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“LA CHIESA RISPONDERÀ DI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ”
Nasce a Verona l’associazione italiana delle vittime dei preti pedofili sul modello americano Read More di Marco Politi
Le vittime cercano la parola. Uomini e donne abusati dai preti nell’infanzia escono allo scoperto per rivendicare i loro diritti. A Verona li ha invitati il Gruppo “La Colpa”. Sono un centinaio di persone venute alla Gran Guardia, praticamente di fronte all’Arena, all’insegna di un manifesto dove un ragazzo trascina la sua croce, issato sulle spalle di un chierico minaccioso. Tra loro una quarantina di vittime e familiari.
L’atmosfera è molto particolare. Loro, ex ragazzi con i capelli un po’ spruzzati di grigio, si sono ritrovati con il coraggio, la timidezza, la speranza e l’imbarazzo di chi per la prima volta in Italia deve dire all’opinione pubblica “Subivo in silenzio”.   Tra gli stuprati c’è chi parla, chi si limita ad ascoltare, chi si nasconde, chi non se l’è sentita di venire e affida il suo racconto ad una mail. Fa impressione vedere qualcuno degli ex allievi del “Provolo” (l’istituto veronese per sordomuti, gestito dal clero, dov’è scoppiato uno scandalo nazionale) che articola faticosamente le parole, mimando il suo irrigidirsi quando il prete o l’assistente laico cominciava ad accarezzarlo. Gianni Bisoli racconta al Fatto il suo calvario iniziato a 13 anni con il prete che lo seguiva in bagno, lo chiamava di notte dal dormitorio, se lo portava in giro in macchina e lo sodomizzava. Per quattro volte, racconta, fu portato anche dal vescovo dell’epoca, che lo molestò.
C’è chi comincia il suo racconto e bruscamente lo interrompe, perché non ce la fa a proseguire. Francesco da Padova ce la fa. E ricorda quei preti e quelle suore, che con la scusa   di punire iniziavano a toccare. La cosa peggiore, dice, era sapere che i genitori non avrebbero creduto o avrebbero minimizzato: “E allora ti senti in colpa e anche bugiardo”.
Regalini, dolcetti e caramelle
INTERVIENE una donna ed è felice di non dover tacere. “Scusate se parlo disordinatamente dice – perché sono tesa”. Ricorda le confessioni con il prete, che le chiedeva dove si grattasse sotto la gonna. Tornano ossessivamente nei discorsi i “regalini” dei predatori alle vittime. La caramella, il dolcetto, il gelato. Tra i messaggi di chi ha avuto vergogna a venire c’è quello di un uomo, che odia ancora oggi la “caramella al rabarbaro” e non ha dimenticato la riposta che il vescovo della sua città diede a sua madre, che era andata a denunciare le molestie del sacerdote amico di famiglia: “Il vescovo sconsigliò assolutamente di fare denunce per il bene mio (che ero adolescente) e per non dare dolore alla madre del prete!”. Una reazione classica da parte della gerarchia. “In Italia – sottolinea Salvatore Domolo, ex sacerdote e uno degli organizzatori  del convegno – si è tentato di distinguere il prete pedofilo dall’istituzione, dimenticando l’assoluta complicità della gerarchia in questo enorme crimine”. C’è sempre stato il silenzio e l’atteggiamento della Chiesa di voler “difendere la propria immagine”, risolvendo il problema attraverso lo spostamento del colpevole da una parrocchia all’altra. Anche Domolo, che si è sbattezzato nel 2009, quando era ragazzo è stato abusato da un prete, poi si è fatto prete lui stesso e quando sono riemerse le angosce il suo padre spirituale lo accompagnava personalmente (e assisteva) alle sedute di terapia. “Così l’istituzione controlla. E quando non controlla, tenta di spiritualizzare il problema”, affogandolo nell’ideologia di una prova di sofferenza redentiva.
