare l'innalzamento delle temperature non oltre i 2 gradi Celsius, rispetto ai livelli preindustriali, con un ulteriore abbassamento, che sarà oggetto di studio, a 1,5 gradi. Si è dunque considerato impossibile fissare il limite a 1 grado, come preannunciato alla vigilia, ma si è anche allontanato lo spettro dei 5 gradi, concordati a Copenaghen e impugnati dai Paesi più soggetti al caldo e agli effetti dello scioglimento dei ghiacciai.
I Paesi ricchi (noti come annex 1) si dovranno impegnare a ridurre le emissioni di anidride carbonica dal 25 al 40 percento entro il 2020, tenendo conto dei livelli del 1990. Quest'ultimo obiettivo vedrà coinvolti solo i firmatari del Protocollo di Kyoto, e quindi non vedrà impegnati gli Stati Uniti che sono sempre rimasti fuori dall'accordo entrato in vigore nel febbraio del 2005.
Il "Cancun act" prevede sostanziali novità anche per quanto riguarda gli aspetti finanziari della lotta al global warming. Viene istituito un nuovo ente internazionale, il Green Climate Fund, con lo scopo di amministrare gli aiuti monetari devoluti dalle potenze ricche ai Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. Il nuovo fondo, che si aggiunge al pacchetto "fast start" da 30 miliardi di dollari, fra il 2010 e il 2013, per gli aiuti urgenti ai Paesi in via di sviluppo (Pvs), prevede il versamento 100 miliardi di dollari l'anno, a partire dal 2020. Fondi, questi, che verranno gestiti per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 Paesi membri (suddivisi fra Paesi ricchi, Pvs, e stati insulari particolarmente colpiti dal riscaldamento climatico ). L'accordo prevede anche politiche di know-how volte a permettere che i Pvs imparino a gestire il contenimento delle emissioni di Co2; e, infine, un programma patrocinato dalle Nazioni Unite (il Redd ndr) che chiede ai singoli Stati di sviluppare dei piani di salvaguardia delle foreste e di rispetto dei diritti delle popolazioni indigene.
Tutto è rimasto fermo, invece, per quanto riguarda i destini del protocollo di Kyoto, sul quale si è deciso di rinviare la discussione al Cop17 che si terrà tra un anno a Durban, in Sudafrica. Troppo forti, per il momento, i veti di nazioni come il Giappone, il gruppo Bric (Brasile, Russia, India e Cina) e gli Stati africani che pretendono un coinvolgimento unanime sugli impegni vincolanti.
Per evitare che le promesse di Cancun rimangano tali, è stato attivato il Cancun Adaptation Framework, una sorta di piattaforma per iniziare la pianificazione e l'implementazione, fuori dalle sedi diplomatiche, dell'accordo che da oggi segna il nuovo scenario delle politiche climatiche mondiali.
Antonio Marafioti
PEACE REPORTER 11 DICEMBRE 2010