Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Italiano Español English Português Dutch Српски
testa sito 2024
madagascar_bosquesMADAGASCAR, QUANDO PAGA LA FORESTA
Nell'isola africana la crisi politica ha rimesso in moto il commercio illegale del legname pregiato. E in Somalia al Shabaab brucia gli alberi
Un pezzo alla volta, ampie aree di foresta sono sparite e con la stessa velocità scompariranno ancora se il trend non viene arrestato. In Madagascar e Somalia l'abbattimento illegale degli alberi, una piaga in tutto il continente, ha avuto un nuovo e improvviso boom, che ha alla base un contesto politico segnato dal caos e dalla tensione e da gruppi che hanno bisogno di fare cassa.
In Madagascar, dopo che negli ultimi anni si erano registrati forti progressi nella gestione e nella protezione di un patrimonio forestale quasi unico, nel 2010 si è tornati indietro, alla pratica dell'abbattimento selvaggio degli alberi di palissandro che crescono nelle aree protette dell'isola, i quali danno un legno pregiato che viene rivenduto con ottimi margini di guadagno. Come ogni forma di contrabbando, anche quello del legname fiorisce soprattutto in un contesto di instabilità e disordine e il caso del Madagascar non fa eccezione. Il ritorno alle pratiche che l'ultima amministrazione aveva combattuto - e vinto - coincide con la violenza elettorale del 2009 e con il colpo di stato di Andry Rajoelina: in poco più di un anno, sono spariti 20 mila ettari di foresta, oltre centomila alberi ad alto fusto sono caduti in alcune delle zone più ricche e preziose dal punto di vista della biodiversità. Rajoelina aveva promesso ad una opinione pubblica sempre più nervosa e ai gruppi ambientalisti sempre più preoccupati di porre un freno all'attività dei disboscatori. Aveva promesso di destianre risorse economiche all'implemantazione di un piano di salvaguardia della foresta e che avrebbe chiesto ai principali acquirenti - Cina in testa - di non comprare legname pregiato di contrabbando. Belle parole che non hanno avuto seguito, denuncia il Wwf. Difficile che il presidente golpista possa attivarsi realmente, perché il suo regime è isolato ed economicamente alla canna del gas.
Il traffico di legname è l'ultima risorsa alla quale hanno fatto ricorso i miliziani somali di al Shabaab. Non è proprio la legna ciò a cui sono interessati, in realtà, ma il carbone che ricavano dalla combustione degli alberi. Il governo di transizione federale aveva vietato questa attività, che comunque è rifiorita nelle parti del Paese in mano alla milizia filo-qaedista. Una volta la merce veniva imbarcata nei porti di Kisimayo, Mogadiscio e Merka e di fatto in queste ultime due località adesso è considerata illegale e non viene movimentata: resta Kisimayo, per il cui porto passa tra l'80 e il 90 per cento del carbone in uscita dalla Somalia. E' qui, nella città in mano da al Shabaab, che bisogna venire per toccare per vedere quali gruppi alimentino un traffico che rende, non c'è che dire: una busta di carbone costa a chi lo vende cinque dollari e rende tre volte tanto. Raccontano testimoni oculari che ogni settimana sono almeno tre, spesso quattro, le navi cariche di carbone che lasciano il porto di Kisimayo dirette verso i Paesi del Golfo e verso l'Arabia Saudita. Una volta, racconta l'agenzia Irin in una sua corrispondenza, questo traffico era a bassa tecnologia e a bassa rendita. Ora non è più così, ora i gruppi che abbattono gli alberi e li bruciano possono contare su motoseghe di ultima generazione e su un equipaggiamento all'avanguardia. Ma anche nella poverissima e ingovernabile Somalia, non sono pochi quelli che credono che in questo modo al Shabaab stia infliggendo un danno inestimabile al Paese e alla sua popolazione, soprattutto perché la crescita della deforestazione comporta quella del rischio siccità. "E' un'attività molto più pericolosa della pirateria - si dispera il deputato Ibrahim Abeb - questi criminali vanno fermati". Sarebbe bene farlo subito, perché secondo l'International Fund for Agricultural Development presto i danni saranno irreversibili.
Alberto Tundo  -  Peace Reporter