Ma i conti non tornano. Un messaggio arrivato al convegno è un grido: “Dall’età di dieci anni, hanno abusato di me per quattro   anni. Poi ne sono uscito. Sono infelice. Ho perso il lavoro, ho tentato per tre volte il suicidio, il matrimonio è fallito, i figli mi odiano. Ho paura di avere tendenze pedofile, guardo i ragazzi in piscina… aiutatemi prima che mi uccida!”. Francesco Zanardi di Savona si è trasformato da vittima in detective. Racconta che il prete- predatore Luciano Massaferro, già condannato a tre anni di carcere,sen’è andato in Svizzera e ora è tornato segretamente in Liguria. Un altro prete pedofilo pakistano, Yousuf Dominic, cacciato da Londra, emigrato nel Texas dove ha commesso altri crimini, aveva trovato ospitalità recentemente in un convento ligure. (Forse sentendosi scoperto, è morto d’infarto pochi giorni fa). Testimonianze infinite. Ma nel convegno ci si è presi l’impegno di costruire una rete, un coordinamento delle “vittime italiane” per farsi sentire come negli Stati   Uniti, in Irlanda, in Germania. A Roma, preannuncia Marco Lodi Rizzini,èinprogrammaperil31 ottobre una grande riunione delle associazioni internazionali di abusati dal clero per chiamare il Vaticano alle sue responsabilità. “Crimini contro l’umanità”, è l’accusa riecheggiata a Verona. Perchél’inerzia della gerarchia è diffusa. A Verona, dopo violenti polemiche, il vescovo Zenti e il rappresentante delle vittime del “Provolo”,Giorgio Dalla Bernardina, si sono incontrati a luglio per deporre le armi ed è stato deciso di istituire una commissione d’inchiesta.
Don Bruno Fasan, portavoce della diocesi, comunica che una prima relazione è già stata mandata nel 2009 alla Congregazione per la Dottrina della fede. Ora, spiega, sono in corso audizioni degli ex allievi del “Provolo”. Replica Dalla Bernardina: “Tutte parole, niente fatti, Chiediamo un confronto pubblico tra le vittime e i colpevoli”.
E il cardinal Bagnasco non risponde
NEGLI ALTRI PAESI europei l’episcopato ha istituito commissioni d’inchiesta, numeri verdi e responsabili nazionali per ascoltare le vittime. In Italia non è successo finora nulla. Domani si riunisce il Consiglio permanente della Cei. C’è da vedere se porterà novità. Intanto Roberto Mirabile, presidente dell’associazione anti-pedofilia “Caramella Buona”, sta cercando da mesi di incontrare il cardinale Angelo Bagnasco per informarlo di due gravi casi. Il cardinale non vuole, il segretario non dà risposte, la segreteria telefonica è muta.  
IL FATTO QUOTIDIANO 26 SETTEMBRE 2010


PEDOFILIA, L'INFERNO ITALIANO
Dalla Toscana a Bolzano, dai missionari ai catechisti: oltre 40 casi di molestie. Con le diocesi all'opera per fermare le indagini. La situazione nel nostro Paese prima dell'intervento del papa. 
L' immagine di un Cristo in croce. Un ragazzino nudo. Un frate che l'accarezza: "Non avere paura, sono le mani di Dio". È uno dei tanti casi di preti pedofili mai trapelati. Soffocato nel pianto di un undicenne diventato adulto covando un terribile segreto. Non siamo nell'Irlanda, colpita dal più grosso scandalo che la Chiesa ricordi dopo gli Stati Uniti, e neppure nella Germania dove gli abusi passano i confini dell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga, dove il cardinale Joseph Ratzinger fu vescovo. Siamo nell'Italia di ogni giorno, a catechismo in un famoso monastero della Toscana. Un luogo sicuro per Mario, che però all'improvviso diventa la peggiore delle trappole: "Quando si stava spogliando c'è stato un rumore, sono entrate alcune persone e solo così ho evitato il peggio". Di questa tragedia dimenticata nessuno ha mai parlato. Eppure chi doveva sapere, sapeva: vescovo, priore e famiglia. "È stata la Chiesa a sconsigliare ai miei genitori di denunciare la violenza e, alla fine, hanno convinto anche me a non rivolgersi al tribunale". Non si tratta di un episodio isolato.
In Lombardia lo stesso dramma ha colpito una bambina in un convento di suore, anche stavolta nell'omertà: "Ho ricevuto avance esplicite da una monaca e, quando ne ho parlato, la mia famiglia s'è infuriata. Volevamo andare dai carabinieri, poi è intervenuto il vescovo: disse che sarebbe stato meglio risolvere la faccenda all'interno e che ci avrebbe pensato Dio a punire i colpevoli", racconta Simona.
È l'altra faccia della pedofilia in agguato nell'oscurità di chiese e sacrestie. La più subdola, la più pericolosa. Un crimine declassato a semplice peccato, da assolvere e dimenticare. Coperto dagli inni e dalle penitenze, protetto dal segreto della confessione, imposto dopo la messa come un rituale a cui i bambini non sanno opporsi. La lettera di Benedetto XVI ai cattolici irlandesi sembra rompere questo silenzio colpevole durato decenni. Il papa si scaglia contro i sacerdoti macchiati di violenze e i vescovi che le hanno nascoste, invitando per la prima volta a denunciare i casi ai tribunali. Un'onda che s'allarga e investe anche l'Italia, dove le condanne sono già decine da Bolzano a Palermo.
