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SEMPRE PIÙ CATASTROFI NATURALI IL CLIMA PRESENTA IL CONTO
Terremoti a parte, i grandi eventi distruttivi del 2010 sono riconducibili al riscaldamento globale. L'allarme di Munich Re, il colosso tedesco delle riassicurazioni:  «Ulteriori elementi a conferma dell'impatto del cambiamento climatico». Solo in Russia incendi e ondati di calore hanno provocato 56.000 vittime
Australia, inondazione biblica
Almeno 295.000 morti e danni per 130 miliardi di dollari. Le catastrofi naturali nel 2010 sono state particolarmente devastanti. L’analisi arriva da un colosso delle riassicurazioni, la compagnia tedesca Munich Re, che ha contabilizzato 915 eventi naturali rovinosi durante l’anno che si è appena concluso contro una media di 615 registrata durante gli ultimi trent’anni.
Larga parte di questo tragico bilancio deriva dai terremoti e in particolare da quello di Haiti, il cui anniversario ricorre proprio in questi giorni e che da solo è costato la vita a 222.570 persone. Ma nella graduatoria stilata dalla società assicuratrice, direttamente interessata al mercato dei risarcimenti, ci sono diversi eventi riconducibili al riscaldamento globale: l'ondata di caldo e gli incendi che hanno flagellato la Russia durante la scorsa estate hanno provocato 56.000 morti, le inondazioni che hanno colpito nello stesso periodo il Pakistan sono costate 9,5 miliardi di dollari e 1.760 vittime. I fenomeni estremi che testimoniano l’avanzamento dei cambiamenti climatici interessano anche i paesi industrializzati visto che la tempesta Xynthia ha causato lo scorso febbraio 65 morti e danni per 6,1 miliardi di dollari in Europa occidentale mentre i tornado sono costati agli Stati Uniti nel loro insieme 4,7 miliardi.
È la stessa Munich Re dal proprio sito (il rapporto è reperibile su www.munichre.com) a confermare il legame fra questi eventi e il riscaldamento globale: «L'alto numero di vittime legato a catastrofi naturali e i picchi di temperatura registrati hanno entrambi fornito ulteriori elementi a conferma dell'impatto del cambiamento climatico».
05 gennaio 2011
La Nuova Ecologia.it