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Ban_pakistan01IL PAKISTAN POTREBBE TRASFORMARSI IN QUELLO CHE L'OCCIDENTE HA SEMPRE TEMUTO: UNO STATO FALLITO MA CON LA BOMBA NUCLEARE. Ci sono catastrofi naturali  che mutano per sempre la geografia del mondo, sradicando alberi e rovesciando regimi politici.
In Pakistan è già successo una volta. Nel 1970 il ciclone Bhola prima ne devastò le pianure orientali, e poi - complice l'inettitudine del governo e l'aiuto indiano - ne smembrò l'assetto nazionale: nel 1971 nacque l'attuale Bangladesh.
Oggi il mondo teme che possa accadere ancora. Probabilmente non una secessione, piuttosto un aumento del già dilagante disagio sociale che finirebbe per consegnare buona parte delle funzioni di governo nuovamente a quell'esercito fattosi da parte solo due anni fa, o, peggio ancora, ai militanti talebani. "Il Pakistan potrebbe trasformarsi in quello che l'Occidente ha sempre temuto: uno stato fallito ma con la bomba nucleare", chiosa Ahmed Rashid, uno dei maggiori commentatori politici del Paese.
Le inondazioni iniziate il 29 luglio hanno causato danni giudicati dalle Nazioni Unite più severi di quelli provocati congiuntamente dallo tsunami asiatico del 2004, dall'uragano Katrina del 2005 e dal terremoto di Haiti di quest'anno. Venti milioni di pakistani hanno perso la casa, la fonte di sostentamento o un parente. Sott'acqua è finita una porzione di territorio più vasto dell'Italia, tra un quinto e un terzo dell'intera nazione. Con la terra sono spariti il raccolto di riso e cereali di un anno, 200 mila animali, centinaia di ponti e strade, decine di quegli impianti elettrici che gli Stati Uniti avevano appena promesso di potenziare per portare la corrente a una popolazione che per il 60 per cento viveva sotto la soglia di povertà anche prima del diluvio nazionale.
Certo 1.600 morti non sono molti, considerata la portata dell'evento. Ma questo è solo un dato iniziale. "Oggi ho saputo che in Khyber Pakhtunkhwa sono morte altre 71 persone a causa dell'acqua infetta", raccontava lunedì scorso Tasneem Aslam, l'ambasciatrice pakistana in Italia. Le malattie (in alcuni villaggi è già scoppiato il colera), la carestia che gli esperti si attendono per la fine di settembre, le violenze per l'accaparramento dei rari aiuti che arrivano nelle province più lontane provocheranno un'altra, estesa ondata di morte. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha definito la situazione "uno tsunami in movimento". Otto milioni di persone sono già in procinto di perire per fame. A rischio soprattutto madri incinte e bambini piccoli, in una cultura rurale dove alle donne è chiesto di riprodursi lungo tutto il corso della vita fertile per dimostrare la virilità dei propri uomini e l'utilità della loro esistenza. Ragazze incinte accasciate sotto il sole o la pioggia battente, spesso con un neonato in braccio, stanno morendo a grappoli, denuncia la Pakistan Trade Union Defence Campaign, un'associazione in difesa dei diritti dei lavoratori.
La risposta al disastro offerta dal governo pakistano ha dimostrato scarsa reattività, quando non indifferenza. A parziale giustificazione, è vero che le casse di Stato sono vuote e che il Pakistan è completamente dipendente per la sua sopravvivenza da un prestito da 11,3 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale. Ma il comportamento delle elité di fronte all'emergenza ha rafforzato l'immagine di una nazione abituata all'idea che sia normale che il due percento della popolazione prosperi e il 98 per cento soffra. Nei primi giorni delle inondazioni il presidente Asif Ali Zardari ha usato l'elicottero non per atterrare in calosce sui luoghi del disastro, ma per visitare in blue jeans il castello di famiglia in Normandia, lasciando al governo - così ha dichiarato ad una stampa allibita - la gestione dei soccorsi. Il primo ministro Yousaf Raza Gilani nel frattempo decideva di prendere le redini della situazione formando una commissione per gli aiuti che, come risultato di una settimana di lavoro, ha dato vita a un'altra commissione, questa volta più allargata. I giornali l'hanno attaccata perché al 15 di agosto era riuscita ad inviare solo 72 kit di medicinali e in sole tre province. Dimostrando scarsa chiaroveggenza, aveva deciso di dare priorità alle regioni meridionali del Punjab e del Sindh, dove la gran parte dei politici ha un latifondo, rispetto alle povere e ribelli regioni di frontiera, colpite per prime dalle piogge, e dove vivono minoranze separatiste (Balochistan) e si nascondono militanti talebani (Waziristan). Negli ultimi giorni poi due container di aiuti inviati nella città di Thatta, in un Sindh ancora sotto le piogge da cui stanno fuggendo 4 milioni di persone - un numero di sfollati mai visto dai tempi della divisione dall'India nel 1947 - sono finiti nel giardino del ministro provinciale per la cultura. Motivazione ufficiale? Il ministro ha deciso di usare la sua casa come magazzino e di occuparsi della distribuzione.