Oltre 40 storie, a cui si aggiungono le segnalazioni senza risposta, i casi insabbiati, le vittime che puntano il dito contro religiosi già in prigione, trasferiti in altre parrocchie, spediti all'estero o rinchiusi negli istituti per l'assistenza spirituale. Eppure i casi del Trentino-Alto Adige, Piemonte, Lombardia, Veneto, Campania, Puglia, Molise, Lazio, Sardegna, Sicilia, Umbria e Liguria sono solo la punta dell'iceberg. Perché appena fuori dal Sant'Uffizio l'anatema del pontefice si scontra con una realtà ben diversa: le pressioni delle curie sulle famiglie per mettere a tacere gli scandali sono provate, così come la mobilitazione dei fedeli. Omelie e rosari fanno da cornice a molti processi. Che finiscono spesso in prescrizione.
Il fronte si allarga. La riprova è tutta in un dato: in Italia non esiste uno studio ufficiale sugli abusi negli ambienti religiosi. Non solo nelle sacrestie, ma anche negli oratori, nei circoli sportivi e nei campi scout. Nessuna istituzione se ne occupa e nessun partito lo reclama. Senza verificare cosa succeda dietro l'altare. Bastava chiamare il Telefono Azzurro, che lo scorso anno ha raccolto 105 denunce di abuso sessuale sui minori, di cui 59 con meno di 11 anni. Nelle categorie ufficiali i preti non ci sono. Ma scavando fra i report ecco che compaiono: circa il 3-4 per cento di quelle violenze ha come autore un religioso, una percentuale simile alla scuola (3,9 per cento) e molto più alta dello sport (0,8 per cento). Un dato destinato a crescere, secondo gli esperti, perché la vittima è ancora restia a rivelare che il violentatore è un religioso. Si tratta di segnalazioni tutte simili e mai divulgate. Un ragazzo di 16 anni denuncia un prete: l'ha condotto a una festa, ubriacato e tentato di baciarlo. È il primo di una serie di incontri, fra sms e telefonate sconce. In maggio arriva la chiamata di un bambina, toccata nelle parti intime durante il catechismo.

Dal Veneto parla invece un testimone: sette ragazzini sottoposti ad abusi sessuali da due sacerdoti, uno dei quali di 72 anni. Il signor X riferisce che il parroco ha palpeggiato suo figlio di dieci anni durante la benedizione della casa. Lo zio di Y racconta che il nipote piange in colonia, perché il sacerdote entra in camera di notte e lo molesta. Un frate è accusato di far visionare a due ragazzini di sei anni film porno in oratorio, un secondo di avere dormito con un undicenne che si sarebbe svegliato "bagnato di qualcosa". C'è pure chi si autodenuncia e chiede di essere aiutato. "Sono dieci anni che segnaliamo tutto ciò alle autorità, ma per molto tempo in Italia la Chiesa ha scelto di trattare le questioni al proprio interno, sfuggendo alla via giudiziaria per non mettere in discussione l'intero sistema", spiega il presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo: "Il numero di chiamate dimostra come il fenomeno sia presente e ancora poco denunciato, spesso proprio per le pressioni che la vittima riceve". Santa omertà. Chi sa tace anche per decenni. È successo dopo gli abusi all'istituto per sordomuti Provolo di Verona, rivelati da 'L'espresso' quando gli ex allievi squarciarono il velo di omertà durato trent'anni. Ma i depistaggi, le pressioni e le bugie della Chiesa sono confermate anche nelle sentenze di molti processi. A Cento, nella diocesi di Ferrara, don Andrea Agostini è stato condannato a sei anni e dieci mesi per violenze su una decina di bimbe e i giudici non hanno dubbi sulla 'protezione' ricevuta. Parlano di "silenzio dei vertici ecclesiastici" e di "ritrosia a mettere sul tappeto le notizie sulle accuse che già da tempo circolavano". Il meccanismo è collaudato e quasi sempre ottiene il supporto della comunità. Addirittura a Campobasso dove don Felix Cini che aveva patteggiato due anni e mezzo in Toscana, nonostante le ammissioni trovò i fedeli di Cercemaggiore spaccati fra innocentisti e non. Finché prevalsero le proteste e, a febbraio, fu inviato in un convento.
