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IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI ORA «URLA» IN RETE
Il rapporto annuale Amnesty sui diritti violati nel mondo nel 2010
Dalle rivolte arabe al caso Wikileaks
Cinquant'anni in difesa dei diritti umani: un compleanno che Amnesty International celebra, tra due settimane, il prossimo 28 maggio 2011. Dal 1961, infatti, l'organizzazione internazionale, fondata dall'avvocato inglese Peter Benenson, è al fianco di migliaia e migliaia di persone che, anche in questo momento, stanno subendo violazioni dei propri diritti: sono i «difensori dei diritti umani», uomini e donne che, nella loro professione o nell'ambito della propria azione di volontariato, si battono ogni giorno per proteggere quei diritti e fermarne le violazioni.
I dati contenuti nel rapporto annuale di Amnesty presentato ieri a Roma (e in contemporanea a Londra) sono purtroppo, come sempre, drammatici. In sintesi, secondo Amnesty, nel mondo si tortura di meno, ma il boia lavora di più. In dettaglio, nel 2010 sono stati documentati casi di tortura o di altre forme di maltrattamento in almeno 98 Paesi, (erano 111 nel 2009) processi iniqui in almeno 54 Paesi, limitazioni illegali della libertà in 89 Paesi, (erano 96 nel 2009) in 23 Paesi sono state eseguite condanne a morte e in 67 sono state emesse condanne a morte. E ancora: è stato richiesto il rilascio di «prigionieri di coscienza» (chiunque sia in carcere per motivo di razza, religione, orientamento sessuale o politico senza aver usato violenza) in ben 48 Paesi. Inoltre, due terzi della popolazione mondiale non ha potuto accedere alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori.
Eppure, nello stesso rapporto si mette in evidenza che un'«opportunità storica e senza precedenti» nel campo dei diritti umani viene offerta dalle rivolte arabe sulla sponda sud del Mediterraneo, anche se rischia di essere «una falsa alba». «Un cambiamento storico sul filo del rasoio», insomma. Ma il 2010 potrà essere senz'altro ricordato come un anno di svolta anche per un altro motivo: l'uso delle nuove tecnologie e dei social media «per mettere il potere di fronte alla verità». «Sin dall'inizio Amnesty International ha riconosciuto il contributo dato da Wikileaks alla causa dei diritti umani», scrive Salil Shetty segretario generale dell'organizzazione. L'esempio più straordinario, anche se al contempo tragico «di quanto può essere potente l'azione del singolo se amplificata dai nuovi strumenti del mondo virtuale» è dato però dalla vicenda di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco davanti al suo municipio per protesta nel dicembre scorso. Le sue parole che descrivevano il suo gesto di disperazione e di sfiducia - tramite i cellulari e Internet - sono «riuscite a galvanizzare il dissenso covato per lungo tempo rispetto a un governo oppressivo». Lui è morto a causa delle ustioni riportate ma poco meno di un mese dopo è caduto il regime ventennale di Ben Alì.
«La comunità internazionale deve cogliere l'opportunità del cambiamento» e assicurare che il 2011 registri un passo avanti e non un ritorno indietro, ha ammonito il presidente della sezione italiana di Amnesty, Christine Weise. Quindi «il sostegno alle rivolte sarà il banco di prova per i governi della Ue».
Il cinquantesimo anniversario della fondazione di Amnesty International verrà celebrato dalle Poste Italiane con l'emissione, il 28 maggio prossimo, di un francobollo da 0,60 euro (Ansa)
Le rivolte arabe hanno avuto i loro contraccolpi diretti nel nostro Paese, come dimostra la cronaca recente. In Italia richiedenti asilo e migranti - accusa il rapporto di Amnesty che critica fortemente i respingimenti attuati nel 2010 dall'Italia nei confronti degli arrivi dalla Libia - continuano a essere privati dei loro diritti e «alcuni politici e rappresentanti del governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia». Di cui sono stati vittime in particolare i rom (nel mirino in particolare la politica degli sgombri e delle ruspe del Comune di Roma). Il nostro Paese è anche segnalato per le aggressioni omofobe, mentre forti preoccupazioni sono espresse circa l'accuratezza delle indagini sui decessi in carcere (casi Cucchi e Uva) e su presunti maltrattamenti visto anche che l'Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale. Anche il divieto di indossare nei luoghi pubblici il burqa, cioè il velo che copre integralmente il corpo, è per Amnesty una violazione dei diritti umani. «Il divieto adottato in Francia - ha spiegato Weise - non è in favore delle donne. È una restrizione della loro libertà religiosa e culturale e invece di renderle più libere comporta l'effetto di recluderle in casa e di limitare i loro movimenti».
E la cattura di Bin Laden? «Non abbiamo ancora preso posizione sulla legalità dell'operazione delle forze speciali in cui è stato ucciso, abbiamo però chiesto maggiori informazioni al governo americano», ha concluso la Weise, anche se «certamente il leader di Al Qaeda era una persona che promuoveva crimini contro l'umanità».
Il rapporto di Amnesty è consultabile su www.50.amnesty.it/rapportoannuale2011
Maria Antonietta Calabrò
13 maggio 2011 -  Corriere della Sera