Inettitudine e corruzione vanno a braccetto. Il fondo di aiuti d'emergenza che avrebbe dovuto attrarre le donazioni delle classi agiate ha raccolto un miserrimo milione di euro. "La gente si rifiuta di donare perché non si fida del governo", spiega lo scrittore urdu Wasi Shah. All'indomani del terremoto che aveva colpito il Pakistan nel 2005 facendo 79 mila morti, ben 400 milioni di euro di aiuti erano stati destinati ad altri scopi, ha denunciato Nawaz Sharif, il leader dell'opposizione: "I pakistani non sono affatto convinti che questa volta i soldi saranno spesi onestamente".
Non lo sono nemmeno i donatori stranieri. Mentre facevano a gara ad aiutare Haiti, adesso devono essere convinti. L'Onu è riuscita a raccogliere soltanto la metà dei 514,5 milioni di dollari stanziati all'indomani del disastro. Gli inglesi, gli europei più generosi, hanno messo insieme 29 milioni di sterline per l'ex colonia solo tre settimane dopo l'inizio delle inondazioni. L'Italia solo 4 milioni di euro, secondo fonti pakistane. L'unica eccezione - in Occidente come tra i paesi arabi - sono gli Stati Uniti. Primi ad attivarsi nei soccorsi, hanno fin'ora offerto 19 aerei, portato in salvo otto mila persone e raccolto 150 milioni di dollari. Non si tratta solo di buon cuore. La speranza è quella di conquistare la fiducia e la gratitudine di una popolazione che per oltre il 50 per cento si definisce "antiamericana", strappandola all'influenza degli estremisti islamici.
Questi ultimi non hanno esitato a dipingere le alluvioni come il segno dell'ira di Allah scatenata contro un governo filo-occidentale, a cui loro soltanto potranno mettere fine. Nella regione del Khyber Pakthtoonkhwa, la ex-provincia della frontiera nordoccidentale, dove si trovano le basi dei talebani pakistani e afghani, milioni di persone sono senza casa da diciotto mesi. Prima c'era stata l'offensiva con cui i militari pakistani avevano finalmente riconquistato la valle dello Swat dagli estremisti islamici, ora le inondazioni che hanno distrutto tutto. A partire dalla certezza della recente vittoria. La regione non ha più una strada, né un ponte. La gente non ha più una casa, né un futuro. "Occorre intervenire in fretta per riportare la situazione alla normalità, o nel lungo periodo si rischia di perdere il controllo della regione", spiega al telefono Claudia Bini, responsabile delle operazioni in Pakistan per il Cesvi, una ong di Bergamo che con i 20mila euro raccolti sta distribuendo cibo e kit sanitari.
Basta un nulla per diventare miliziani. In cambio del martirio dei figli, i talebani offrono la riconciliazione con Dio e denaro a famiglie disperate. Risultato: migliaia di combattenti pakistani potrebbero riversarsi presto in Afghanistan e rafforzare le file dei talebani, finendo per indebolire il governo afghano e le forze Nato, così come da decenni minano quello di Islamabad. L'esercito pakistano è ora più debole che mai, con i suoi uomini e mezzi più impegnati a strappare la gente dalle acque che a rincorrere gli estremisti. "Le inondazioni sono molto più di un disastro naturale", ha concluso Rashid: "Annunciano una catastrofe regionale a cui l'Occidente dovrebbe rispondere con molta più determinazione, generosità e diplomazia di quelle dimostrate fino ad oggi".
[fonte espresso]
Pubblicato da REPORTER LIVE ITALIA
31 agosto 2010