Storie identiche a quella di Alassio, vicino a Savona, dove attorno a don Luciano Massaferri, arrestato dopo il racconto di una ragazzina di 11 anni, s'è schierata la parrocchia, con un tam tam di solidarietà fatto di veglie e preghiere. Uno schema che gli esperti conoscono bene: "Rispetto ai casi di pedofilia in ambienti famigliari, sportivi o scolastici nel caso dei sacerdoti la fede gioca un ruolo centrale sia nell'adescamento del minore, sia nella conquista del silenzio e, se il caso trapela, di una spesso ingiustificata solidarietà esterna", spiegano all'Ecpat, la rete internazionale impegnata nella lotta contro lo sfruttamento dei minori. Così per ogni vittima che parla, altre tacciono. Basti pensare che nella diocesi di Bolzano, dopo che un frate ha denunciato gli abusi avvenuti negli anni Sessanta, qualche giorno fa il vescovo Karl Golser ha chiesto ai fedeli di confidarsi sul sito Internet della Curia. L'effetto è stato dirompente: sono già arrivate decine di segnalazioni da ex seminaristi, alunni di scuole cattoliche, scout, chierichetti. Forse i processi di domani.
Missione bambini. Ecco che l'apertura di Benedetto XVI potrebbe avere un effetto diretto su quelle sentenze. Per anni, infatti, le direttive interne firmate dallo stesso Ratzinger nel 2001 e la prassi spingevano i vescovi a trasmettere al Vaticano i dossier, rendendo indispensabile una rogatoria internazionale per discuterli in tribunale. Così come pedofili e violentatori sono stati protetti dal segreto confessionale: "Cinque anni fa un sacerdote mi confessò che aveva abusato di un bambino ed era pentito. Per me fu uno shock, eppure mi limitai a suggerirgli di rivolgersi al vescovo. Non potevo fare altro, ma ho pensato che se un prete voleva eliminare un testimone scomodo bastava che gli dicesse tutto", rivela un cappellano lombardo. Ha paura di parlare. Perché, ripete, una cosa sono i diktat di San Pietro, altra la realtà quotidiana di parrocchie e seminari. Se la Santa Sede cambia rotta e assicura supporto ai magistrati, infatti, istituti religiosi e ordini monastici non sempre mettono in pratica i precetti pontifici. Il caso di don Marco Dessì lo dimostra. Il missionario italiano della diocesi di Iglesias che operava in Nicaragua, già nel 1990 fu segnalato da alcune associazioni cattoliche. Abusi su un gruppo di ragazzini, tutti maschi di età compresa fra gli 11 e i 14 anni e costretti a ogni tipo di prestazione sessuale. "Dopo i rapporti completi diceva loro che erano diventati dei prescelti", racconta l'avvocato Marco Scarpati, che ha seguito oltre cento casi di pedofilia in Italia. Fu lui a rivolgersi al Vaticano: "La chiesa ufficiale ci aiutò, ma dall'altra parte la congregazione di cui il missionario faceva parte lo proteggeva e difendeva. Per oltre un decennio agì indisturbato, mentre molti di quei ragazzi potevano essere salvati in tempo". Lo sanno bene Alberto, David, Marlon, Ignacio e Juan Carlos, tutti orfani dell'Hogar del Niño. Sono dovuti volare in Italia, in Emilia Romagna, per motivi di protezione. In una località top secret e con vita blindata. Marlon e gli altri testimoni, mentre Roma indagava, sono stati minacciati di morte, la moglie ha ricevuto visite a casa. Ma non è finita: per quei silenzi e quella complicità, la condanna a 12 anni in primo grado, ridotta a otto dalla Corte d'Appello e annullata dalla Cassazione per un vizio di forma, rischia di non arrivare. Il processo ripartirà in ottobre, ma ormai la prescrizione è vicina.
