Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Italiano Español English Português Dutch Српски
testa sito 2024

IL PARADISO PERDUTO DEI DANNATI DELLO ZIMBABWE

Ridotti alla fame. Il Sudafrica chiude la porta a chi fugge dal regime di Mugabe. Il fiume Limpopo, visto dallo Zimbabwe, è l'ultimo ostacolo da superare per migliaia di persone in fuga dal regime di Robert Mugabe. Ridotti alla fame, con una moneta senza valore e afflitti dal colera, è facile intuire i motivi che spingono a scappare in direzione del Sudafrica.

Per farlo però bisogna prima passare per le forche caudine dei Malaishas, il racket che gestisce la traversata dei migranti. E non sempre il transito volge a buon fine. Fra rapine, violenze e stupri, l'odissea di chi scappa prosegue e continua una volta arrivati in Sudafrica. Lì il primo punto di approdo è il cosiddetto “showground”, un grande campo profughi nella città frontaliera di Musina. Le autorità sudafricane hanno recentemente deciso di chiuderlo, voltando così le spalle ai rifugiati. Per loro non c'è spazio e nemmeno assistenza. Lo Zimbabwe è una storia cominciata bene e finita malissimo.   L’ex Rhodesia, indipendente dal 1980 dopo una lunga guerra di liberazione e cantata da Bob Marley, è oramai da anni oltre l’abisso. Il regime a guida unica di Robert Mugabe e del suo Zanu-Pf ha ridotto alla fame quello che era uno dei granai dell’Africa australe. La disoccupazione è al 94% e l’inflazione al 231 milioni per cento. Un numero talmente   inimmaginabile che il governo ha abdicato alla propria moneta. Harare ha annunciato che i cittadini in Zimbabwe potranno usare dollari o rand sudafricani per le loro transazioni. Il Programma alimentare mondiale stima che 7 milioni di persone, il 60% della popolazione, abbia bisogno di aiuti. Mugabe, oggi ha 86 anni ed è al potere da 30, rappresentava   l’alfiere della lotta di indipendenza, ma ha finito per tradire lo Zimbabwe portandolo al tracollo. Un barlume di speranza è arrivato un anno fa quando, grazie ad una modifica nella Costituzione, è stata ripristinata la figura del primo ministro. Ad Harare, dopo anni di carcere, vessazioni e accuse di alto tradimento, è stato nominato premier lo storico oppositore Morgan Tsvangirai. Ma non è bastato per mettere fine alle fughe.
I numeri variano: le stime dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni dicono che sono da uno a 3 milioni i profughi zimbabwani in Sudafrica. Per tutti il passaggio obbligato sono le organizzazioni che gestiscono l'attraversamento del Limpopo.   Qui, fra coccodrilli e corrente, è necessario pagare per evitare di finire nelle mani della polizia di frontiera o in quella degli alligatori. Si viene portati di notte nei punti di passaggio dove ad attendere ci sono dei pulmini che arriveranno a Musina. Da qui i clandestini, dopo un passaggio nello ““showground”, finiscono a lavorare nelle fattorie dei bianchi, come camerieri nelle grandi città o stallieri nelle ville dei ricchi. Ma non sempre le cose vanno per il   verso giusto. Il pagamento del racket non è garanzia di sicurezza. Spesso sono gli stessi trafficanti a rapinare, vessare o stuprare uomini, donne e ragazzi (sempre più alta la percentuale dei minori non accompagnati) che attraversano il Limpopo. Per loro però non c'è alcuna possibilità di ottenere giustizia e l'impunità regna sovrana. Se Pretoria per anni ha sostenuto un approccio morbido nei confronti di Mugabe, meno lo è stata nei riguardi di chi fuggiva. La proposta di garantire uno speciale permesso d’ingresso dallo Zimbabwe è stata bocciata. Il campo di prima accoglienza di Musina è stato chiuso, così come sono rigettate il 90% delle richieste di asilo politico. Le organizzazioni umanitarie hanno denunciato il rischio sanitario di lasciare senza sostegno migliaia di persone in fuga anche da ospedali senza medicine, cerotti o garze e con patologie contagiose come l'Hiv e la tubercolosi. Le associazioni di assistenza legale   stigmatizzano il fatto che senza un centro di raccolta i diritti dei migranti sono sempre più alla mercé di sfruttatori, in divisa e non. Chiudere il campo profughi di Musina ha solo spostato altrove   il problema. In particolare gli zimbabwani sono arrivati nelle grandi città come Johannesburg dove hanno trovato rifugio e alloggio ormai da anni nella chiesa Metodista centrale o nelle bidonville. Ma anche qui l'accoglienza non è stata delle migliori. L'ondata di attacchi a sfondo razziale nelle township contro i migranti africani ha rischiato di seppellire per sempre il sogno della “Nazione Arcobaleno”. Nel frattempo lo Zimbabwe si chiede quando finirà l’incubo. “Solo quando il vecchio se ne andrà”, è la risposta che rimbomba da Harare. E Mugabe, per ora, sembra non averne alcuna intenzione.  
di Emanuele Piano
IL FATTO QUOTIDIANO 10 GIUGNO 2010