Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Italiano Español English Português Dutch Српски
testa sito 2024
QUELLA PLASTICA INVISIBILE CHE SOFFOCA IL MEDITERRANEO
Una ricerca scientifica: peggio che nelle “isole della spazzatura” degli oceani HERVÉ KEMF PARIGI
Eterna Una bottiglia di plastica non si degrada mai completamente. Un accendino di plastica impiega anche mille anni Una busta di plastica venti Una gomma da masticare cinque
Il Mediterraneo è largamente inquinato dalla plastica: una campagna di misurazione effettuata nell’estate 2010 - i cui risultati vengono resi pubblici ora - mostra come vi si trovino livelli di diffusione delle microplastiche paragonabili alle zone identificate come «isole di spazzatura» nel Pacifico e nell’Atlantico. «Sono stati prelevati quaranta campioni nel Nord del Mediterraneo - dice François Galgani, ricercatore nella stazione della Corsica dell’Istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare (Ifremer) -. Abbiamo constatato un valore medio di 115 mila microscarti per kmq. È una concentrazione media superiore a quella dell’Atlantico e del Pacifico».
In questi due oceani le ricerche condotte a partire dal 1997 avevano rilevato zone molto es Salva tese dove grandi quantità di plastica galleggiante si accumulano in modo permanente. Il primo a individuare il fenomeno nel Pacifico era stato Charles Moore della Fondazione Algalita in California. Studi successivi avevano mostrato che il fenomeno si ripete identico nell’Atlantico e nell’Oceano indiano. La concentrazione di plastica si forma in acque relativamente ferme, intrappolate dalle grandi correnti circolari (gyre), che percorrono gli oceani.
Nel Mediterraneo non era mai stato fatto uno studio analogo. Un anno fa l’ha promosso una associazione, Expédition MED, che ha convinto ricercatori di diversi laboratori a parteciparvi. I prelievi sono stati fatti e studiati secondo i metodi scientifici codificati. «Abbiamo utilizzato una rete standard per lo studio dello zooplancton - dice Jean Henri Hecq, del laboratorio di oceanologia dell’Università di Liegi -. Questi organismi hanno una dimensione che va da 200 a 500 micron (un millesimo di millimetro), la stessa della microplastica».
La rete, di nylon a maglie fini e con una bocca larga 60 cm, viene trascinata dietro la barca, il suo contenuto è raccolto a intervalli regolari e conservato per la selezione e l’analisi. «Il prelievo viene fatto solo su qualche centimetro di superficie - precisa Hecq - cioè una porzione molto piccola dell’ecosistema».
La densità di plastica osservata è elevatissima. «Se la estrapoliamo - dice François Galgani - si arriva a un ordine di grandezza di 250 miliardi di microdetriti che galleggiano nel Mediterraneo. Occorre però essere prudenti, si dovranno fare altre campagne di misurazione in altri bacini del mare». Il Mediterraneo comunque già così non risulta meno contaminato degli oceani dalla plastica.
Anche se le quantità in gioco sembrano piccole - i microframmenti dispersi nel Mediterraneo equivalgono a 500 tonnellate - potrebbero però avere un effetto tossico sugli organismi viventi che le ingeriscono. Plastiche di dimensioni superiori si trovano spesso nello stomaco degli uccelli: per esempio il ricercatore olandese Jan Van Frakener ha rilevato la presenza di 0,6 grammi di plastica nello stomaco di uccelli morti nel Mare del Nord - in proporzione sarebbero 60 grammi in un essere umano.
Gli specialisti sottolineano che, in appena sessant’anni di vita su grande scala, la plastica è riuscita a contaminare tutti i mari del globo, mentre la sua biodegradazione è estremamente lenta. Negli Anni 70 si studiavano le macroplastiche, cioè quelle con dimensioni superiori a un centimetro, mentre è solo da una decina di anni che si studiano le micro, più difficili da raccogliere perché le campagne in mare sono relativamente costose. La ricerca è una ricaduta di quella sul plancton, avendo le due sostanze dimensioni comparabili.
Secondo Richard Thompson dell’Università di Plymouth, in Inghilterra, la quantità di microplastiche, dopo un aumento sensibile tra gli Anni 70 e 90, si sarebbe stabilizzata a partire dal 2000. Nell’emisfero Sud, però, le quantità osservate, benché inferiori all’emisfero Nord, aumentano rapidamente.
Sia i livelli esatti di concentrazione delle microplastiche che i loro effetti sugli ecosistemi richiedono studi più approfonditi. Finora questi sono stati condotti soprattutto da associazioni o fondazioni. Ora però una decisione presa nel settembre 2010 dalla Commissione europea impone a tutti gli Stati Ue di seguire l’andamento di una serie di indicatori dell’ambiente marino, tra i quali le sostanze inquinanti, di cui fanno parte le microplastiche. Gli Stati dovranno dunque organizzare da sé lo studio delle conseguenze dell’inquinamento da sostanze plastiche sulle loro coste, soprattutto nel Mediterraneo. Copyright Le Monde
"115.000 microdetriti per kmq"
LA STAMPA 7 GENNAIO 2011