Vittime due volte. È questo il dramma nel dramma per molte vittime. Perché alzare la testa non solo è difficile, ma spesso è inutile. Già. Nel paese dei cavilli legali, dove un timbro può liberare un prete pedofilo e farlo tornare all'altare, il danno materiale per un bambino violentato resta difficile da quantificare. E quasi impossibile da incassare, fra sacerdoti nullatenenti e curie spesso indifferenti. A Bologna don Andrea Agostini è stato difeso dalla diocesi, che non ha però risarcito i miseri 28 mila euro richiesti. A Bolzano, Alice è stata violentata e filmata a otto anni dall'educatore che doveva insegnarle il catechismo. L'accusato, don Giorgio Carli, è stato condannato in primo e secondo grado, ma la Cassazione ha dichiarato i reati prescritti per effetto della ex Cirielli. L'unica consolazione, se così si può chiamare, era la condanna civile: risarcimento che non è mai arrivato. È così dappertutto. A Firenze le vittime di don Lelio Cantini, colpevole di abusi quando era parroco a Regina della Pace, vorrebbero riaprire il caso: "Non è una scelta facile, però. Si tratta di fatti terribili e ogni processo comporta un peso enorme per noi", spiega Francesco Aspettati. Accusano la curia di avere coperto il prete e non avere dato peso alle loro denunce. I compagni che hanno preso i voti, anzichè difenderli, li attaccano. "E se anche il papa l'ha ridotto allo stato laicale, il risarcimento rischia di essere irrisorio, forse umiliante". La loro speranza è che si apra il fronte italiano. Tante denunce, insieme, sarebbero il cavallo di Troia per sfondare il muro della pedofilia nella Chiesa. E costringere le curie a pagare decenni di abusi.
di Tommaso Cerno

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2010/03/25/news/pedofilia-l-inferno-italiano-1.25317

25 marzo 2010


«RATZINGER SAPEVA DEGLI ABUSI A MONACO»
Lombardi: speculazioni, Papa estraneo
Nuove rivelazioni del "New York Times" sul caso di padre Hullermann. I vescovi di Francia: «Proviamo vergogna»
MILANO - Nuovo attacco del New York Times contro il Vaticano: il quotidiano arricchisce di elementi inediti un caso già emerso, avvenuto nella diocesi di Monaco quando Ratzinger era arcivescovo. A quei tempi il futuro Papa sarebbe stato strettamente aggiornato su un caso di abusi in Germania, più di quanto lasciato trasparire dalla Chiesa. Una circostanza che accresce gli interrogativi sulla gestione dello scandalo da parte di Ratzinger prima della sua ascesa al Vaticano, tanto che il settimanale tedesco Der Spiegel, nell'edizione online, chiede perché il Papa sia ancora in carica e in un messaggio inviato a papa Benedetto XVI i vescovi di Francia esprimono «vergogna e amarezza davanti ai fatti abominevoli perpetrati da alcuni preti e religiosi». Riuniti a Lourdes per l'assemblea plenaria, i prelati hanno indirizzato «un messaggio cordiale di sostegno al Pontefice, nel difficile periodo che attraversa la nostra Chiesa».
LOMBARDI - Il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, interrogato dai giornalisti, rinvia ogni commento alla smentita pubblicata in un Comunicato dell'Archidiocesi di Monaco. «L'articolo del New York Times - si legge nella nota - non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che la Archidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell'allora Arcivescovo sulla situazione del sacerdote H». L'Arcidiocesi conferma quindi la sua posizione, ribadendo l'estraneità del Papa e «rifiutando ogni altra versione come mera speculazione».
SCHIFANI: ATTACCHI INDEGNI - In difesa del Pontefice interviene il presidente del Senato Schifani, che parla di «attacchi inaccettabili e indegni» da parte della stampa straniera: «Lanciare attacchi contro la figura del Santo Padre è un fatto senza precedenti. Egli ha adottato recentemente delle misure decisive contro la pedofilia. Ha assunto delle posizioni rigorosissime, che vanno rispettate ed apprezzate. Ecco perché non capisco e non capiamo il motivo di questi attacchi, che potevano rimanere nell'ambito dei Paesi dai quali sono venuti». Anche il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, esprime «solidarietà e vicinanza» a Papa Benedetto XVI «per gli attacchi dei quali è fatto oggetto in queste ore dalla stampa di oltreoceano».
