LA «VIA DELLA BOMBA» LOTTA ALLO SPACCIO DI «SPAZZATURA ATOMICA» SOVIETICA
TÈ ALL’URANIO, CESIO NELLE NOCI. CACCIA AI TRAFFICANTI IN GEORGIA
L’America investe 50 milioni per i controlli
DAL NOSTRO INVIATO
SADAKHLO (Georgia) — Il varco elettronico controlla le emissioni radioattive ed è una porta nel tempo che deve tenere il passato dall’altra parte.
Dove la Georgia si appoggia tra l’Armenia e l’Azerbaijan, potrebbero transitare i resti della potenza sovietica, spazzatura atomica che i trafficanti cercano come un tesoro. In questo posto di frontiera, sei anni fa, Garik Dadayan è stato fermato con 173 grammi di uranio arricchito, quello già pronto per la Bomba. Li portava in una scatola da tè, contrabbandiere più avvezzo a smerciare cognac, caviale e sigarette. Avrebbe dovuto venderlo a un intermediario turco e l’acquirente finale «aveva detto di essere un musulmano».
Qui la National Nuclear Security Administration americana ha installato dispositivi iper-sofisticati che fiutano anche la polvere. Cinquanta milioni di dollari spesi in Georgia (e altri 400 nel resto del mondo) per provare a fermare lo spaccio di materiale nucleare. Entro pochi mesi, i venti punti di passaggio (tra porti, aeroporti, dogane) dovrebbero essere attrezzati. La guerra di un anno fa ha rallentato il progetto, i bombardamenti russi hanno distrutto i macchinari a Poti, sul Mar Nero. «Il Caucaso per migliaia d’anni è stato al centro della Via della Seta, corridoio tra Est e Ovest, tra Nord e Sud — spiega Alexandre Kukhianidze, direttore del Transnational Crime and Corruption Center di Tbilisi —. Adesso i trafficanti possono sfruttare l’instabilità politica. Il nostro governo di fatto non controlla le frontiere con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, le province separatiste».
I paramilitari osseti e i soldati russi stanno dietro ai sacchi di sabbia, sull’avamposto sventolano le due bandiere. La linea che passa attraverso i campi fino ai palazzi di Tskhinvali, la capitale autonomista, è considerata una frontiera amministrativa dai georgiani, un confine di Stato da Mosca. Per i contrabbandieri, è una zona di guerra dove muovere le loro merci. «Forse è più pericoloso di prima perché è un’area militarizzata, ma i russi sono lì solo per fermare noi — commenta Kukhianidze —. I clan continuano a gestire l’andirivieni di droga, armi, sigarette, alcolici. Il materiale atomico non fa altro che seguire i canali già funzionanti».
Dalle montagne qua attorno, è sceso Oleg Khintsagov, un russo del Nord Ossezia che se ne andava in giro con 100 grammi di uranio arricchito (al 90 per cento) nelle tasche del giaccone di pelle (in quella forma non ha un’alta radioattività) e chiedeva 1 milione di dollari per le due buste di plastica trasparente.
Ha promesso il resto (3 chili) alla persona sbagliata, un agente sotto copertura dell’unità speciale organizzata dai georgiani.
La faccia scavata e i baffoni, soprannominato Dudayev per la somiglianza con il leader ceceno, Khintsagov sembra un altro contrabbandiere atomico per caso, ma sul passaporto avrebbe avuto visti per la Siria, gli Emirati arabi e l’Iraq dei tempi di Saddam Hussein. Il suo arresto, nel 2006, ha reso ancora più complicati i rapporti tra Mosca e Tbilisi, con i russi che accusano il governo georgiano di aver montato lo scandalo per screditarli. «All’inizio l’Fsb ha collaborato con noi — racconta Archil Pavlenishvili, l’investigatore che guida la squadra anti-nucleare —. L’uranio arricchito lascia un’impronta. Abbiamo inviato un reperto perché i servizi segreti russi individuassero la provenienza, ci hanno risposto che era troppo poco e poi non ci sono stati più contatti».
Quando si offrono come intermediari, i sei uomini di Pavlenishvili parlano con accento turco, «perché la Turchia è considerata il supermercato per questo genere di merce. Da lì, sono convinti i trafficanti, viene venduta verso l’Iraq, la Siria, l’Iran, il Medio Oriente». In realtà in tutte le indagini non è ancora stato individuato (o reso pubblico) un compratore finale. Archil viene dalla scientifica e dall’antiterrorismo, si agita sulla sedia come se l’adrenalina dei bidoni tirati ai criminali non smettesse di girargli nel sangue. In queste settimane sta coordinando un’altra operazione: qualcuno offre una partita di Cesio 137.
«E’ altamente radioattivo, viene usato per le 'bombe sporche'. Mezzo chilo fatto esplodere nell’aria è sufficiente per contaminare due quartieri di una città americana o europea». Un anno fa, il suo nucleo ha arrestato un gruppo di georgiani, una banda di pensionati (ex poliziotti e tecnici di un istituto di fisica) che volevano venderne 700 grammi. «La mia paura è che i gruppi terroristici comprino qui e là, ammassando un grande quantitativo».
Dal suo ufficio al ministero degli Interni, un’astronave di cristallo atterrata alla periferia di Tbilisi, Shota Utiashvili analizza le informazioni che viaggiano sulla parte oscura della Via della Seta. Fa l’esempio delle banconote false da 100 dollari, stampate in Ossezia del Sud e ritrovate negli Stati Uniti, in Russia, in Israele. «I confini sono ancora troppo porosi, la corruzione resta alta». Ammette: «Il 99 per cento dei trafficanti nucleari prova a piazzare scarti inutilizzabili, pezzi di metallo con qualche radiazione. Eppure non possiamo permettere che l’1 per cento davvero pericoloso abbia successo».
Davide Frattini