PADRE HULLERMANN - Secondo il quotidiano americano, l'allora arcivescovo Ratzinger era informato del fatto che padre Peter Hullermann, che con la sua approvazione aveva iniziato una terapia negli anni '80 dopo vari casi di violenze su bambini, sarebbe tornato alla sua attività pastorale pochi giorni dopo l’inizio della cura psicologica. Fino ad oggi, ricorda il New York Times, la responsabilità della decisione di riabilitare il sacerdote tedesco era stata attribuita all’allora vice di Ratzinger, il reverendo Gerhard Gruber. Ma il quotidiano riferisce dell’esistenza di una memoria informativa consegnata al futuro Papa in cui lo si informava sulla situazione di Hullermann. «L’esistenza del documento è confermata da due fonti ecclesiastiche - riferisce il Nyt - e dimostra che Ratzinger non solo presiedette un incontro il 15 gennaio 1980, con il quale si approvava il trasferimento del prete, ma fu anche informato della nuova dislocazione del sacerdote». Nelle scorse settimane un comunicato delle arcidiocesi di Monaco e Frisinga aveva attribuito la piena responsabilità della decisione che permetteva al prete di riprendere l'incarico pastorale al reverendo Gruber. Ma il Nyt scrive che chi ha seguito il caso sin dall'inizio, il reverendo Friedrich Fahr, è «sempre rimasto in contatto personalmente ed essenzialmente» con Ratzinger. L'altro prelato citato nell'articolo, il reverendo Lorenz Wolf, vicario dell'arcidiocesi di Monaco, difende il Papa sostenendo che si trattava di «una nota di routine» e che «è improbabile che fosse arrivata sulla scrivania dell'arcivescovo». Tuttavia lo stesso padre Wolf non esclude che Ratzinger l'abbia letta.
RIVELAZIONI DI «DER SPIEGEL» - Giorni fa era stato il settimanale tedesco Der Spiegel a citare l'esistenza di documenti e fornire dettagli sul caso del prete pedofilo che Joseph Ratzinger aveva accettato di far curare nella propria diocesi di Monaco di Baviera nel 1980 ma che poi era stato impiegato in attività pastorali di nuovo a contatto con minori. Secondo il settimanale «proprio il Papa, da arcivescovo di Monaco, non prese sul serio il problema di un violentatore di bambini». Nell'articolo si forniscono dettagli che integrano un'esposizione della vicenda fatta in precedenza da due comunicati dell'Arcivescovado di Monaco e Frisinga in cui si annunciava l'ammissione dell'errore e la sospensione del sacerdote. «Nemmeno due settimane dopo» l'accoglienza a Monaco concessa su preghiera del vescovado di Essen, Hullermann «era già attivo come curatore d'anime», scrive la rivista, nonostante avesse alle spalle «almeno» quattro sospetti casi di abusi pedofili, circostanza «chiaramente riscontrabile» nella lettera di raccomandazione. «Ratzinger non ne avrebbe saputo nulla», scrive lo Spiegel sintetizzando la posizione espressa dall'arcivescovado il 12 marzo: «Al suo segretariato però giunse una nota del suo vicario generale Gerhard Gruber sull'impiego del cappellano nella comunità di San Giovanni evangelista. Ratzinger non ha visto la nota?».
PIÙ VOLTE TRASFERITO- Lo Spiegel fra l'altro sostiene che i tre successivi trasferimenti del sacerdote - tra cui quello a Grafing, nei pressi di Monaco, dove poi il religioso nel 1986 fu condannato per abusi su «diversi scolari» - avvennero senza che la pericolosità del pedofilo fosse segnalata. Nei giorni successivi la stampa tedesca ha pubblicato poi nuove rivelazioni su Hullermann: l'agenzia Dpa ha parlato di due presunti casi di abusi sessuali su minori a Bottrop (Nord Reno-Westfalia, Ovest), nella comunità della chiesa di San Ciriaco, dove Hullermann è rimasto fino al 1978. Dopo il religioso - attualmente sospeso - era andato ad Essen, dove era rimasto fino al 1980 e dove avrebbe abusato di altri tre ragazzi. Proprio a causa di queste ultime violenze, il prete è stato trasferito a Monaco di Baviera nel 1980, dove aveva abusato di nuovo di minori e per questo era stato condannato - nel 1986 - a 18 mesi di carcere con la condizionale. Infine ci sarebbe stato un nuovo abuso nel 1998, vittima un minorenne, quando Hullermann era amministratore parrocchiale a Garching/Alz (Baviera): quest'ultimo episodio non è ancora caduto in prescrizione ed è stato denunciato alla Procura di Monaco.
USA, ABUSI SUI BAMBINI SORDI - Giovedì il New York Times ha accusato Ratzinger e l'attuale segretario di Stato vaticano Bertone di aver messo sotto silenzio un caso di abusi avvenuto negli anni '50 nel Wisconsin: padre Lawrence C. Murphy fu responsabile di violenze sessuali su almeno 200 bambini sordi ospiti di un istituto tra il 1950 e il 1974: non fu mai punito né sanzionato i suoi crimini ed è morto nel 1998. Il Vaticano ha fatto sapere di essere stato informato della vicenda solo nel '96.
Redazione online
26 marzo 2010 – Corriere della Sera